Stefano Serpellini

Classe 1965, lavoro a l’Eco di Bergamo dal 2000 (dal 2003 con la qualifica di inviato) per il quale mi occupo principalmente di cronaca giudiziaria.Sul treno del giornalismo sono salito nel 1989, avendo la fortuna di vivere gli ultimi sprazzi romantici di questo mestiere. Che ai miei occhi si sintetizzano con due elementi: la cappa di fumo letterario sprigionata dalle sigarette di pensosi redattori e il ticchettìo delle ultime macchine per scrivere, una soave grandinata che è stata la colonna sonora del mio inizio carriera.Da ragazzo sognavo di fare l’archeologo; coerentemente mi sono iscritto a Economia e Commercio in Città Alta, col risultato di naufragare miseramente negli studi ma riuscendo a laurearmi in briscola a chiamata al prestigioso ateneo del bar Circolino dove sfangavo i pomeriggi da universitario.Il giornalismo è arrivato quasi per caso, ma ha avuto il merito di dare un senso alla mia esistenza, offrendomi uno sbocco in un orizzonte lavorativo che si annunciava nero. Sono profondamente attaccato a questo mestiere, all’inizio l’avrei fatto anche gratis e mi meravigliavo che mi dessero pure dei soldi (anche se con i primi stipendi riuscivo a malapena a pagare la benzina da Sarnico, il paese dove sono nato e cresciuto, a Bergamo). E’ forse anche per questo che fino a qualche anno fa, quando m’è toccato accendere il mutuo per la casa, non ho mai badato troppo alla busta paga.In passato per questo giornale mi sono occupato anche di Atalanta, argomento su cui ho scritto anche dei libri. Per il calcio ho sempre palpitato, i rimbalzi di un pallone hanno scandito la mia vita. Ci ho giocato fino a 51 anni, a livelli infimi ma preziosi per farmi capire che una partita vissuta dal campo è spesso diversa da quella vista da una tribuna.Tra i mille difetti che ho c’è quello della scarsa inclinazione alla sintesi. Se siete riusciti ad arrivare fino a qui, avrete certamente capito.