«Dopo il lockdown, ci siamo resi conto che siamo stati distanti, non soltanto fisicamente: anche moralmente. Ci siamo ritrovati e ci siamo detti: l’unica medicina per sollevare i nostri animi, ma anche quelli di chi è stato a casa e non ha potuto vedere nulla, è creare». Ci stiamo sentendo al telefono, ma mi sembra quasi di visualizzare quel «creare» che Elena Lo Muzio sottolinea con la voce. Una telefonata più tardi, Lorenzo Maragoni rivela: «Il mio compito è quello di cercare di offrire uno spettacolo strutturato, ma allo stesso tempo far sentire alle persone nel pubblico che si sta creando con loro quella sera, per loro; c’è una sorta di elemento di co-creazione».
Non so se Elena Lo Muzio e Lorenzo Maragoni si conoscano. Le loro esperienze e gli spettacoli che mettono in scena sono profondamente diversi. Eppure, rimango sorpresa quando mi accorgo di quanto accento pongano entrambi sul verbo «creare». Il teatro crea, continuamente. Crea connessioni, legami, tra i membri di una compagnia e tra lo spettatore e l’interprete. È un incontro tra corpi.
Anche quest’anno, «deSidera Bergamo Festival» permette al pubblico di ascoltare storie profondamente umane, ma soprattutto di entrare in relazione con chi le racconta. Di co-creare. «Raccontare storie salva la vita», dice citando «Le Mille e una notte» Gabriele Allevi, direttore artistico della rassegna accanto a Luca Doninelli e Giacomo Poretti.
La ventiduesima edizione del festival comincerà il 26 giugno. Fino a domenica 29 settembre porterà sul territorio bergamasco attori celebri, musicisti, nuove scoperte, debutti e prime nazionali, ma anche progetti speciali: «Sguardi all’insù», la rassegna di teatro ragazzi nata sotto l’ala del Sistema Bibliotecario Area Nord-Ovest Provincia di Bergamo; «Natura & Cultura», rassegna green promossa da Pianura da Scoprire, il festival di Commedia dell’Arte «Le Vie della Commedia» e il nuovo percorso «Fiumi di cultura».
A inaugurare la manifestazione è una settimana ricca di spettacoli. Mercoledì 26 giugno, nella splendida corte del Palazzo Visconti a Brignano Gera d’Adda, andrà in scena «CordeRosa. Trame di donne in vetta» (in replica ad Almè, nel Parco di Villa Carnazzi, il 5 luglio). Giovedì 27 giugno, in Piazza della Libertà a Nembro, il campione del mondo di Poetry Slam 2022 Lorenzo Maragoni torna ospite di «deSidera» con il suo nuovo spettacolo «Grandi Numeri» (in replica giovedì 18 luglio a Verdello, nel Parco comunale). E ancora, a Treviglio, sul piazzale del Santuario della Madonna delle Lacrime, venerdì 28 giugno va in scena «Super ginger!», una produzione targata Stivalaccio Teatro con Anna De Franceschi nei panni di un clown contemporaneo dalla vita rocambolesca. Il fine settimana si chiuderà domenica 30 giugno nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo con «Traditori», l’intenso spettacolo di Andrea Carabelli e Claudio Lobbia di cui vi avevamo parlato qua.
Ecco un assaggio dei primi due spettacoli.
«CordeRosa: trame di donne in vetta»
Uno spettacolo e un’associazione di promozione sociale. Nasce tutto contestualmente, dopo il lockdown, dal desiderio di diversi professionisti e professioniste dell’arte di ritrovarsi e di “fare insieme”. Elena Lo Muzio, membro dell’associazione lecchese WOW! e scrittrice, racconta i dietro le quinte dello spettacolo «CordeRosa» con un entusiasmo contagioso.
Scritta da Lo Muzio, «CordeRosa» è una storia di legami. In realtà le storie sono sei, quelle di donne che hanno vissuto la montagna. Sei monologhi, recitati da Ancilla Oggioni, che si intrecciano con le musiche eseguite dagli Aiòra, Francesca Arrigoni alla voce e Nadir Giori al contrabbasso.
«Veniamo da Lecco, un territorio circondato da montagne. Essendo la nostra al 90% un’associazione femminile, abbiamo deciso di parlare di donne – racconta Elena – Ho scartabellato tra libri, giornali, archivi, e dato voce a donne spesso dimenticate nella storia dell’alpinismo». Si comincia con la contessa Henriette d’Angeville, la prima donna ad aver raggiunto la vetta del Monte Bianco con le sue sole forze, «anche in maniera abbastanza comica, perché si è portata appresso sei bauli con cambi d’abito. All’interno, velluti, lane pesanti, un abbigliamento che all’epoca era considerato abbigliamento tecnico». C’è Annie Peck, esploratrice americana cresciuta nella seconda metà dell’800, che a una famiglia che l’avrebbe voluta insegnante in una scuola femminile risponde «la mia casa è dove c’è il mio baule».
Lo spettacolo omaggia le levatrici di montagna e le portatrici della Carnia, che trasportavano al fronte della Prima guerra mondiale provviste e munizioni. «Venivano considerate dei soldati, ma non sono state trattate con gli onori dei soldati». Dall’ascesa dell’alpinismo russo si arriva all’oggi. A Nives Meroi, bergamasca. Tra le maggiori alpiniste donne della storia, ha scalato tutti i 14 ottomila, senza l’uso di ossigeno supplementare né portatori d’alta quota.
«Nell’alpinismo ci sono state delle donne straordinarie, ma anche donne che non scalavano montagne per sport o per esplorazione – spiega Elena – Donne che lo facevano per vivere. Penso banalmente alle pastore: hanno fatto molti più chilometri di quanti ne facciamo noi. Vivevano la montagna nel quotidiano, ma questo non era considerato come un pregio, un’abilità».
Pochi sono gli oggetti di scena: un baule e una gerla; gli abiti che l’attrice cambia con il cambiare del personaggio, recuperati tra vecchi armadi e mercatini, fedeli all’epoca rappresentata.
«L’obiettivo di questo spettacolo, oltre a riallacciare dei legami tra di noi – conclude Elena Lo Muzio, che con l’associazione WOW! organizza ormai da tre anni anche un festival nei rifugi del lecchese, “Sopra di me / la Griglia” – era trovare delle storie che avessero bisogno di essere riprese e diventare storie di tutti. Sabato scorso, al termine dello spettacolo, una signora mi ha abbracciato in lacrime. Sono sicura che il pubblico ricorderà queste storie dopo averle ascoltate».
«Grandi Numeri»
Con «deSidera», Lorenzo Maragoni ha un rapporto intenso. E con il pubblico bergamasco, che definisce accogliente e curioso. Classe 1984, originario di Terni, Maragoni è ed è stato tante cose: attore, regista, autore e poeta. Nel 2022 ha vinto il Campionato Mondiale di Poetry Slam. Un vero e proprio torneo, in cui vigono poche regole: ogni poeta ha tre minuti a disposizione per recitare i propri testi; durante l’esibizione è vietato l’uso di musica, costumi di scena o oggetti; la giuria che valuta le performance è composta da persone estratte tra il pubblico.
Al genere della Slam Poetry, Maragoni si è avvicinato per caso, nel 2018, grazie a un amico che lo praticava. «È stato amore a prima vista. Ho trovato un mondo che non conoscevo, molto giovane ed entusiasta. Avevo sempre associato la poesia a qualcosa di un po’ antico, inaccessibile, elitario. E invece lì, in quel contesto, la poesia era un linguaggio condiviso tra persone diverse tra loro, che ci si riconoscevano. Io già facevo teatro e scrivevo delle poesie, ma sempre poesie scritte, non avevo mai pensato di trasformarle in poesie dal vivo».
A caratterizzare la Slam Poetry è il ritmo, la musica, un uso delle parole che fa sì che non passi soltanto il significato della prosa, ma anche il significante, il suono. «La poesia della Slam Poetry attinge spesso dalla vita quotidiana – spiega Maragoni – dalle situazioni che uno vive tutti i giorni, che in qualche caso sono condivise, comuni. In questo assomiglia per certi aspetti alla stand up comedy, nel parlare, ad esempio, della propria regione di origine o del proprio rapporto con il cellulare, di un amore finito o un amore iniziato. In altri casi, invece, la Slam Poetry porta alla luce delle situazioni specifiche che magari non tutti vivono. Per molte persone, che raccontano storie di marginalità, di disuguaglianze, di omofobia, assume anche un significato politico».
«Grandi Numeri» è un monologo che mescola il linguaggio della Slam Poetry, della stand up comedy e del teatro. Una sfida con il pubblico, che viene chiamato a interagire attraverso una “raccolta dati” in tempo reale. Al centro dello spettacolo, il tema della transizione umana al mondo digitale, e la volontà di riscoprire, come recita la sinossi, «al di fuori del flusso di dati e di algoritmi cosa vuol dire incontrarsi dal vivo tra sconosciuti».
«A un certo punto della mia vita ha pensato che attraverso i numeri avrei capito il mondo meglio» spiega Maragoni, che dopo aver conseguito un dottorato in scienze statistiche all’Università di Padova avrebbe dovuto lavorare in questo campo. «Studiavo statistica per le scienze sociali. I numeri mi hanno sempre dato l’idea di qualcosa di rassicurante. Quello che è successo successivamente è stato passare dal “contare” le persone a “raccontarle”. Ho cercato di trasformare i dati in narrazioni, cioè di allontanarmi da un aspetto quantitativo per avvicinarmi a un aspetto umanistico che in un’epoca così tecnologica come la nostra, dove c’è una datificazione, una trasformazione di esseri umani in dati, rimane forse la cosa più umana che abbiamo: il raccontarci storie».
Forse di poesia, come di teatro, non c’è un “bisogno” in senso stretto, come c’è invece un bisogno di cure mediche, di lotta al cambiamento climatico o alle disuguaglianze. Ma sul valore della poesia, Lorenzo Maragoni non ha dubbi: «la poesia, soprattutto quella orale, fa uscire persone di casa, crea tessuto sociale, crea riconoscimento. Il linguaggio poetico ci aiuta a riguardare la realtà che guardiamo tutti i giorni, a farla passare da sfondo a primo piano. Anche all’interno di una serata in cui segue un talk o segue una divulgazione, il momento poetico fa sintesi. È come se desse una bussola, una chiave di lettura per quello che succede dopo o per quello che è successo intorno. Da questo punto di vista, penso sinceramente che la poesia sia utile».