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Uno sguardo a 360 gradi dalla cima del monte Redondo

Articolo. L’instabilità metereologica di questo periodo sconsiglia gite montane a quote elevate: il rischio di trovarsi immersi in un mare di nubi già di primo mattino e la minaccia di temporali suggeriscono di “volare basso” senza per questo rinunciare ad escursioni ugualmente interessanti e accattivanti

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Torniamo in terra di Ardesio, questa volta per compiere un itinerario ad anello sul monte Redondo. Punto di partenza è la frazione Piazzolo (780m) presso il piccolo posteggio al termine della strada asfaltata. Qualora fosse pieno, è consuetudine parcheggiare lungo la strada, sul lato a valle, senza creare ostacolo alla viabilità. Ci incamminiamo lungo la cementata diretta ad Ave (segnavia CAI n°312). Le pendenze non lasciano dubbi: siamo in bergamasca! Dopo pochi minuti, presso un tornante, una fontana da cui sgorga acqua freschissima invita a riempire le borracce. Facciamo scorta anche perché non ci saranno altre possibilità di rifornimento.

Ci vogliono tre quarti d’ora di chiacchiere variopinte per giungere ad Ave (1099m). Il sentiero n° 312 non attraversa la contrada ma una deviazione è d’obbligo. Le antiche e bellissime dimore di Ave creano un vero e proprio incanto. Fino alla metà del secolo scorso era una contrada molto animata poi, con il crollo dell’economia montana, è iniziato il progressivo spopolamento del borgo. L’origine del nome ha portato gli studiosi a formulare numerose ipotesi, tra le quali la più credibile fa riferimento all’antica voce avio o abio che indica una «sorgente di montagna», derivata dalla radice indoeuropea ap «acqua». E in effetti l’acqua ad Ave non manca: aggrappata a mezza costa sui ripidi pendii meridionali del monte Corrù, si affaccia sulla valle del torrente Rino dove le acque scrosciano vivaci.

È un piacere passeggiare per Ave. Quasi tutte le abitazioni sono state recuperate, alcune di queste sono aperte nei weekend. Scambio due parole con Tobia la cui casetta, a fianco della chiesa di San Rocco, è un vero gioiello: «Ad Ave non abita più nessuno. Questa casa l’ho sistemata con l’aiuto di mio figlio e di un muratore, due anni faticosissimi, non lo rifarei più, però adesso ce la stiamo godendo. Qui abbiamo il sole tutto l’anno e d’inverno, nonostante la quota, la neve svanisce rapidamente. È il posto ideale per chi cerca tranquillità : la mattina i cervi vengono a pascolare sotto casa». Tobia, uomo dalla cordialità genuina, non è di Ardesio ma di Valgoglio. Da tempo cercava una baita da sistemare, finché un giorno, giunto ad Ave, se ne è innamorato ed ha capito che quello era il posto giusto.

Riguardo al borgo di Ave mi piace citare le parole di Enzo Valenti, giornalista della valle Seriana e decano de L’Eco di Bergamo, in un’intervista del 2021 curata dalla nostra Marina Marzulli: «Sono contento, vent’anni fa, di avere raccontato la storia degli ultimi abitanti di Ave di Ardesio, frazione distante un’ora di cammino dal paese. Erano rimasti in quattro: l’Angelina, il marito e i due cognati. Ora non ci abita più nessuno, ma io ricordo i tempi in cui c’era una piccola osteria e la scuola sussidiaria. Gli ultimi abitanti contadini ci parlavano delle loro difficoltà e della vita grama che conducevano, anche se per fortuna loro avevano le mucche e non erano poverissimi rispetto ad altri, che davvero mangiavano solo polenta e pica sö (un modo per dire che oltre alla polenta non c’è altro, oppure per indicare l’abbinamento della polenta con salumi, sarde salate, o formaggi, ndr). Erano persone di grandissima manualità: costruivano tutto loro con il legno, comprese le posate e gli attrezzi per scremare il latte. Tutto un sapere andato perso, come la conoscenza delle erbe spontanee dei boschi e dei pascoli, dal paruch alla cicerbita (due erbe montane, ndr). Ne conoscevano un centinaio».

Torniamo sui nostri passi a riprendere la mulattiera (il segnavia è sempre il 312) che sale tra bosco e radure e arriva a lambire i prati di Candave (1250 m), dove spiccano alcune baite mirabilmente ristrutturate. La mulattiera lascia il posto al sentiero che continua a salire fino alla sella di Vodala (1574 m), un piccolo valico di pascolo nelle vicinanze del rifugio Vodala e degli impianti di risalita degli Spiazzi di Gromo. Dalla sella, deviando a destra, in cinque minuti si arriva al rifugio. Noi invece andiamo a sinistra abbassandoci un poco fino ai ruderi della baita bassa di Vodala. Da qui, procedendo in piano per la strada sterrata, giungiamo alla stazione di arrivo della seggiovia della pista nera Orsini.

Un cartello di legno sulla sinistra indica la via per il Redondo. È un percorso divertente con molti punti panoramici che ci guida ad una sella erbosa (1665m) posta sullo spartiacque tra l’arcigno monte Corrù a est e il più docile monte Redondo verso ovest.

Procedendo oltre la sella, il sentiero, sempre molto evidente, sale con decisione una balza prativa, poi attraversa un panoramico pianoro di pascoli e infine affronta un ultimo strappetto per guadagnare la cima. Non esiste alcun segnale a indicare la sommità (1799m) ma, poco più in basso e affacciata su Gromo, sorge un piccolo altare con una Madonnina bianca e una croce alle sue spalle.

Mentre scrutiamo l’orizzonte, dal versante di Ardesio sale repentina la tipica nebbia delle Orobie che in un attimo avvolge il Redondo. Addio panorama e sosta contemplativa!

Torniamo sui nostri passi fino alla seggiovia Orsini (1600m) e scendiamo lungo la pista da sci per un breve tratto fino a quando la pendenza diviene significativa. Qui (1550m), sulla destra, imbocchiamo la strada di servizio delle piste che in breve ci conduce alla baita Spiazzoli (1505m). Un insolito viavai di persone ci accoglie: siamo nel bel mezzo di una passeggiata ludico-ricreativa che tocca le principali malghe della zona. Notiamo subito che il ristoro scarseggia decisamente di cibarie ma abbonda in bevande e aperitivi di ogni sorta. Chiedo lumi e mi viene risposto che il cibo si trova all’arrivo, mentre gli aperitivi servono a facilitare la discesa…

Poco sotto la baita Spiazzoli, all’altezza di un tornante, abbandoniamo la strada sterrata per imboccare un sentiero che consente di raggiungere gli Spiazzi lontano dalle piste da sci. È un tracciato molto scorrevole, immerso nell’abetaia, che potrebbe anche essere una pista da downhill ma di segnali in tal senso non ne abbiamo visti. Senza incrociare alcuna bici sbuchiamo nei prati degli Spiazzi di Gromo in corrispondenza della partenza della seggiovia della pista Orsini.

Procediamo in direzione ovest per il tratto che passa accanto a una pozza d’abbeverata (1155m) e si immette in via Pineta. Siamo in una zona residenziale ricca di villette, tutte curate ma inesorabilmente chiuse. Seguiamo via Pineta in discesa e, giunti alla prima biforcazione, svoltiamo a sinistra per via dei Legni che seguiamo fino in fondo. Dove termina l’asfalto inizia la mulattiera diretta alla località Botto alto (cartello indicatore).

Ci siamo immessi in un tratto dell’Alta via delle Grazie (settima tappa) e del Sentiero dei Sapori. Sono queste le indicazioni più frequenti che si incontrano lungo il cammino; le seguiamo senza esitazione. Il percorso è un lungo traverso ondulato di quasi cinque chilometri immerso in un contesto ambientale di grande interesse, capace anche di offrire scorci inusuali sulla vallata. Occorre un’oretta e mezza per raggiungere Botto alto, ma ne vale la pena.

Botto alto (830m) è un pugno di case in posizione assolata, quasi tutte abitate, con la bella chiesetta di Santa Lucia a dare lustro alla contrada. Seguiamo la strada asfaltata in discesa e poi un tratto ancora di sentiero.

Arriviamo così al ponte sul torrente Rino dove risalta una bella cascata. Ci avviciniamo e, dopo aver superato alcuni massi, eccoci sulla spiaggetta dinnanzi alla cascata. Subito noto Maria togliersi scarpe, calze e infilare i piedi nelle acque gelide. Mai gesto fu più contagioso: nel giro di pochi minuti ci ritroviamo tutti quanti con i piedi “a pucia”!

Attimi di brividi ma sufficienti a ritemprarci. Così riprendiamo il cammino che ormai è giunto all’epilogo. Una piccola salita di cemento sotto un’imponente falesia rocciosa ci conduce a Piazzolo. Questa contrada conserva angoli suggestivi, preziosi testimoni dell’origine medioevale del borgo. Le case sono costruite vicinissime una all’altra, lasciando solo lo spazio a strette viuzze e piccoli portici di accesso alle abitazioni. A monte della contrada si trovano prati a pascolo, mentre affacciati verso valle ci sono i terrazzamenti con gli orti. Ad oggi una decina di famiglie vive stabilmente a Piazzolo. Attraversato il borgo ci ritroviamo al punto di partenza.

P.S. L’escursione qui descritta è lunga 19km con 1250 m di dislivello positivo. Calcolare sei ore abbondanti di cammino. Il rifugio Vodala rappresenta l’unico punto di appoggio lungo il percorso.

P.P.S. È interessante sapere che trecento metri sotto la cima del monte Redondo, sul versante rivolto verso gli Spiazzi, si trova il Büs di Tàcoi, una grotta carsica molto particolare. Il nome deriva dal Gracchio Corallino (in bergamasco Tàcol), un passeraceo montano che utilizza l’antro d’ingresso per nidificare. È una grotta unica nel suo genere perché presenta tutte le caratteristiche speleologiche tipiche del carsismo: cunicoli, pozzi, meandri, strettoie, camini, laghetti, sifoni che introducono allo splendido lago verde, uno specchio d’acqua color smeraldo. Per esplorare il lago negli angoli più remoti gli speleologi hanno una piccola imbarcazione gonfiabile. La grotta è tutta rivestita da concrezioni di ogni tipo e colore. A detta degli esperti si tratta della grotta più bella della Lombardia. Naturalmente l’accesso è consentito soltanto se accompagnati da una guida. La visita, che richiede buona esperienza di montagna e di arrampicata, dura dalle 5 alle 7 ore. Anche se apparentemente cara (135 euro/persona comprensivi di guida e attrezzatura) rappresenta un’esperienza unica nel suo genere. Quest’anno l’Ufficio Turistico di Gromo organizza le visite nelle seguenti date: 13 e 27 luglio, 24 agosto, 14 e 28 settembre. Per informazioni contattare direttamente l’ufficio telefonicamente allo 0346 41345 o per mail [email protected].

(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)

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