Università, le proteste pro Gaza da decifrare

MONDO. «Ce n’etait qu’un debùt», non è che l’inizio, dicevano i giovani per le strade di Parigi oltre mezzo secolo fa, all’epoca del famoso Maggio francese.

Allora come oggi le manifestazioni che dettero vita al ’68 erano state precedute dalle occupazioni degli atenei americani contro la guerra nel Vietnam e non sempre si trattava di episodi pacifici. Siamo ancora a maggio, ma è una coincidenza, perché le analogie tra ieri e oggi si fermano qui, ed è presto per dire che le occupazioni nelle università della California, della Columbia di New York e di altri atenei contro la guerra di Gaza sono un anticipo di un nuovo ’68 postmoderno contro l’ordine mondiale. Però non è nemmeno corretto scambiare le proteste come episodi di facinorosi senza voglia di studiare, come sono stati liquidati da Joe Biden e soprattutto da Donald Trump, i due candidati ottantenni alla Casa Bianca, impegnatissimi nel cercare di conquistare il consenso della «maggioranza silenziosa», ognuno a modo loro, naturalmente.

In realtà intellettuali come lo storico David Cortright, professore emerito dell’Università di Notre Dame, affermano che le manifestazioni sono già paragonabili a molti altri grandi movimenti di protesta degli ultimi 60 anni, tra cui la campagna per la fine dell’apartheid in Sudafrica e le manifestazioni di «Occupy Wall Street» del 2011 contro l’avidità delle aziende. In questo caso le richieste dei manifestanti pro Palestina erano varie, ma la maggior parte delle proteste aveva chiesto agli atenei di disinvestire dalle aziende che sostengono Israele e la guerra a Gaza. Dopo giorni di proteste è intervenuta la polizia per sgomberare gli atenei dai manifestanti, arrestando oltre 2mila giovani. Anche il presidente alla fine ha deciso di commentare l’accaduto. «Non siamo una nazione autoritaria», ha detto, «che mette a tacere le persone o schiaccia il dissenso. Il popolo americano viene ascoltato. In effetti, la protesta pacifica è nella migliore tradizione degli americani che rispondono a questioni importanti. Ma non siamo nemmeno un Paese senza legge. Siamo una società civile e l’ordine deve prevalere. Distruggere una proprietà non è una protesta pacifica. È contro la legge. Vandalismo, violazione di domicilio, rottura di finestre, chiusura di campus, cancellazione di lezioni e lauree: niente di tutto questo è una protesta pacifica. Minacciare le persone, intimidirle, incutere loro paura non è una protesta pacifica. È contro la legge. Il dissenso è essenziale per la democrazia. Ma il dissenso non deve mai portare al disordine o alla negazione dei diritti degli altri, in modo che gli studenti possano finire il semestre e la loro istruzione universitaria». Anche Trump ha detto la sua, imputando al rivale di non essere stato abbastanza duro: «Estremisti e agitatori di estrema sinistra stanno terrorizzando i campus americani. Una rivoluzione della sinistra radicale sta avvenendo nel nostro Paese. Dov’è Joe Biden? Dov’è il governatore Newsom?». Quando una folla di migliaia di persone ha assalito a Washington il tempio della democrazia, il Campidoglio, il 6 gennaio 2022, devastando i locali e facendo 5 vittime, Trump era sembrato molto più accondiscendente e comprensivo, vai a sapere.

Fatto sta che le manifestazioni studentesche di questi giorni, al netto della loro deprecabile violenza, sono il culmine di mesi di attivismo e di precedenti tensioni nei campus, iniziate pochi giorni dopo l’attacco di Hamas a Israele il 7 ottobre. Gli studenti si sono organizzati intorno a una richiesta particolare: il disinvestimento delle università dai produttori di armi, man mano che crescevano le vittime del massacro di Gaza. Ed è sorprendente, soprattutto alla Columbia University di New York, una città in cui la stragrande maggioranza dei suoi abitanti è di origine ebraica. Si ha l’impressione che i due candidati alla Casa Bianca non li capiscano fino in fondo, anche per il distacco generazionale, e forse hanno liquidato quella protesta un po’ troppo in fretta.

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