PURO E DISPOSTO A SALIRE A LE STELLE
33.136 S'io avessi, lettor, più lungo spazio
33.137 da scrivere, i' pur cantere' in parte
33.138 lo dolce ber che mai non m'avrìa sazio;
33.139 ma perché piene son tutte le carte
33.140 ordite a questa cantica seconda,
33.141 non mi lascia più ir lo fren de l'arte.
33.142 Io ritornai da la santissima onda
33.143 rifatto sì come piante novelle
33.144 rinnovellate di novella fronda,
33.145 puro e disposto a salire a le stelle.
Con l'inizio del canto XXXIII, l'ultimo della seconda cantica, Beatrice turbata contempla l'immagine del carro con sopra la “puttana” e il gigante, allusione alla Chiesa corrotta ed al suo asservimento alla monarchia francese. Beatrice profetizza a Dante che presto arriverà, mandato da Dio, un “cinquecento diece e cinque” (v. 43) che ucciderà la meretrice ed il gigante “che con lei delinque” (v. 45). E' una profezia famosa, come quella del Veltro che abbiamo trovato nel primo canto dell'Inferno, interpretata come allusione alla figura di un imperatore legittimo (forse Arrigo VII) in grado di ristabilire nel mondo l'ordine e la pace. Anche in questo caso, se Dante non ci ha fornito elementi sufficienti per l'identificazione, meglio accontentarsi di quanto ci dice e del suo significato generale: se anche gli uomini deludono, la speranza nell'intervento divino non verrà mai meno. Beatrice affida quindi al poeta una vera e propria missione: 52 Tu nota; e sì come da me son porte, 53 così queste parole segna a' vivi 54 del viver ch'è un correre a la morte. La Commedia ha un valore testimoniale: Dante deve annotare le rivelazioni di Beatrice e farsene portavoce presso gli uomini, proprio come Giovanni, testimone delle visioni dell'Apocalisse: “Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito” (Ap 1, 19). Dante e Stazio bevono poi all'acqua dell'Eunoè, il fiume che ravviva la memoria del bene compiuto. Terminato così il percorso di purificazione, Dante rivolge un appello al lettore, ricordandogli che -se avesse più spazio- continuerebbe a cantare la dolcezza di quell'acqua della quale non sarebbe mai sazio; le “carte” però sono “piene” e il “freno dell'arte” non concede ulteriori digressioni. E' venuto il momento di concludere: uscito fuori dalle acque che lo hanno del tutto rinnovato, Dante riconosce di essere ormai “puro e disposto a salire a le stelle” (v. 145) e conclude la seconda cantica con la stessa parola, “stelle”, con la quale aveva chiuso la prima (“E quindi uscimmo a riveder le stelle”, IF XXXIV, 139) e chiuderà la terza (“l'Amor che move il sole e l'altre stelle”, PD XXXIII, 145). Si tratta dell'invito, rivolto ai lettori di ogni tempo, ad alzare lo sguardo verso il cielo, alla meta cui tutti dobbiamo tendere.
Enzo Noris