IO SOVRA TE CORONO E MITRIO
27.126 in me ficcò Virgilio li occhi suoi,
27.127 e disse: «Il temporal foco e l'etterno
27.128 veduto hai, figlio; e se' venuto in parte
27.129 dov'io per me più oltre non discerno.
27.130 Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
27.131 lo tuo piacere omai prendi per duce;
27.132 fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte. [...]
27.139 Non aspettar mio dir più né mio cenno;
27.140 libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
27.141 e fallo fora non fare a suo senno:
27.142 per ch'io te sovra te corono e mitrio».
Preso congedo dai lussuriosi Guido Guinizzelli e Arnaut Daniel, Dante si trova davanti il muro di fiamme che lo separa dal Paradiso terrestre. Il poeta ricorda di aver visto la fine orribile dei condannati al rogo e non ne vuol sapere di proseguire. Sarà Virgilio a spronarlo, ricordandogli le prove che insieme hanno superato; ora si tratta si affrontare l'ultima: oltre le fiamme Beatrice lo aspetta, anzi gli pare già di vederla. Dante allora si decide e, con Virgilio davanti e Stazio dietro, entra nel fuoco e lo attraversa. Superate le fiamme, i tre vengono accolti dall'angelo che li invita a salire lungo una scala, prima che faccia buio. Poi, con il sopraggiungere della sera, i tre poeti si preparano a trascorrere la notte, sistemandosi ciascuno sopra un gradino. Nel sonno Dante sogna una fanciulla, Lia, che raccoglie fiori per farne una ghirlanda mentre sua sorella, Rachele, si guarda allo specchio. Le due fanciulle, tradizionalmente interpretate come allegorie della vita attiva e della vita contemplativa, rappresentano in qualche modo una anticipazione delle figure femminili che Dante incontrerà nel Paradiso terrestre: Matelda e Beatrice. Al mattino, ripreso il cammino, Virgilio si congeda da Dante prima di tornare nel Limbo, ora che la sua missione è terminata con successo. Nelle parole di Virgilio c'è tutta la commozione del maestro, della guida, del buon padre, che riconosce al discepolo la sua piena autonomia: “Ora io ti incorono signore di te stesso!”