ESURIENDO SEMPRE QUANTO È GIUSTO
24.145 E quale, annunziatrice de li albori,
24.146 l'aura di maggio movesi e olezza,
24.147 tutta impregnata da l'erba e da' fiori;
24.148 tal mi senti' un vento dar per mezza
24.149 la fronte, e ben senti' mover la piuma,
24.150 che fé sentir d'ambrosia l'orezza.
24.151 E senti' dir: «Beati cui alluma
24.152 tanto di grazia, che l'amor del gusto
24.153 nel petto lor troppo disir non fuma,
24.154 esuriendo sempre quanto è giusto!».
Dopo l'intervento di Bonagiunta Orbicciani, riprende il colloquio tra Dante e Forese. Costui chiede al poeta quando potranno rivedersi e Dante confessa che, per la corruzione dilagante nella sua città, non vede l'ora di poterlo raggiungere presto in Purgatorio. Prima di congedarsi, Forese accenna profeticamente alla morte del fratello Corso Donati, ambizioso politico di parte nera colpevole di tanti misfatti, responsabile della rovina di Firenze e dell'esilio di Dante. Dopo che Forese si è allontanato, i tre pellgrini vedono una turba di golosi che si protende inutilmente verso le fronde di un albero e delusa si ritira. Dall'albero una voce misteriosa accenna ad esempi di golosità punita, invitando i nostri a passare oltre senza avvicinarsi. Procedendo un poco in silenzio ecco apparire l'angelo della temperanza che invita i tre a salire alla cornice successiva. Dante avverte un vento sfiorargli la fronte e le ali dell'angelo che gli cancellano un'altra delle sette P. Il canto si chiude con la proclamazione -in parafrasi- della quarta beatitudine evangelica: “Beati coloro che, illuminati dalla Grazia, non si lasciano dominare dall'istinto della gola ma alimentano costantemente la loro fame di giustizia”.
Enzo Noris