CHE IL TEMPO NON PASSI PERDUTO
IF XI, 10 ss.
«Lo nostro scender conviene esser tardo,
sì che s'ausi un poco in prima il senso al tristo fiato;
e poi no i fia riguardo».
Così 'l maestro; e io «Alcun compenso»,
dissi lui, «trova che 'l tempo non passi perduto».
Ed elli: «Vedi ch'a ciò penso».
Lasciate le tombe infuocate dove giacciono gli eretici, Dante e Virgilio raggiungono l'orlo di un dirupo che separa il sesto dal settimo cerchio. Dal fondo della scarpata sale una puzza nauseabonda, insopportabile. Occorre che l'olfatto si abitui al fetore: è proprio vero che col tempo ci si abitua anche alle cose peggiori.
Per ingannare l'attesa, Dante chiede a Virgilio di sfruttare il tempo utilmente, affinché non lo si perda: il discepolo si è fatto più volenteroso e zelante, prende l'iniziativa anticipando il maestro. Il suo infatti non è un viaggio vissuto passivamente, dal di fuori, ma un pellegrinaggio che richiede un coinvolgimento interiore, va agito in prima persona, da protagonista. Virgilio non si lascia cogliere impreparato, del resto è lui la guida e tocca a lui descrivere al discepolo non solo le tappe successive del viaggio ma addirittura l'ordinamento morale dell'Inferno, ordinato sulla base dell'Etica Nicomachea di Aristotele.
Dopo gli incontinenti seguono i violenti, suddivisi in violenti contro il prossimo ed i suoi averi, contro se stessi, contro Dio, natura ed arte; poi vengono i fraudolenti, cioè coloro che ingannano chi non si fida ed infine i traditori, coloro che ingannano chi si fida.
Enzo Noris