NAUFRAGHI
IF I, 22-27
Uscito miracolosamente dalla selva oscura, Dante arriva ai piedi di un colle alle prime luci dell'alba e, guardando verso l'alto, lo vede illuminato dai raggi del sole. A questa vista, la paura che lo aveva invaso nella notte fin quasi a soffocarlo si dissolve un poco, come quando intravediamo la luce in fondo ad una galleria buia che sembrava averci inghiottito.
Dante inserisce qui la prima similitudine del poema, riprendendo l'esperienza del naufrago scampato miracolosamente alla morte:
E come quei che con lena affannata,/uscito fuor dal pelago a la riva,/si volge all'acqua perigliosa e guata,/ così l'animo mio, ch'ancor fuggiva,/ si volse a retro a rimirar lo passo/ che non lasciò già mai persona viva.
La grande metafora della vita come viaggio, come cammino, si arricchisce di un'altra immagine di straordinaria efficacia, questa volta presa dal mare: la vita è una navigazione pericolosa, che a volte può concludersi tragicamente. Il riconoscerci naufraghi, scampati per miracolo alla morte, potrebbe predisporci a vivere con più saggezza e con più riconoscenza
Enzo Noris