-92 anni fa, il 1.o dicembre 1923 la valle di Scalve e parte della valle Camonica venivano devastate dal crollo della diga del Gleno. I morti furono centinaia. Una ferita ancora oggi molto dolorosa. -Immagini che, ai nostri giorni ci azzardiamo a definire affascinanti, ma che raccontano in modo chiaro e crudo, a 92anni di distanza, un dramma che, ancora oggi, è una ferita apertissima, profonda, molto dolorosa, non soltanto per la spaccatura nella struttura della diga del Gleno sventrata da 6 milioni di metri cubi d'acqua il 1.o dicembre 1923, ma per le centinaia di morti, probabilmente più di 500, una stima precisa non fu mai possibile, che l'acqua si portò via. 6 milioni di metri cubi d'acqua che, alle 7.15 del mattino spazzarono via intere famiglie, case, paesi, la storia di un'intera valle, la valle di Scalve. «Era come un terremoto, un tuono». «Un rumore come di grosse pietre che rotolano». «Non sapevamo che fosse tutta quell'acqua, faceva paura». Sono sempre stati questi i racconti dei sopravvissuti. La barriera che sbarrò la conca del torrente Povo a circa 1.500 metri di quota, non resse alla forza dell'acqua. E a pagare per gli errori di costruzione, i cambi di progetto, gli interessi economici di chi non si preoccupava della vita degli altri, furono centinaia di povere persone, alle quali era stato raccontato che la diga avrebbe portato benessere. In realtà la gente della valle di Scalve venne soltanto sfruttata e pagò con la vita. Oggi i ruderi inquietanti sono lì a fare da guardia e a ricordare l'errore dell'uomo, come raccontano le incredibili immagini di Guido Merelli di Vertova. Ma a 92anni di distanza il dolore è ancora forte.
-92 anni fa, il 1.o dicembre 1923 la valle di Scalve e parte della valle Camonica venivano devastate dal crollo della diga del Gleno. I morti furono centinaia. Una ferita ancora oggi molto dolorosa. -Immagini che, ai nostri giorni ci azzardiamo a definire affascinanti, ma che raccontano in modo chiaro e crudo, a 92anni di distanza, un dramma che, ancora oggi, è una ferita apertissima, profonda, molto dolorosa, non soltanto per la spaccatura nella struttura della diga del Gleno sventrata da 6 milioni di metri cubi d'acqua il 1.o dicembre 1923, ma per le centinaia di morti, probabilmente più di 500, una stima precisa non fu mai possibile, che l'acqua si portò via. 6 milioni di metri cubi d'acqua che, alle 7.15 del mattino spazzarono via intere famiglie, case, paesi, la storia di un'intera valle, la valle di Scalve. «Era come un terremoto, un tuono». «Un rumore come di grosse pietre che rotolano». «Non sapevamo che fosse tutta quell'acqua, faceva paura». Sono sempre stati questi i racconti dei sopravvissuti. La barriera che sbarrò la conca del torrente Povo a circa 1.500 metri di quota, non resse alla forza dell'acqua. E a pagare per gli errori di costruzione, i cambi di progetto, gli interessi economici di chi non si preoccupava della vita degli altri, furono centinaia di povere persone, alle quali era stato raccontato che la diga avrebbe portato benessere. In realtà la gente della valle di Scalve venne soltanto sfruttata e pagò con la vita. Oggi i ruderi inquietanti sono lì a fare da guardia e a ricordare l'errore dell'uomo, come raccontano le incredibili immagini di Guido Merelli di Vertova. Ma a 92anni di distanza il dolore è ancora forte.