Una liturgia senza la presenza fisica del popolo dei fedeli: la celebrazione della Domenica delle Palme presieduta da monsignor Francesco Beschi in un Duomo deserto, condivisa però attraverso gli schermi di Bergamotv, per consentire a chi desiderasse partecipare di non essere soffocato dal senso della solitudine. Ed è proprio "solitudine", insieme ad "abbandono" il termine ricorrente nell'omelia del Vescovo di Bergamo. «E' come se Gesù entrasse da solo in Gerusalemme», ha detto monsignor Beschi. «E' la solitudine di papa Francesco sul sagrato della basilica di San Pietro, quella di cui tutti noi abbiamo paura». «E' la paura dell'abbandono che si legge negli occhi dei malati, abitati dal desiderio di un respiro, ma anche dall'attesa di uno sguardo, per non sentirsi soli nel momento più difficile». Perchè tutto ciò che stiamo vivendo abbia un senso, dovremo uscire trasformati da questa esperienza; «Niente sarà più come prima», ha concluso il Vescovo, «solo se diventeremo testimoni del "prendersi cura" gli uni degli altri, dell'essere là dove gli uomini e le donne di oggi sono crocefissi. Oggi non possiamo sventolare i ramoscelli d'ulivo: siamo noi stessi a sventolare, per salutare Gesù testimoniando la nostra presenza».
Una liturgia senza la presenza fisica del popolo dei fedeli: la celebrazione della Domenica delle Palme presieduta da monsignor Francesco Beschi in un Duomo deserto, condivisa però attraverso gli schermi di Bergamotv, per consentire a chi desiderasse partecipare di non essere soffocato dal senso della solitudine. Ed è proprio "solitudine", insieme ad "abbandono" il termine ricorrente nell'omelia del Vescovo di Bergamo. «E' come se Gesù entrasse da solo in Gerusalemme», ha detto monsignor Beschi. «E' la solitudine di papa Francesco sul sagrato della basilica di San Pietro, quella di cui tutti noi abbiamo paura». «E' la paura dell'abbandono che si legge negli occhi dei malati, abitati dal desiderio di un respiro, ma anche dall'attesa di uno sguardo, per non sentirsi soli nel momento più difficile». Perchè tutto ciò che stiamo vivendo abbia un senso, dovremo uscire trasformati da questa esperienza; «Niente sarà più come prima», ha concluso il Vescovo, «solo se diventeremo testimoni del "prendersi cura" gli uni degli altri, dell'essere là dove gli uomini e le donne di oggi sono crocefissi. Oggi non possiamo sventolare i ramoscelli d'ulivo: siamo noi stessi a sventolare, per salutare Gesù testimoniando la nostra presenza».