Come eri vestita?
E' il titolo di una mostra che è visibile fino al 17 novembre al piano terra del Tribunale di Bergamo. L'iniziativa mondiale, nata in Arkansas ora è arrivato in Italia grazie a Libere Sinergie.
L'idea alla base del lavoro è quella di sensibilizzare il pubblico sul tema della violenza sulle donne partendo da una domanda ricorrente e davvero fastidiosa posta a chi subisce molestie o violenza sessuale.
Ma come eri vestita?
Una domanda che sottende quasi delle corresponsabilità come se la vittima avesse potuto in qualche modo evitare la violenza se solo avesse indossato abiti meno provocanti.
Questa mostra si pone l'obiettivo di smontare tale pregiudizio partendo dal racconto di brevi storie di abusi poste accanto ad abiti in esposizione che intendono rappresentare i vestiti indossati al momento delle violenze.
L'obiettivo finale è quello di combattere il senso di colpa sacricato sulle vittime.
«Avevo 15 anni e lui era un amico dei miei genitori, una sera tutti insieme siamo andati ad una festa: mi sono accorta di aver dimenticato alcuni addobbi e lui si è offerto di accompagnarmi a casa per recuperarla».
«Ha cambiato strada e da quel momento ho capito che stava succedendo qualcosa di brutto. Si è fermato in una zona isolata e mi ha stuprata».
«Mia madre mi lasciava spesso dagli zii la domenica pomeriggio così potevo giocare con mio cugino. Ma quel pomeriggio la zia non c'era nemmeno il cugino, ma lo zio disse alla mamma che erano su in casa. Avevo una bellissima gonna scozzese con un maglione rosso a forma di cuore. Mi hanno chiesto: Ma com'eri vestita? Abbracciavi lo zio? Tenevi le gambe composte quando giocavi? Non ho mai risposto. Mi sono sempre vergognata».
Il servizio di Simona Befani
Come eri vestita?
E' il titolo di una mostra che è visibile fino al 17 novembre al piano terra del Tribunale di Bergamo. L'iniziativa mondiale, nata in Arkansas ora è arrivato in Italia grazie a Libere Sinergie.
L'idea alla base del lavoro è quella di sensibilizzare il pubblico sul tema della violenza sulle donne partendo da una domanda ricorrente e davvero fastidiosa posta a chi subisce molestie o violenza sessuale.
Ma come eri vestita?
Una domanda che sottende quasi delle corresponsabilità come se la vittima avesse potuto in qualche modo evitare la violenza se solo avesse indossato abiti meno provocanti.
Questa mostra si pone l'obiettivo di smontare tale pregiudizio partendo dal racconto di brevi storie di abusi poste accanto ad abiti in esposizione che intendono rappresentare i vestiti indossati al momento delle violenze.
L'obiettivo finale è quello di combattere il senso di colpa sacricato sulle vittime.
«Avevo 15 anni e lui era un amico dei miei genitori, una sera tutti insieme siamo andati ad una festa: mi sono accorta di aver dimenticato alcuni addobbi e lui si è offerto di accompagnarmi a casa per recuperarla».
«Ha cambiato strada e da quel momento ho capito che stava succedendo qualcosa di brutto. Si è fermato in una zona isolata e mi ha stuprata».
«Mia madre mi lasciava spesso dagli zii la domenica pomeriggio così potevo giocare con mio cugino. Ma quel pomeriggio la zia non c'era nemmeno il cugino, ma lo zio disse alla mamma che erano su in casa. Avevo una bellissima gonna scozzese con un maglione rosso a forma di cuore. Mi hanno chiesto: Ma com'eri vestita? Abbracciavi lo zio? Tenevi le gambe composte quando giocavi? Non ho mai risposto. Mi sono sempre vergognata».
Il servizio di Simona Befani