IL FRENO DELLA VIRTU'
IF XXVI
Il canto XXVI si apre con una celebre invettiva contro Firenze, invitata ironicamente a godere perché la sua fama è nota per mare e per terra ma il suo nome si espande soprattutto nell'Inferno:
1 Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande,
2 che per mare e per terra batti l'ali,
3 e per lo 'nferno tuo nome si spande!
Segue poi un richiamo che Dante fa a se stesso perché l'ingegno, che ha ottenuto da un destino favorevole e dalla Grazia divina, sia tenuto a freno dalla virtù e non corra troppo, sottraendosi alla guida della virtù:
19 Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
20 quando drizzo la mente a ciò ch'io vidi,
21 e più lo 'ngegno affreno ch'i' non soglio,
22 perché non corra che virtù nol guidi;
23 sì che, se stella bona o miglior cosa
24 m'ha dato 'l ben, ch'io stessi nol m'invidi.
Questo monito anticipa la tematica dell'incontro con Ulisse e Diomede, puniti come consiglieri fraudolenti nell'ottava bolgia perché utilizzarono il loro ingegno per ingannare il prossimo.
Degna di nota infine la similitudine del villano, in analogia con quel del villanello che apre il canto XXIV. Qui però la stagione non è più quella invernale ma è quella estiva; anche l'ora del giorno è diversa: non si tratta dell'alba ma del crepuscolo quando il calar delle tenebre rende visibili le prime lucciole.
Questa similitudine serve ad introdurre lo spettacolo dei fuochi che illuminano sinistramente il fondo della bolgia e contengono le anime dei consiglieri fraudolenti. La loro astuzia, in latino calliditas, è accostata -per contrappasso- al calore della fiamma, caliditas.
25 Quante 'l villan ch'al poggio si riposa,
26 nel tempo che colui che 'l mondo schiara
27 la faccia sua a noi tien meno ascosa,
28 come la mosca cede alla zanzara,
29 vede lucciole giù per la vallea,
30 forse colà dov'e' vendemmia e ara:
31 di tante fiamme tutta risplendea
32 l'ottava bolgia, sì com'io m'accorsi
33 tosto che fui là 've 'l fondo parea.