Sarebbero stati ben tre i defibrillatori a disposizione dei sanitari presenti allo stadio di Pescara nel giorno in cui sul campo da gioco perse la vita Piermario Morosini, il calciatore bergamasco scomparso a 25 anni il 14 aprile di quattro anni fa per un attacco cardiaco mentre era impegnato in una partita con il Livorno in cui militava, contro la squadra di casa. Nessuno di quegli strumenti, però, venne utilizzato. E' quanto emerge dalla deposizione della dirigente della Digos e vicequestore Di Giulio che era in servizio allo stadio Adriatico proprio in quella tragica data, che ha deposto ieri nell'ambito del processo che punta a stabilire eventuali responsabilità per la morte del calciatore. I soccorsi sarebbero effettivamente stati immediati e, sempre secondo la testimonianza della Di Giulio, oltre ai medici delle due squadre in campo intervenne sin dai primi momenti un operatore della Croce Rossa con un defibrillatore che però nessuno utilizzò: né quello, né il defibrillatore a disposizione della Misericordia, né quello che si trovava a bordo di un'ambulanza. L'uso delle apparecchiature avrebbe potuto forse dare qualche chance in più al giovane calciatore. A giudizio per la morte di Morosini sono stati rinviati i medici del Pescara, del Livorno e del 118 della località adriatica, accusati di omicidio colposo.