Ho cominciato ad amare Oslo la volta che ho scoperto la sua Opera House, io che non mi intendo di opera e credo di averne viste cinque in tutta la mia vita. Ma ho una vera passione per i contenitori di questo genere musical-teatrale ed è così, forse solo per un gusto quasi collezionistico, che di recente ho cercato l'Opera House a Oslo, il primo pomeriggio in cui avevo del tempo da dedicare alla città.
E l'Opera nuovissima mi ha catturata. Bianca come la neve che un mese fa ricopriva ancora la sua copertura obliqua e transitabile e perciò un tantino pericolosa, obliqua anche negli interni e che costringe dunque a guardare dove si mettono i piedi per non sbattere la testa - e dunque ancora una volta pericolosa per i nostri standard - senza barriere di protezione dall'acqua del fiordo che arriva a lambirla (e qui un pensiero: va a finire che prima o poi ci scappa il morto…), e ingegnosa nel suo incastro di due volumi, uno interno a pianta circolare e l'altro che contiene il primo con angoli di ogni ampiezza, brillante e rilucente nelle sue immense vetrate e nella sua pannellatura di alluminio.
E tutto il marmo bianco di Carrara - un capolavoro di materiale italico di Campolonghi - intorno, che riprende gli altri biancori. Una costruzione così splendida ti attira dentro, non puoi restartene fuori a lungo a camminare su e giù sul tetto ghiacciato e godere dei colori dell'acqua blu intorno e di quella magnifica opera d'arte anch'essa italiana, incagliata nel fiordo a poche centinaia di bracciate dalla riva.
E dentro pare di stare in una baita di montagna, con tutto quel legno di quercia che avvolge il nucleo, il palcoscenico, la platea e tutto l'anfiteatro. Oslo e la sua Opera House, di cui si parlò 5 anni fa quando fu inaugurata, chi se la ricordava così? Non solo, ma come si può capire una capitale, una città grande, se non si penetra nei suoi interni e non la si guarda da fuori e da dentro? Ecco altro della mia Oslo, dal di dentro. Luoghi di gastronomia e di accoglienza con salotti e hall che paiono le nostre biblioteche storiche (quelle appunto frequentate da quei pochi i quali devono studiare libri rari e preziosi). L'Hotel Bristol per esempio, un albergo dalla facciata per niente pomposa, un cinque stelle per carità, ma senza il dovere di esibire quella grandiosa biblioteca nella hall, proprio dove c'è il bar e il buro dell'accettazione. Eppure…
Scaffali e scaffali di libri da quelli leggermente datati ai vecchi, forse anche qualcosa di antico. E intanto i camerieri silenziosi scivolano veloci a prendere le ordinazioni, la luce bassa invoglia a restarsene in pace a lungo seduti con un trancio di torta sul tavolino, un libro e un drink in mano. E lo stesso al Three Brothers, un ristorante messicano e pub sulla passeggiata pedonale, in pieno centro. Quintali di libri a coté del bigliardo e del banco bar con la vendita degli alcoolici. Interni di buon legno, divani di buona pelle rossa.
E la sala col tetto di vetro a pagoda del Ristorante del Grand Hotel, nella Piazza del Parlamento, non fa pensare ai tempi di Cristiano IV? E non sono specchietti per le allodole per attirare turisti. Oslo non è una delle capitali d'Europa con un flusso di turismo paragonabile a quello delle nostre città d'arte, o delle capitali blasonate come Londra o Parigi. Eppure ne ha fatta di strada, verrebbe da pensare camminando tra le vecchie case basse, colorate, di legno della Damstredet. Sono rimaste in piedi dalla fine del ‘700.
Non c'è molto quanto ad antiche costruzioni in legno e soprattutto non è rimasto nulla dall'epoca dei grandi incendi che senza pietà e senza riguardo mandavano in fumo le città di tutta Europa. Oslo ne subì diversi dalla seconda metà del seicento e pur tuttavia ancora oggi non può fare a meno del legno, come se fosse la pelle naturale del suo “corpo” urbano. Come, peraltro, la città pare non poter fare a meno di barche. Queste sono ovunque, in ogni specchio d'acqua su cui la città è cresciuta occupando gli interstizi di questa superficie liquida.
Barche a bagno anche d'inverno, protette alla meno peggio con teloni di pvc, tenute nel giardino, a fianco dei garage, nelle darsene e nei capannoni divenuti museo, come quello della Fram, l'imbarcazione con cui Roald Amundsen (che era norvegese) raggiunse per primo il Polo Sud. O quello di Thor Heyerdahl che nel 1947 sul Kon-tiki -una imbarcazione di tronchi di balsa- navigò per 101 giorni per l'Oceano Pacifico. Due case per due barche famose, una vicino all'altra. Due storie che, dopo l'era vichinga, hanno tenuto alto l'onore della navigazione norvegese nel mondo. Un poco come le caravelle di Colombo per noi italiani.
E per chi non può avere una barca nel giardino, resta uno skate ai piedi o una bici da acrobazie. Spazi per usare sia per l'uno che per l'altra sono centralissimi e “istituzionali”. Il Municipio per esempio è ottimo, sia sul lato principale verso il giardino, sia lungo la facciata laterale, dove c'è una bella fontana esagonale da risalire con due tre salti di bici. La fontana non è sbrecciata, non si vedono cicche di canne in giro, i ragazzi che si allenano e si divertono hanno l'aria tranquilla. E soprattutto non si vedono sagome di cops (guardie, vigili, ghisa) in giro. Una bella lezione dal Nord, non c'è che dire.
Testi e foto di Ada Grilli
Opera House
Hotel Bristol
Three Brothers Pub
Grand Hotel
Campolonghi
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