Malato di Casnigo con Mattarella e Steinmeier
«Grazie a Italia e Germania una seconda vita»

Il primo paziente che hanno incontrato i due capi di Stato è stato Felice Perani, 57enne di Casnigo, ricoverato al Papa Giovanni XXIII di Bergamo e poi trasferito alla clinica dell’università di Lipsia.

A Palazzo Reale,a Milano, durante un incontro istituzionale, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e il presidente della Repubblica Federale Tedesca, Frank-Walter Steinmeier, hanno incontrato una rappresentanza dei 44 malati di Covid-19 che sono stati ricoverati in ospedali tedeschi e alcuni rappresentanti del personale sanitario. Il primo paziente che hanno incontrato è stato Felice Perani, 57enne di Casnigo, ricoverato al Papa Giovanni XXIII di Bergamo e trasferito alla clinica dell’università di Lipsia.

Perani, in coma dopo essersi sentito male, si è svegliato 15 giorni dopo e ha detto ai presidenti di pensare di «essere stato rapito. Vedevo persone incappucciate che non parlavano la lingua. Ma mi hanno trattato come un fratello, come un figlio. Anche se non parlavo la lingua, mi parlavano con gli occhi».

«Ringrazio la Germania, che mi ha salvato la vita. È come una seconda madre, una madre putativa, perché mi ha ridato la vita» ha continuato.

«Questo è qualcosa che mi fa piacere e mi onora» ha commentato Steinmeier, mentre Mattarella ha definito il racconto di Perani come «una storia bellissima».

Ricoverato il 17 marzo, è stato dimesso dalle strutture il 13 giugno: Perani, 75 anni di Casnigo, tre mesi fa ha lasciato la Casa degli Angeli di Mozzo dove era giunto per la fase di riabilitazione il 3 giugno.

Un’esperienza indelebile che ha cambiato la vita al professore dell’Isiss di Gazzaniga, amato ed apprezzato nella sua terra, che adesso può tirare un lungo sospiro di sollievo e che, adesso, si prepara a riabbracciarlo: «Vivrò ogni situazione in maniera diversa – aveva detto a L’Eco di Bergamo -, non sarò più lo stesso perché il Covid lascia segni che nulla e nessuno potrà mai cancellare. Il mio pensiero va anche a chi non ce l’ha fatta e ai parenti, perché ho provato sulla mia pelle cosa si prova quando si è isolati dal mondo, nel dolore più lacerante. Il rischio è che, una volta alle spalle l’incubo, non si possa più tornare alla normalità. Eppure, quando il male attacca, il supporto dei medicinali affiancato ad uno stile di vita sano deve essere la via giusta».

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