Daniela di Foppolo, al confine macedone:
«Il dolore dei bimbi malati e tanti anziani»

«Scrivo da Idomeni, in Grecia, al confine con la Macedonia: sento davvero il bisogno di raccontarvi ciò che sta succedendo ora e così vicino all’Italia». Inizia così la lettera di Daniela Oberti, infermiera e operatrice umanitaria bergamasca di Medici Senza Frontiere, che racconta la drammatica situazione ad Idomeni, sul confine tra Macedonia e Grecia, snodo di passaggio di molti migranti che sognano di raggiungere il nord Europa.

C’è una infermiera bergamasca e operatrice umanitaria di Medici Senza Frontiere in Macedonia: Daniela Oberti, di Foppolo, ha scritto una lettera da Idomeni, luogo nevralgico dei flussi migratori sul confine tra Grecia e Macedonia dove Medici Senza Frontiere gestisce una clinica medica e distribuisce generi di prima necessità per coloro che continuano il loro viaggio verso l’Europa occidentale.

«Scrivo da Idomeni, in Grecia, al confine con la Macedonia…sento davvero il bisogno di raccontarvi ciò che sta succedendo ora e così vicino all’Italia. I rifugiati, una volta raggiunte le coste greche dalla Turchia, arrivano ad Atene in traghetto e poi, come un imbuto rovesciato, a Idomeni, un passaggio obbligato verso i Balcani e il Nord Europa. Quassù i rifugiati arrivano con bus privati che partono da Atene. Il viaggio è di circa 10 ore, ma a volte può durare anche diversi giorni. È un lungo percorso a ostacoli e tappe: dipende da quante fermate la polizia effettua lungo il tragitto, dai frequenti scioperi dei contadini per la crisi economica che occupano con i trattori le strade, dall’apertura o meno del confine».

"Vi chiedo un pensiero per questi viaggiatori". Lo chiede a tutti noi Daniela, infermiera MSF a Idomeni, al confine tra...

Pubblicato da Medici Senza Frontiere su Venerdì 26 febbraio 2016

«Idomeni è in mezzo al nulla. Lo scorso agosto, quando c’erano 10.000 persone ferme al confine, MSF ha iniziato a costruire un campo di transito con tende per dormire, bagni, distribuzione di cibo, kit igienici, coperte, impermeabili e cure mediche. Altre organizzazioni si sono aggiunte. Qui i migranti attendono che la polizia apra il confine verso la Macedonia, così possono proseguire verso la Serbia in treno. Spesso i bus si fermano 20 chilometri prima del confine, in una stazione di servizio dove c’è solo un bar. Fino a 10 giorni fa, la sosta durava solo per qualche ora, massimo una notte o due e poi ripartivano verso il confine. La settimana scorsa il confine era chiuso, a Idomeni c’erano 5000 persone e così alla stazione di servizio Eko c’erano 2000 persone che sono rimaste per 4 o 6 giorni al freddo. Le tende erano insufficienti».

«I logisti di MSF hanno lavorato giorno e notte per allestire velocemente più tende con riscaldamento per dormire al caldo. Dopo qualche giorno, la notizia di questo ‘nuovo campo’ si è diffusa, così sono arrivate le TV, altre organizzazioni per offrire tende e gruppi di volontari per offrire una zuppa calda. Le cliniche di MSF sono in entrambi i campi, ma abbiamo anche un camper per poterci spostare laddove ci sono rifugiati. Fino a pochi giorni le tre nazionalità a cui era permesso oltrepassare il confine verso la Macedonia erano Siria, Iraq e Afghanistan. Da alcuni giorni stanno bloccando anche gli afghani. Tutti quelli che non passano (pakistani, somali, marocchini, iraniani, afgani) vengono rimandati ad Atene con un bus a pagamento. Così spesso queste persone non hanno altra scelta che affidarsi ai trafficanti per attraversare illegalmente il confine».

«Le persone che incontro nelle cliniche hanno soprattutto tosse e raffreddore per il freddo. Ci sono anche molti casi gravi che dobbiamo mandare in ospedale: donne incinte, neonati nati lungo il percorso in Turchia, bambini disidratati, disabili con piaghe da decubito infette, polmoniti gravi. A volte non accettano di andare all’ospedale perché significherebbe ritardare il loro viaggio verso il nord e perdere l’occasione di attraversare il ‘border’ aperto. Non vogliono più aspettare. Ci sono anche molti anziani, persone con malattie croniche quali diabete e ipertensione che non assumono farmaci da settimane, bambini con l’asma, uomini con infermità dovute a colpi d’arma da fuoco, molte coppie giovani preoccupate per la salute dei loro bimbi».

«Sabato era il mio giorno di riposo, ma non ho resistito…abbiamo inaugurato la tenda medica alla stazione di servizio Eko, dovevo esserci! Finalmente le persone non aspettano più al freddo fuori dal camper, ma in una bella tendona con sala d’attesa, sala medicazioni e sala di consultazione riscaldata. Appena arrivati ci chiamano subito per un’urgenza: c’era una donna che stava per partorire sul pullman…chiamiamo subito l’ambulanza che per fortuna arriva in tempo per portarla in ospedale».

«A metà mattina un siriano di circa 50 anni entra nella sala d’attesa. È ben vestito, un bel completo scuro gessato e, al posto della cravatta, una sciarpa di lana chiara. Scarpe nere eleganti usurate, ma pulite. Un signore distinto che tiene a sé e alla sua persona, alla sua dignità. Nella sala d’attesa mi occupo di fare il triage, cioè seleziono le persone che sono urgenti o prioritarie rispetto alle altre e che hanno bisogno di essere viste dal medico. Chiedo all’uomo qual è il suo problema, mi dice (in arabo attraverso il collega traduttore) che gli fa male la gamba, che ha un problema di circolazione e ha finito il farmaco che prende da quando un medico in Turchia gliel’ha prescritto. Ha la gamba effettivamente più gonfia dell’altra e dovrà aspettare il suo turno per essere visto dal medico. Lo noto in mezzo alle molte persone che vanno e vengono, resta composto, rispetta la fila pazientemente. Quando arriva il suo turno mi capita di ascoltare la conversazione tra lui e il medico croato Tonislav e il mediatore Camel. Racconta del suo problema alla gamba e poi si mette a piangere, racconta di essere stato in prigione in Siria, per molti giorni è stato in una stanza rannicchiato con tante altre persone senza potersi muovere…il medico e io ci guardiamo…siamo inermi…Gli diciamo che se vuole può parlare con uno dei nostri psicologi…Accetta…lui va e ci ringrazia molto stringendoci la mano».

«Incontro anche un afgano di 60 anni, che ne dimostra molti di più, mi fa capire che ha un problema ai piedi, lo porto nella sala delle medicazioni. Toglie le sue scarpe da ginnastica riciclate e i calzini vissuti. I due alluci sono bendati…li scopro e sono gonfi e blu. Non ha più la sensibilità. Racconta che dieci giorni fa ha camminato nella neve in Turchia, le dita dei piedi si sono congelate e da allora non le sente più. Non sono necrotici, gli diciamo di tenerli al caldo e di farsi visitare ogni volta che può…Gli spieghiamo che lungo la strada verso il nord Europa incontrerà altri campi e altri ambulatori come questo…Al confine con la Macedonia, la Serbia, la Croazia…il viaggio a tappe è ancora lungo».

«Sono davvero senza parole, indignata e molto triste! Siamo in Europa e le persone sono costrette a fare un viaggio così faticoso, lungo, costoso e pericoloso. Non che quando succede in altre parti del mondo sia meno rilevante, ma in Europa sembra tutto più terribilmente inaccettabile. Per fortuna ci sono MSF, altre Ong e volontari da tutta Europa che offrono i beni di base nelle tappe che sono costrette a fare».

«Si dice che in Turchia ci siano 2 milioni di rifugiati pronti a partire. Sembra un vero e proprio esodo, una fiumana di gente alla ricerca disperata di un ‘rifugio’ che significhi di nuovo casa, pace, tranquillità, una vita normale. Vi chiedo un pensiero per questi viaggiatori».

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