Seriate, fotografia leggera
«Sei progetti» di Luigi Vegini

Inaugurata l’11 di febbraio nella biblioteca comunale la mostra dedicata al fotografo bergamasco.

Inaugurazione domenica 11 febbraio, ore 10.30 presso la Biblioteca Civica Giacinto Gambirasio, presentazione a cura della storica Roberta Valtorta seguirà l’apertura della mostra nel Palazzo Comunale. La mostra proseguirà fino a sabato 3 marzo. Associazione Seriatese Arti Visive Orari: da mercoledì a sabato 16.00-19.00 - domenica 10.30-12.00 / 16.00-19.00 Sala Espositiva «Virgilio Carbonari» Palazzo Comunale, Piazza Alebardi 1, Seriate a ingresso libero. https://www.artmajeur.com/gigivegini

Una fotografia leggera (Roberta Valtorta)
Per sua natura, la fotografia è un’arte che si rivolge all’esterno. Essa ha anche posto fine alla funzione cultuale dell’opera d’arte inaugurando e sempre più alimentando nel tempo la lunga stagione della sua esponibilità. In questo senso le tecniche di riproduzione a base fotografica prima, i mass media poi, e infine internet e i social media hanno amplificato un percorso di proliferazione e diffusione già indicato dalla originaria riproducibilità della fotografia. Tuttavia, come arte che ha messo radici profonde nella società e che appartiene e viene praticata da tutti, fin dalle sue origini ha trovato ambiti di utilizzo intimo, esclusivamente affettivo e simbolico, e legato alla memoria e alle storie personali: si pensi all’importanza dell’album di famiglia e a tutte le pratiche private che non prevedono esposizione, pubblicizzazione, vendita o acquisto, o meglio non prevedevano, dato l’attuale processo in crescita esponenziale di mescolamento tra privato e pubblico, personale e condiviso che ha travolto l’idea stessa della privatezza dell’immagine, in un fluttuare inedito di comportamenti e sentimenti.

In questa civiltà così fortemente dominata dalla comunicazione, però, fin dagli anni Novanta del secolo scorso e poi via via nel nuovo secolo si sono fatte strada ricerche fotografiche che possiamo definire di tipo diaristico: abbandonate le narrazioni di grande respiro sociale, sono nate brevi storie, racconti di ben circoscritte vicende umane e di piccoli ambienti di vita, in una sorta di dilatazione dell’idea di album di famiglia, con l’adozione di linguaggi semplici e spesso carichi di emotività, e il frequente ricorso a immagini-frammento. In questo contesto possiamo collocare i lavori fotografici di Luigi Vegini. Le sue immagini di tono domestico sono in bilico tra il mondo esterno, di cui la fotografia ha comunque bisogno per esistere, e un personale mondo interiore denso di percezioni, pensieri, ricordi, e anche desideri. Questa necessaria congiunzione, è chiaro, avviene ogni qual volta chiunque realizzi una fotografia (ma anche uno scritto, un disegno, una musica, e ogni altra creazione umana). In certi casi, però, questa condizione a metà tra la realtà esterna, visibile, e la indefinibile realtà interiore, di cui non conosciamo le forme, appare così evidente da arrivare a costituire l’essenza stessa dell’immagine.

Gli oggetti intorno a noi e i nostri affetti, i particolari della scena quotidiana, i volti e i corpi delle persone che amiamo e nelle quali ci rispecchiamo, non possono essere guardati in modo veloce e superficiale. Fanno parte della nostra intimità e renderli pubblici attraverso la fotografia non è semplice. L’intimità non parla ad alta voce. E infatti le brevi narrazioni di Vegini si avvalgono di una sorta di linguaggio del silenzio, o meglio, del parlare sommesso. Prima di tutto sul piano delle scelte tecniche: il prevalere di un bianco e nero delicato, privo di forti contrasti (frequente l’uso della gamma dei grigi chiari); un utilizzo discreto delle luci e delle ombre; la scelta di gamme di colori spenti o pastellati, o, nel caso in cui essi siano più vivaci, sfumati e sfuocati, dunque abbassati e resi trasparenti; la preferenza per pose molto semplici e spontanee, per nulla forzate, da parte delle persone ritratte. Su questa base l’autore affronta gli argomenti della sua vita: la figlia Bianca, l’ostetrica Giuseppina Crocca che lo ha fatto nascere, il suo giardino, i fiori del suo erbario domestico, i semplici e colorati momenti al mare, le ombre delle foglie e le luci, le superfici dei muri e gli spazi degli ambienti quotidiani.

È un mondo, quello che si compone, che sta intorno alla persona ma, appunto, anche dentro la persona, per raccontare il quale Vegini utilizza una fotografia leggera. Intendiamo la parola leggerezza nel senso che Italo Calvino le attribuì nelle sue Lezioni americane: capacità di sottrarre peso alla struttura del racconto e al linguaggio. Significa, nel nostro caso, saper togliere ogni artificio che crei drammatizzazione, ogni eccesso di colore e anche di forme che alzi il tono della voce, ogni pesantezza di tipo narrativo, per riportare il registro alla vera e semplice quotidianità. Vegini si muove, in ciascuno dei sei progetti qui raccolti, in modi diversi: ora adotta il sistema della serialità, rispondendo ai criteri di una sorta di poetica catalogazione seriale (Polafiori, 2006-2007); ora indaga un luogo prendendone in considerazione le varie parti, giorno dopo giorno, a misurare il tempo dell’anno che trascorre (Il mio giardino, 2008); ora registra piccoli momenti di vita senza descriverli ma presentandoli come lontane macchie di colore (Percezioni, 2006); ora torna al più tradizionale metodo della fotografia documentaria raccontando particolari della persona e dei suoi oggetti (Giuseppina Crocca, 2008); ora costruisce un piccolo racconto di tono realmente diaristico, come usiamo fare nelle foto-ricordo (Bianca, 2011-2017); ora, infine, lavora sul frammento, sull’inquadratura circoscritta, affidando sensazioni e pensieri alla luce e all’ombra (Luce natura-le, 2006/2017). Ma nonostante la diversità degli approcci, l’intento di una narrazione leggera e intima è sempre raggiunto. La fotografia di Vegini, che possiamo porre nel solco delle tradizione di Harry Callahan, Emmet Gowin, Sally Man, o Bernard Plossu, o Claude Batho, procede in modo lento e sereno, a formare un percorso, un insieme di momenti e di pensieri, di corse immaginate e ricordate, e a comporre una riflessione sul rapporto tra vita e immagine.

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