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Martedì 26 Luglio 2016
Con Fogaroli fino alle Ande Patagoniche
Alla scoperta della storia di Monzino
«Italiani un popolo di santi, poeti, navigatori, artisti, colonizzatori e trasmigratori». Questa scritta compare sul Palazzo della Civiltà del Lavoro all’EUR, a Roma. Sembra retorica, ma ci sono momenti in cui capisci quanto queste parole siano vere. E ti emoziona scoprirlo dall’altra parte del mondo.
Siamo nelle Ande Patagoniche, terre mitiche alla fine del Cile. Lo scrittore americano Bruce Chatwin esclamava «La Patagonia! È un’amante difficile. Lancia il suo incantesimo. Un’ammaliatrice! Ti stringe nelle sue braccia e non ti lascia più». Questa è la sensazione che provi al cuore quando osservi il massiccio del Paine, il gruppo montuoso formato nei millenni dalle eruzioni delle lave incandescenti e dalle ritirate dei ghiacciai azzurri che si erano formati sopra. Una collisione di forze della natura che hanno creato questa bellezza. E che ancora oggi si sfidano sulle cime del Paine, dove vigono mutevoli condizioni atmosferiche.
Tutta l’area è un grande santuario laico dedicato alla natura: il Parco Nazionale Torres del Paine è una delle grandi riserve della biosfera del mondo per l’Unesco. L’area è enorme, grande come tutta la provincia di Treviso, orgoglio di una intera nazione, e fa da altare a queste cime che sono un inno alla creazione terrestre: il Cerro Paine Grande e le Torres del Paine. E qui, parlando con le guide cilene, capisci come la frase che descrive il popolo italiano sia vera. Perché le cime di queste montagne sono state conquistate per la prima volta da italiani, guidati da un uomo che, ancora oggi, qui, è leggenda. Guido Monzino nasce a Milano nel 1928.
È un uomo ricco, Guido. I soldi vengono dal padre, Franco Monzino, fondatore dei Grandi Magazzini Standa, quelli a cui Mussolini aveva cambiato il nome perché «Standard», quello originario, era giudicato poco italico. È un uomo bello, Guido. Il fascino viene dalla madre, la principessa siciliana Matilde Ali D’Andrea-Pierce, una donna che avrebbe voluto fare altro nella vita, la cantante d’opera, ma a cui le norme sociali permettono solo di fare la moglie e la madre. Guido Monzino pareva la classica persona a cui la vita avrebbe garantito un percorso facile. Imprenditore nell’azienda di famiglia, marito della ragazza giusta, animatore dei salotti milanesi. Tutto molto prevedibile. Come molti altri giovani un po’ annoiati, ama scommettere. Ma a lui, una scommessa, cambia la vita. E regala all’Italia un alpinista e un grande esploratore.
Per onorare una scommessa appunto, deve scalare il Cervino, una delle montagne più alte delle Alpi, tra Italia e Svizzera. Sembra una situazione persa in partenza. Mai messo piede sulle montagne. Al massimo, le aveva viste dalla villa sul lago di Como dove aveva passato l’infanzia. Ma Guido è determinato: lui avrebbe vinto. E per farlo, cerca, come guida alpina, ovviamente, la migliore, quell’Achille Compagnoni che aveva scalato, pochi anni prima, il K2, la seconda montagna più alta del mondo. Guido conquista il Cervino. Vince, come aveva sempre saputo. Ma quell’avventura, cambia completamente la sua visione della vita. E soprattutto dei suoi interessi. Guido diventa un appassionato di montagna, di alpinismo, di tecniche di scalata. Gli piace questa vita fatta di fatica, di sacrificio, di difficoltà ma anche lo spirito di gruppo, di conquista e di libertà. Comincia ad organizzare spedizioni ed esplorazioni ovunque.
E così, per il mondo, Guido diventa il Monzino, l’esploratore. Con lui, sempre, le sue inseparabili guide del Cervino, forse l’unica vera famiglia per un uomo che morirà celibe e senza eredi. La sua passione, grazie anche alle sue enormi capacità economiche, diventa la sua unica ragione di vita. L’elenco delle esplorazioni da lui organizzate è incredibile, perché vario per i luoghi visitati e per i mezzi usati, ma sempre caratterizzato da grandi sfide organizzative. Dal 1955 fino al 1973, 21 missioni, dall’Africa equatoriale a quella occidentale, dall’America del Sud all’Artico. Vengono usati tutti i mezzi: oltre agli scarponi, navi, slitte e persino aerei C-130. Per la prima volta, Monzino porta una logica aziendale nella pianificazione e nella gestione dell’esplorazioni: in questo è molto moderno. Ogni membro della missione deve avere tutto il necessario per il buon esito della missione, dagli strumenti tecnici al cibo, dalle medicine alle tende. Ma soprattutto, ognuno deve tornare a casa sano e salvo.
E Monzino, è il garante di questi obiettivi. Non è più il signore della Standa, che aveva venduto nel 1966 alla Montedison, ma è comunque il «capo». Tra le sue missioni, due quelle più memorabili: nel 1971, quando vengono percorsi poco meno di 5.000 km di banchisa artica per raggiungere il Polo Nord, e quella del 1973, quando, alla guida di un vero e proprio esercito, viene piantato per la prima volta il tricolore italiano sulla vetta dell’Everest. Ma la missione che ha reso il nome di Monzino immortale, su tutti i libri di geografia, è quella del 1957-1958, quando i suoi uomini conquistano il Cerro Paine Grande, la vetta regina della cordigliera e una delle tre torri del Paine, la Torre Nord, che da allora viene chiamata Torre Monzino, omaggio del Governo Cileno. Immani le fatiche affrontate da lui e i suoi uomini, in una interminabile partita a scacchi con le forze della natura.
Lo stesso Monzino scrive, nel suo libro «Italia in Patagonia», «è sempre imprevedibile la potenza del vento. Per oltre cinquanta giorni abbiamo odiato il vento e amato il Paine». E la montagna ha amato loro, gli italiani del Cile. Ancora oggi, Monzino ed i suoi uomini continuano a sfidare la natura, ad esplorare il mondo. Lo fanno nelle foto, diapositive ed immagini delle spedizioni che l’associazione «Amici del FAI», costituita dalle prime volontarie che hanno iniziato la grande avventura del FAI- Fondo per l’Ambiente Italiano, si è impegnata a salvaguardare, catalogandole. Per sempre, per tutti. E ammirando questi documenti, vedendo la fatica, il sacrificio ed il dolore suoi volti di questi uomini, ma soprattutto la voglia di farcela e di superare gli ostacoli, si capisce perché il Monzino abbia scelto, per il suo stemma di famiglia, il motto latino «Gradatim Conscenditur ad alta»: a poco a poco, si conquistano le altezze. Questo forse, era, per Monzino, il vero spirito con cui affrontare la vita. E, forse, può esserlo anche per ognuno di noi.
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