Le storie dimenticate / Bergamo Città
Venerdì 01 Agosto 2014
Lady Mary, l’inglese romantica
che trovò la quiete sul Sebino
di Giuseppe Arrighetti
Elegante come un fruscìo d’organza, affascinante come l’inchiostro che scorre tra la penna d’oca e un foglio di carta. Ci fosse Alessandro Baricco a pennellare questa «storia dimenticata» metterebbe Lady Mary Wortley Montagu in «Oceano mare».
Elegante come un fruscìo d’organza, affascinante come l’inchiostro che scorre tra la penna d’oca e un foglio di carta. Ci fosse Alessandro Baricco a pennellare questa «storia dimenticata» metterebbe Lady Mary Wortley Montagu nella caleidoscopica galleria dei personaggi di «Oceano mare».
Qui però lo sciabordìo è quello delle onde del Sebino, di Lovere per la precisione. La nobildonna inglese ci arrivò per la prima volta nel 1749, trovando quella quiete che le era sempre mancata, essendo stata fino a quel momento una protagonista della scena politica, sociale e letteraria inglese e internazionale.
Mary Pierrepont nacque a Londra nel 1689 e da subito manifestò un’insaziabile voglia di conoscere. Nella biblioteca del padre Evelyn Pierrepont, membro del parlamento inglese, divorò i più importanti romanzi inglesi e francesi e le commedie di Molière e Corbeille; per leggere le «Metamorfosi» di Ovidio studiò da autodidatta il latino. Frequentando l’alta società di Londra, conobbe Edward Wortley Montagu, che divenne suo marito nel 1712 nonostante l’opposizione del padre: pur di sposarsi (in segreto) Lady Mary rinunciò all’eredità. Fu il suo primo gesto rivoluzionario.
Quando nel 1716 Wortley fu nominato ambasciatore a Costantinopoli per negoziare la pace tra la Turchia e la Repubblica di Venezia, Lady Mary lo seguì senza indugio. Durante la permanenza nella capitale dell’Impero Ottomano mise a frutto le sue spiccate doti di osservatrice, stilando attraverso le numerose lettere spedite in Inghilterra un ricchissimo resoconto di viaggio: i suoi scritti costituiscono una preziosa testimonianza etnografica sulla civiltà islamica del ’700, nonché la prima in assoluto fornita da una donna.
Scoprì ad esempio la tecnica di inoculazione del vaiolo come metodo immunizzante: suo fratello era morto a causa di questa malattia e anche lei era rimasta segnata in viso, motivo per cui non si guardò allo specchio per undici anni. Dopo attente osservazioni, si convinse a tal punto della validità di tale metodica da volerla sperimentare sul figlio di 6 anni e, una volta ritornata in Inghilterra nel 1718, e diffondere nel suo Paese.
Nei due decenni successivi Lady Mary si dedicò a una intensa e variegata produzione letteraria.
Nel frattempo però il suo matrimonio entrò in crisi: nel 1739, affascinata da Francesco Algarotti, un giovane intellettuale italiano, lascia tutto e decide di raggiungerlo in Italia. Parte il 2 luglio 1739, adducendo come pretesto una vacanza di salute: in realtà si trattava di una fuga d’amore, risoltasi in una sorta di esilio volontario durato ventitré anni. Non avrebbe più rivisto il marito e sarebbe rientrata in Inghilterra solo per morirvi nel 1762. Anche Algarotti però finisce per deluderla e Lady Mary cade nelle mani di un conte bresciano, tale Ugolino Palazzi, che ebbe come unico merito quello di instradarla verso Lovere.
Lady Mary arriva nell’alto Sebino nel 1749 per curarsi da fortissime febbri malariche. Decide di sottoporsi alle cure termali e agli intrugli del dottor Baglioni, un medico condotto di Adro che tutti reputavano capace di guarigioni «miracolose». La sua iniziale diffidenza si rivela infondata perché il preparato a base di china e acque termali che il dottor Baglioni le prescrive si rivela portentoso. Unito a uno stile di vita del tutto normale le permette di guarire e di assaporare appieno la sua nuova stagione.
Lady Mary inizia quindi a partecipare attivamente alla vita culturale di Lovere: le prime parole della sua prima lettera scritta alla figlia Bute il 24 luglio 1749 sono memorabili: «Il luogo in cui mi trovo è il più romantico che abbia mai visto in vita mia»; «la maggior parte delle case sorgono a minima distanza le une dalle altre, tutte arroccate sui fianchi delle colline»; «il lago, lungo venticinque miglia e largo tre, è tutto quanto circondato da queste invalicabili montagne, i cui pendii, alla base, sono costellati di villaggi così fitti che non credo vi sia neppure un miglio di distanza tra uno e l’altro, aspetto che aggiunge ancora più fascino al profilo della costa». A Lovere «abbiamo il teatro dell’opera dove si tengono tre spettacoli la settimana. Vi sono andata ieri sera e mi sarei meravigliata per l’eleganza delle scene, la bellezza delle voci e la bravura degli attori se non mi fossi rammentata di essere in Italia. Diversi signori sono scesi nella buca dell’orchestra e si sono uniti al concerto, una libertà che suppongo sia concessa soltanto qui».
Un mese dopo quell’aria frizzante ha lasciato il posto ad atmosfere decisamente più soft. Il 22 agosto 1749 scrive: «Qui siamo tutti molto tranquilli da quando il beau monde al completo è accorso alla fiera di Bergamo (evidentemente, quella per Sant’Alessandro, ndr), che è considerata la migliore d’Italia dopo quella di Senigallia. Vi ho mandato la mia domestica a comprare qualche penny di merce, avendo sentito che ci sono venditori da tutte le parti d’Europa». Pur ammaliata dalle bellezze del Sebino, Lady Mary non si dimentica di evidenziare anche gli italici difetti: il 3 settembre 1750 scrive a suo marito: «Sono piuttosto convinta che il ritardo di tutte le mie lettere e la perdita di molte altre siano determinati dalle poste italiane. Non ne ricevo ma una che non sia stata aperta e poi sigillata di nuovo. Alcune mi arrivano addirittura aperte».
Ritornerà a Lovere poi per altri due periodi, e grazie a lei la cittadina dell’alto Sebino è diventata protagonista di uno fra i più apprezzati epistolari femminili del ’700 e può annoverare tra i suoi cittadini una figura che è ampiamente riconosciuta come un personaggio per molti versi controcorrente e innovatore, dalla personalità eccentrica e pungente, tanto discussa quanto infelice. Solo la scrittura non la tradì mai: «Ricorda la mia immutabile massima – scrive nell’ennesima lettera alla figlia – quando si ama, si ha sempre qualcosa da dire. Pertanto la mia penna non si stanca mai».
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