Le storie dimenticate
Giovedì 10 Ottobre 2013
Il masso altare dei druidi celtici
tra gli abeti della Valle Sedornia
Ha un suono particolare questo luogo deserto, questa valle che dai Tezzi Alti di Gandellino sale verso il lago Spigorel, a 1850 metri di quota, sotto il Monte Barbarossa. Avete storie del vostro paese o luoghi dimenticati da segnalare? Scrivete a [email protected]
Ha un suono particolare questo luogo deserto, questa valle che dai Tezzi Alti di Gandellino sale verso il lago Spigorel, a 1850 metri di quota, sotto il Monte Barbarossa. È una valle di boschi, di abeti bianchi e rossi, percorsa da un sentiero ampio, antico, a tratti ancora ben lastricato. Una valle che sale nel bosco, che si apre in pascoli e radure. Ma è deserta. Possibile che l'uomo non abbia mai colonizzato questi luoghi, che non abbia mai costruito un villaggio, un piccolo paese?
Si lascia l'automobile ai Tezzi Alti, un pugno di case affacciate sull'alta Valle Seriana e si cammina per meno di mezz'ora. Sulla sinistra si apre un'ampia radura, si chiama «Spiaz de la Martisöla». Un tappeto di erba, il sole che filtra tra questi abeti dai fusti imponenti, come tante sentinelle. In mezzo c'è un grande masso. Un macigno solitario, coperto in parte da muschi, da vegetazione.
Dice Enzo Valenti, da mezzo secolo cronista della valle per il nostro giornale, maestro in pensione: «Questo non è un semplice pezzo di roccia rotolato verso valle. Questo è un masso-altare. Era un luogo sacro degli antichi sacerdoti, i druidi dei Celti. Forse un luogo di sacrifici. Secondo gli studi che sono stati fatti qui e in altre zone delle Alpi e Prealpi si ritiene che il masso altare sia stato utilizzato per riti sacri fra il terzo e il primo millennio prima di Cristo. In realtà la sacralità di questo luogo non riguarda soltanto la preistoria. Il nome "Sedornia" è una trasformazione del nome romano "Saturnia", quindi ancora un elemento religioso, il dio Saturno, dio della natura, della potenza e abbondanza. E ancora nel XVII secolo, non lontano dal masso altare, accanto a una sorgente, è stata eretta una cappella in onore di San Carlo Borromeo. Del resto, che questo sia un luogo particolare, un luogo solenne, lo si avverte semplicemente camminando lungo il sentiero. Se si osserva bene il masso altare, si nota che su un lato è stata ritagliata una piccola serie di gradini che conduce alla sommità».
Vicino al masso, nella stessa radura, si nota una superficie piana, di forma più o meno circolare: era un poiàt, un luogo dove veniva organizzato il forno in cui si inseriva la legna, un forno a combustione lentissima che produceva il carbone di legna, un'attività rimasta importante nella nostra valle perlomeno fino a fine Ottocento. La Valle Sedornia, alla sua sommità, nel monte Vigna, custodiva miniere di ferro e il carbone di legna veniva utilizzato per alimentare i forni fusori. Scrive Giovanni Maironi da Ponte nel suo Dizionario Odeporico della provincia di Bergamo nel 1820: «Nel monte Vigna, soggetto alla parrocchia di Gandellino, vi sono varie miniere di ferro spatico. Ve ne ha di quello dotato della facoltà magnetica».
Nel 1767, Alberto Mazzoleni scrive di una piena del torrente Sedornia che «trascinò e disfece una contrada», ma non dice di che contrada si tratti.
Miniere, pascoli, boschi, i luoghi sacri. Torniamo al masso altare. Nella roccia sono scavati dei gradini e si trovano sulla superficie, in diverse posizioni, dei buchi artificiali, definiti «coppelle».
Scrive Alberto Pozzi in un saggio sul masso altare: «La disposizione delle coppelle sul piano superiore del masso mostra una certa simmetria: sono distribuite principalmente lungo tre linee parallele che seguono la stratificazione.... La faccia rivolta a Nord mostra una serie di incisioni, alcune delle quali a forma di coppella, disposte lungo una linea obliqua... La forma e la distribuzione di queste incisioni sono tali da non poter essere ritenute tutte di origine naturale». Nei pressi del masso passa anche quel sentiero lastricato che fa pensare a una antica strada di una certa importanza.
Scrive ancora Pozzi: «Il masso di verrucano lombardo è possibile che sia stato utilizzato come altare destinato a culti sacrificali precristiani: è determinante a questo proposito la presenza delle coppelle nonché l'incisione circolare (simbolo solare?)... situazioni analoghe sono note in diverse località e culture, come ad esempio presso l'antica civiltà maltese (III millennio avanti Cristo) e sarda nuragica (II millennio avanti Cristo)...».
Le coppelle del masso altare della Valle Sedornia non sono facilmente leggibili a causa dei detriti e della vegetazione, tuttavia l'impressione è che almeno alcune di esse ripetano il disegno di costellazioni. Come del resto accade anche con altri massi, scoperti soprattutto nel nord Italia (a Lillianes in Val d'Aosta un masso altare presenta coppelle ben definite che sembrano riproporre il disegno dell'ammasso stellare delle Pleiadi). A che cosa servivano queste coppelle scavate nella roccia? Che cosa accadeva su questo masso altare tremila anni orsono? Gli studiosi parlano di riti religiosi, si ipotizza legati all'uso dell'acqua che feconda la terra. Ma esistono anche altre ipotesi, per esempio che le coppelle raccogliessero il sangue di vittime sacrificali.
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