Le storie dimenticate / Val Calepio e Sebino
Lunedì 09 Settembre 2013
Gandosso, la ricerca delle pietre
dell'antico maniero scomparso
C'era un castello a Gandosso? Quale ne fu la storia? Quando e perché andò distrutto? Ecco ricostruita la vicenda dell'ormai misterioso e dimenticato maniero. Avete storie del vostro paese o luoghi dimenticati da segnalare? Scrivete a [email protected]
«La presenza di un castello sul territorio di Gandosso sembra certificata con una certa sicurezza, almeno per tre motivi», sostiene Villa: «il primo è la testimonianza di molti scritti (a partire almeno dal 1481) che citano il toponimo "Castel Gandozzo"; il secondo perchè «nella toponomastica sparsa in varie fonti si parla chiaramente di "Castel Gandosso", "Monte Castello", "Madonna del Castello"».
Alle tracce toponomastiche si aggiungerebbero anche indizi meno immateriali: «Almeno fino a qualche anno fa, erano visibili delle tracce di fondamenta, con una scalinata scavata nella roccia viva». Dei resti di mura, che «purtroppo recenti lavori hanno nascosto del tutto, rimane», informa Villa, solo «documentazione fotografica». Sull'esistenza del castello concordava già, del resto, il volume «Castra Bergomensia: castelli e architetture fortificate di Bergamo e provincia», edito nel 2004 dalla Provincia di Bergamo. In un manoscritto del 1481, informa Villa, si trova la dicitura «castrum Gandozi».
Tra i vari significati, «castrum» può significare «fortificazione, installazione di tipo militare, fortezza, castello». Ancora più esplicita una testimonianza successiva di quasi due secoli: «Nel 1617, quando Celestino Colleoni scrive la "Historia Quadripartita di Bergomo et suo territorio", afferma che a Gandosso ci sono i resti di un castello "il quale quantunque distrutto" ne porta il nome e "si chiama Castel Gandozz"». Celeberrima la traduzione in dialetto orobico della Liberata del Tasso da parte del letterato ed erudito Carlo Assonica: «Il Goffredo del Signor Torquato Tasso travestito alla Rustica Bergamasca» (1670). Il versificatore bergamasco vi cita, nota Villa, un detto «probabilmente molto diffuso nella Bergamasca»: «Essere sicuri come nel castello di Gandosso». C'era ancora il Castello nel 1670? «Probabilmente, secondo altre fonti, ne rimanevano solo i ruderi». Il detto doveva evidentemente essersi diffuso in epoca precedente, e ben testimonia la difficile espugnabilità di una fortezza che «dominava sulla Val Calepio».
Che negli anni Settanta del '600 del castello esistessero solo resti è confermato da una delle opere più note dell'erudizione bergamasca: l'«Effemeride sacro-profana» di padre Donato Calvi (1677), ove il solerte erudito ? di cui a novembre ricorrono i quattrocento anni dalla nascita ? parla di «vestigia» di castello «detto Monte Gandozzo». Se il castello già era ridotto a «vestigia» nel secondo Seicento, non vi sarebbe alcun nesso, sottolinea Villa, tra la sua distruzione e l'incendio di Gandosso, accaduto nel 1706, mentre i due fatti sono stati, a suo avviso, in molte fonti, confusi e riferiti in modo impreciso. Per ricostruirli con precisione occorre riferirsi alle fonti più «sicure e autorevoli».
Come l'«Istoria della repubblica di Venezia» di Pietro Garzoni, pubblicata solo 10 anni dopo i fatti: «il Toralba (Generale dell'Esercito Galloispano), quando non potè inferocire contro di alcuni pochi, sfogò con fiamme di fuoco lo sdegno sopra la Villa Bergamasca di Gandozzo...». Diede fuoco, in pratica, al paese. Anche «più autorevole» la relazione del vescovo di Bergamo Luigi Ruzini al Cardinal Paolucci, stesa solo pochi mesi dopo l'accaduto. «Gli eserciti galloispani», racconta il vescovo, parafrasato da Villa, «in cerca di foraggi, un giorno arrivano a Gandosso e chiedono ai contadini del fieno. Questi rispondono che lo hanno già dato. Si accende la discussione e i soldati cominciano a sparare».
I contadini non stanno a guardare: «imbracciati gli archibugi, sparano e uccidono il comandante della truppa e tre soldati». A questi si uniscono però altri duemila soldati e, secondo la parola del vescovo, «penetrati al Gandozzo abbandonato da gli abitanti, hanno messo al fuoco quel luogo, lasciando andare i vini per le cantine et asportando grosso bottino. Di entro restati preda delle fiamme alcuni poveri vecchi e fanciulli, come pure saccheggiata la chiesa parrocchiale». Piccolo giallo nel giallo: a chi apparteneva il castello? Quale famiglia ne aveva ordinato la costruzione, esattamente in quale tempo? Nella «Corografia dell'Italia» di Giovanni Battista Rampoldi, del 1834, si afferma che «nel XIII secolo eravi un feudale castello già de i Marenzi, del quale in oggi rimangono poche vestigia».
D. G. Zambetti, ne «La valle Calepio illustrata» (1905) afferma che «probabilmente il Castello di Gandosso fu costruito dai Conti Calepio dopo che il famoso condottiero di ventura Niccolò Piccinino aveva distrutto quello di Calepio - siamo nel 1437 - e fornisce quindi una ipotesi sul periodo di costruzione del castello medesimo. Un'iniziativa che, secondo il suo racconto, costò molto cara al suo promotore, gettando luci sinistre sull'atto di nascita del maniero: «Ed io mi penso che i Conti di Calepio coll'aiuto dei vicini, che li amavano, fabbricassero allora alcuni altri castelli tra i quali Castel Gandosso, donde non cessavano di sollecitare i popoli della Valle a darsi definitivamente ai Veneziani. Seppelo il Visconte e avuto nelle mani Stefano lo fece impiccare per la gola nella rocca di Bergamo».
Vincenzo Guercio
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