Le Pmi sono responsabili del 64% delle emissioni di CO 2 in Europa
Dopo COP26 l’impegno della comunità internazionale si concentra sulle misure per accelerare il taglio delle emissioni di gas serra, da rilevare e rendicontare con trasparenza per raggiungere gli obiettivi climatici comuni.
Davanti alla crisi climatica le Pmi- responsabili del 64% delle emissioni di CO 2 in Europa - giocano un ruolo cruciale nel raggiungimento dello net-zero.
Conoscere le proprie emissioni per poterle ridurre è ancora oggi un’operazione volontaria che può consentire di tagliare i costi di produzione, migliorare la propria immagine e individuare nuovi mercati.
COP26 ha deluso ma non è stato nemmeno un fallimento
Forse COP26, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite conclusasi lo scorso 12 novembre, ha deluso molti ma non è stato nemmeno un fallimento. Piccoli passi importanti sono stati fatti, l’urgenza di agire è stata riconosciuta e il limite di 1,5° entro il quale rimanere per evitare disastri catastrofici, mantenuto.
Tanti gli accordi sottoscritti: partirà un mercato globale del carbonio e gli Stati - tra cui l’Italia - saranno tenuti a presentare a partire dal 31 dicembre 2022 Rapporti biennali di Trasparenza (leggi di più qui) che consentiranno alla comunità internazionale di monitorare le emissioni e gli impegni assunti.
La trasparenza diventa così una delle novità più importanti di COP26, una grande assunzione di responsabilità da parte degli Stati che comporterà la necessità di acquisire dati sempre più dettagliati sulle emissioni di gas serra. A partire dal mondo produttivo, le grandi industrie come le piccole e medie imprese.
Secondo il rapporto “No Net Zero without SME” ( Non c’è zero emissioni nette senza le PMI, che puoi trovare qui ) pubblicato a novembre da OECD , le Pmi emettono fino al 50% dei gas serra e usano più del 13% della domanda globale finale di energia. In Europa il contributo delle piccole e medie imprese all’inquinamento industriale sale al 64%, con una quota di rifiuti industriali del 60-70% e un consumo di energia tra il 9 al 29% che in Italia balza al 70% della domanda di energia industriale.
Un ulteriore spinta arriva infine dalle aziende più grandi, impegnate a sviluppare catene di fornitori sempre più verdi e sostenibili.
Chi più inquina più paga: ma solo i grandi emettitori
Eppure solo i grandi emettitori in Europa sono tenuti a quantificare (e ridurre) le proprie emissioni per rientrare nel sistema di scambio di crediti di carbonio Ets. Ne abbiamo parlato in questo articolo , con un focus sulla terra bergamasca in questo .
Per tutti gli altri si tratta di una scelta volontaria che dipende prima di tutto dalla sensibilità dell’imprenditore.
Ne abbiamo parlato con Giuseppe Pedrali, ceo della Pedrali Spa, azienda bergamasca leader nel settore mobili di desig di qualità, per il quale l’impegno ambientale è diventato identitario.
L’intervista
Perché avete voluto certificare le vostre emissioni? Dopotutto non è obbligatorio...
«Siamo consapevoli che, in un momento storico caratterizzato da una dirompente ed eccessiva massimizzazione delle risorse ambientali a disposizione, impegnarsi in una politica di responsabilità sociale non significa solo incentrare la produzione e l’etica dei propri prodotti su scelte “green”, ma renderla una componente identitaria della propria cultura aziendale, oltre che un vero e proprio obiettivo di business a medio-lungo termine.
Tutto parte dalla progettazione dei nuovi prodotti, che avviene a quattro mani tra i designer con i quali collaboriamo e il nostro ufficio tecnico. Produrre tutto all’interno delle nostre fabbriche ha il grande vantaggio di consentirci il monitoraggio di questi processi a basso impatto.
Quando abbiamo deciso di effettuare lo studio di Corporate Carbon Footprint siamo proprio partiti dalla convinzione che misurare l’emissione di gas a effetto serra fosse un atto di responsabilità nei confronti del pianeta».
In che cosa è consistita la certificazione?
«Abbiamo commissionato lo studio di Corporate Carbon Footprint il quale, una volta effettuato, è stato certificato da CSQA.
Lo studio misura l’ammontare totale delle emissioni di gas ad effetto serra (greenhouse gases o GHG) prodotte, direttamente e indirettamente dall’attività produttiva aziendale svolta nel corso del 2018 all’interno dei nostri siti produttivi di Mornico al Serio, in cui realizziamo gli arredi in metallo, in materie plastiche e gli imbottiti, e di Manzano, adibito alla produzione di arredi in legno. L’applicazione di questo standard permette di seguire una metodologia trasparente e standardizzata, restituendo risultati obiettivi e confrontabili».
Il processo di certificazione ha portato a dei cambiamenti nel vostro modo di produrre? Ci sono stati miglioramenti, tecnologici, diminuzione dei consumi, cambi di strategia...?
«Certamente. Le nostre fabbriche sono innovative e interconnesse non solo per i macchinari, ma anche per i contatori e per gli altri dispositivi atti alla misurazione che, collegati ai nostri sistemi, ci consentono un immediato e continuo monitoraggio.
Oppure, abbiamo convertito a led l’impianto di illuminazione di tutti i nostri impianti interni ed esterni.
O, ancora, un forte impatto ambientale deriva dal trasporto delle materie prime. Da qui nasce l’obiettivo di internalizzare sempre più la produzione. Per citare un esempio, riguardo la tappezzeria, ad oggi tutti i tessuti sono tagliati internamente. D’altro canto, una delle mission del nostro ufficio acquisti è proprio quello di reperire materie prime quasi a chilometro zero (nelle nostre province, o comunque nel nord Italia).
Abbiamo inoltre promosso l’energia green, dal momento che quella della quale ci approvvigioniamo deriva interamente da impianti alimentati da fonti rinnovabili. Si tratta di operazioni che prevedono il reinvestimento degli utili dell’azienda in azioni e progetti che ne migliorino l’impatto sostenibile».
Adesso conoscete le vostre emissioni... a quanto ammontano?
«Il punto non è il numero che risulta da questo studio, ma la sua valutazione sulla base di ciò che si produce.
Scegliere arbitrariamente di effettuare uno studio e di ottenerne la conseguente certificazione, ci consente di comprendere le debolezze ambientali dei nostri cicli produttivi. Partendo da dati oggettivamente misurabili, è dunque possibile ridurre gli sprechi ed aumentare l’efficienza, comunicando al contempo una politica aziendale green fondata su dati concreti e confrontabili».
E ora? come userete questa informazione? Cercherete di ridurle ulteriormente o di compensarle? Oppure avete raggiunto il massimo possibile?
«Il percorso è ancora lungo. Abbiamo una produzione importante e continueremo questo processo migliorativo. Il saperlo misurare è fondamentale perché ci rende consapevoli delle azioni che stiamo promuovendo e ci permette di capire in quale direzione stiamo andando».
Checklist
Quattro parole per capire
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Ambizioni
Limiti di emissioni stabiliti dagli Stati per arrivare entro il 2050 a emissioni zero -
Impronta di carbonio - Carbon footprint
È la somma delle emissioni di gas serra prodotte da un’azienda, da una persona o da un’attività. -
Neutralità climatica - Carbon neutrality
L’obiettivo della neutralità climatica si ottiene riducendo le emissioni per quanto possibile e compensando la quantità di gas emessi con azioni per stoccare e/o sottrarre carbonio dall’atmosfera -
Net zero
Le emissioni di gas serra prodotte dall’attività umana vanno compensate attraverso misure di riduzione in modo che il bilancio al netto dei “carbon sink”, i depositi di carbonio naturali o artificiali che assorbono e trattengono anidride carbonica (oceani, foreste, torbiere…) sia zero.