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Non solo profitti, ma valore sociale: la carica delle tremila società Benefit

Articolo. Cresce di mese in mese il numero di aziende che, insieme al business, decide di perseguire un beneficio comune, che indica nel proprio oggetto sociale. Un’impresa su tre si trova in Lombardia

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La società benefit: nuovo modello di impresa sostenibile

Nel maggio 2018 erano 200, dopo cinque anni le Società Benefit (SB) sono oltre 3.000. Un numero ancora limitato, certo, ma in continua crescita (il ritmo è di circa 100 nuove società ogni mese) e che sta formando un’avanguardia consistente che potrebbe aprire un nuovo capitolo sull’impegno sociale delle imprese. Basti pensare che già ora le Società Benefit danno lavoro nel nostro Paese a più di 155 mila addetti, generando circa 20 miliardi di euro di valore della produzione.

Introdotte in Italia a fine 2015, con l’approvazione della Legge finanziaria 2016, la natura delle Società Benefit è di perseguire la doppia finalità: profitto e “beneficio comune”, inteso come la generazione di effetti positivi nei confronti di «persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse», come lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori, pubblica amministrazione e società civile.

Per diventare società benefit va cambiato lo statuto

L’attributo “benefit” non fa nascere un nuovo tipo di società, ma qualifica le tipologie che esistono già (come Snc, Srl, Spa) aggiungendo però alcune caratteristiche ben precise, come:

l’indicazione, nell’oggetto sociale, del beneficio comune che la società intende perseguire;

una gestione volta a bilanciare gli interessi dei soci e il perseguimento del beneficio comune e l’interesse degli altri stakeholder;

l’identificazione di un responsabile della funzione di perseguimento del bene comune;

e infine la pubblicazione di una relazione annuale che illustri come si è perseguito il beneficio comune (gli obiettivi e le azioni effettuate) e contenga anche una valutazione di impatto realizzata utilizzando uno standard esterno.

Un fenomeno in forte espansione

Si tratta di un movimento in forte evoluzione: in base ai dati dell’Osservatorio Società Benefit (Unioncamere - Camera di Commercio di Taranto) i settori più rappresentati nelle aziende che diventano società benefit sono quelli del terziario (45%), seguito dalle attività manifatturiere, soprattutto alimentari e chimiche.

Dal punto di vista territoriale il primato spetta alla Lombardia (è qui il 35% delle Società Benefit italiane), seguita, a grande distanza, dal Lazio (11%) e dal Veneto (10%). La maggior parte sono società tipicamente di piccola-media dimensione, operanti soprattutto nei servizi. Anche se gli ultimi tempi hanno visto l’ingresso in questo movimento di aziende di notevoli dimensioni, come Eni Plenitude, Danone, Eolo, Illy, Alessi. E anche questo è un fenomeno nuovo, che richiederà di essere seguito, come tutto il mondo delle Società Benefit.

Società benefit e B-Corp non sono la stessa cosa...

Due sigle, due realtà: SB e B-Corp. Entrambe rappresentano un nuovo paradigma di impresa che si proietta verso un futuro di sostenibilità, ma non sono la stessa cosa: la prima (SB) è una forma giuridica d’impresa, che un’azienda decide di assumere; la seconda (B-Corp) è una certificazione, che vien data dopo che l’azienda ha superato una serie di valutazioni sulla sostenibilità delle proprie performance Esg.

Società benefit e B-Corp: si tratta di realtà diverse , ma la mission è la stessa

«Una B-Corp - ricorda Giovanni Stiz, consulente ed esperto del settore - deve effettuare un processo di valutazione (B Impact Assessment) e raggiungere un punteggio pari o superiore a 80 punti su 200, oltre a pagare una tariffa annuale per la certificazione. Deve inoltre assumere la qualifica di Società Benefit entro due anni dalla data di certificazione BCorp. Quindi tutte le B-Corp in Italia progressivamente rientrano, o rientreranno, nel più ampio gruppo delle Società Benefit». «D’altra parte una Società Benefit per effettuare la valutazione di impatto (cui è tenuta per legge) può utilizzare il B Impact Assessment, senza necessariamente dover raggiungere il punteggio minimo richiesto per diventare BCorp o comunque senza voler richiedere la certificazione BCorp».

... ma perseguono la stessa idea d’impresa

I dati ci dicono che sono poche le società che si impegnano anche in questo percorso per diventare B-Corp. In Italia, su 3mila società benefit, sono 231 quelle che hanno conseguito la certificazione (complessivamente occupano oggi oltre 16mila persone e generano un fatturato che sfiora gli 11 miliardi di euro). La cosa importante è che ogni realtà aziendale, in base alla propria storia e caratteristiche, individui e persegua il proprio cammino verso obiettivi di sostenibilità, comunicandolo ai propri stakeholder. E ciò che si comunica deve essere vero e supportato da un processo che ne consenta il controllo.

Alla fine, perciò, SB e B-Corp sono sì diverse, ma con tanti punti di contatto e inserite nello stesso orizzonte ideale. «Entrambe - prosegue Stiz – sono unite nella loro mission, avendo come elemento di fondo comune l’impegno a realizzare il loro business in modo responsabile e sostenibile».

Si può dire allora che rappresentano un’evoluzione dell’agire imprenditoriale, perché integrano gli obiettivi di profitto con il perseguimento di una o più finalità di beneficio comune. Il movimento che si è così creato negli ultimi anni è una realtà in continua crescita e pone l’Italia all’avanguardia nella trasformazione sostenibile dell’economia (per le B-Corp, in Europa è al secondo posto, preceduta solo dalla Francia, con 304 aziende). Del resto, non è un caso se il nostro è stato il primo Paese al mondo, fuori dagli Usa, ad introdurre una legislazione sulle società benefit (con la Legge Finanziaria 2016), promuovendo appunto società a duplice scopo, profitto e beneficio comune. E in questi anni numerosi altri Paesi hanno poi iniziato ad intraprendere la stessa strada.

Alcuni dati sul fenomeno delle B-Corp:

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Giovanni Stiz

Presidente di Seneca

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Boom delle società benefit: come leggere questo fenomeno?

Lo spiegherei, da un lato, con il fatto che la qualifica di società benefit consente di dare una veste giuridica coerente alle imprese che non si ritrovano in una visione di ricerca del profitto come elemento esclusivo della loro identità; dall’altro, con il fatto che si è assunta consapevolezza che c’è un diffuso riconoscimento positivo di un comportamento orientato verso il sociale e l’ambiente

Valore sociale e business: come si conciliano nel fare impresa oggi?

Appare sempre più chiaro che non solo è desiderabile, ma che è anche possibile integrare questi elementi. Certamente non è facile: serve creatività, apertura al cambiamento, innovazione. Serve anche pressione e supporto da parte dei diversi stakeholder, quali (ma non solo) clienti, banche, personale stesso dell’impresa.

Questa strada può essere un modo per dare maggior stabilità alle stesse imprese?

Direi che l’assunzione della qualifica di società benefit, con l’inserimento in statuto delle finalità di beneficio comune, fornisce un messaggio forte sia all’interno che all’esterno dell’impresa sulla serietà e la tenuta nel tempo dell’impegno sociale/ambientale dell’impresa. Ciò può determinare effetti positivi sulla stabilità dell’impresa, ma senza automatismi.