Solo in Lombardia ogni mese consumiamo più di 800 tonnellate di mascherine usa e getta. A voler calcolare quante se ne adoperano in tutto il mondo, la cifra sarebbe da capogiro. Indossarle è fondamentale per proteggere noi stessi e gli altri dal coronavirus, ma il loro impatto sull’ambiente è enorme. La buona notizia è che la ricerca sta facendo passi da gigante per arrivare a produrre mascherine monouso biodegradabili, in grado quindi di dissolversi da sole.
L’ultimo progetto in questa direzione si chiama NavaMask e vede al lavoro un team di ricercatori dell’Università di Salerno e della Khalifa University di Abu Dhabi. Il processo di industrializzazione sarà portato avanti da B&A Waste Management, una partecipata dell’italiana Ambienthesis, società del Gruppo Greenthesis di cui fa parte anche la bergamasca Rea Dalmine.
«La particolarità di questa mascherina – spiega il presidente di Ambienthesis, Giovanni Bozzetti - è l’utilizzo di un innovativo materiale a base di nanofibre antibatteriche, che garantisce ottime performance in termini di respirabilità e capacità di respingere gli agenti patogeni. Il tessuto è stato messo a punto dalla Khalifa University, mentre l’Università di Salerno ha condotto i test. Il design, invece, è stato curato dalla stilista Daniela De Sousa, che ha conferito al prodotto l’ineguagliabile tocco italiano».
Varati due modelli hi-tech
Le mascherine NavaMask saranno di due tipi e avranno prestazioni complessive superiori a quelle dei prodotti in commercio. I prototipi saranno consegnati entro fine mese, dopodiché partirà la produzione negli Emirati Arabi e i primi pezzi dovrebbero arrivare sul mercato prima dell’estate.
«L’apprezzamento per il made in Italy nel mondo non riguarda solo i prodotti più blasonati – sottolinea Bozzetti – ma anche le nostre tecnologie nel settore ambientale: il know-how e le metodologie di intervento secondo logiche di sostenibilità e circolarità proprie delle aziende italiane del settore sono sempre più ricercati». Negli Emirati Arabi, Ambienthesis ha portato la propria esperienza trentennale nella gestione dei rifiuti, ricevendo anche un importante incarico di bonifica ad Abu Dhabi. «La nostra forza – rimarca Bozzetti – è la capacità di applicare tecnologie diverse ad ogni singola bonifica per conseguire il risultato migliore».
La sostenibilità è un tema che trova sempre più sostenitori anche in Medio Oriente: «Per gli Emirati Arabi è una priorità, ma lo sta divenendo anche in altri Paesi – racconta il presidente di Ambienthesis –. In Arabia Saudita sta per partire la creazione di una città a zero emissioni, che farà parte della megalopoli futuristica di Neom, sul Mar Rosso: senza strade né auto, userà tecnologie di intelligenza artificiale e apparecchiature alimentate al 100% da energia rinnovabile. In questo spicchio di mondo oggi c’è una grande tensione verso l’innovazione, pur senza rinnegare le tradizioni».
L’Esposizione universale a Dubai
Lo dimostra anche l’Esposizione universale in programma a ottobre a Dubai, posticipata di un anno a causa del Covid, che avrà fra i macro-temi proprio la sostenibilità. «Dopo decenni di economia del petrolio, i Paesi arabi stanno conoscendo una svolta responsabile. D’altra parte popoli abituati a vivere nel deserto sono molto attenti a preservare la natura, che è sempre stata la loro fonte di sostentamento», continua Bozzetti, che per lavoro trascorre in Medio Oriente buona parte dell’anno e con Mondadori ha appena pubblicato il libro «Emirati: nulla è impossibile».
«Purtroppo gli stereotipi e i falsi miti prevalgono sulla reale conoscenza degli Emirati, che quest’anno festeggiano il cinquantesimo anniversario di fondazione – spiega Bozzetti –. Oltre a essere un ideale crocevia fra Est e Ovest, sono stati i primi a concludere un trattato di pace con Israele, a inizio 2019 hanno ospitato Papa Francesco per l’Anno della tolleranza e sono anche stati uno dei primi Paesi a promuovere iniziative nel campo delle energie rinnovabili: il piano strategico Dubai Clean Energy 2050 si pone obiettivi ambiziosi, fra i quali la riduzione del 70% delle emissioni di anidride carbonica e l’aumento del 40% dell’efficientamento energetico, e prevede l’uso di tecnologie all’avanguardia per la generazione di energia tramite lo smaltimento dei rifiuti, con l’obiettivo, già entro il 2030, di trasformare l’80% dei rifiuti stessi in energia».
Rea Dalmine e i rifiuti ospedalieri
Con la seconda ondata della pandemia sono tornati a crescere i rifiuti speciali ospedalieri destinati all’impianto Rea Dalmine, previa sterilizzazione da parte della ditta Zanetti Arturo & C. I quantitativi hanno seguito il flusso della curva pandemica, passando da 100 tonnellate al mese a 400 a marzo scorso, a 200 in estate, a 300 fra novembre e dicembre. Questi rifiuti confluiscono direttamente a bocca di forno, non miscelati ad altro.