Una cosa, volenti o nolenti, abbiamo imparato: non possiamo fare a meno del dibattito scientifico e dal dibattito scientifico abbiamo bisogno di chiarezza. Vale per un’indesideratissima epidemia, vale per la qualità ambientale del pianeta che lasceremo a chi verrà dopo di noi. In un anno che ci ha nuovamente rivelato quanto il costo dell’energia e la dipendenza dalle fonti fossili possano cambiare in peggio la nostra vita quotidiana, è quanto mai importante disegnare il nostro futuro, quello che vuole contrastare la crisi climatica e passare all’energia rinnovabile, con la consapevolezza di costi, benefici, limiti, opportunità.
La transizione energetica sta tutta qui: vecchie e nuove imprese diventano protagoniste del cambiamento, anche convertendo le proprie produzioni, i cittadini si associano in comunità per produrre e consumare energia abbattendo le emissioni di anidride carbonica, la Pubblica Amministrazione crea nuove regole davvero semplici, la scienza offre spunti importanti per l’innovazione e la ricerca. Spingere sulle fonti rinnovabili per ridurre la anidride carbonica climalterante, come pure molte delle sostanze inquinanti dell’aria, è una scelta che non ammette ripensamenti o incertezze: serve pensare ogni investimento oculatamente in questa direzione. La gran parte dei benefici andrà alle prossime generazioni, a noi va l’onere dell’investimento convinto. Ma non senza ribadire la centralità di consumare solo quanto basta e di procedere verso la transizione con un cambiamento progressivo.
Tecnologie e investimenti
La realtà è fatta di costi delle energie rinnovabili che, in questi anni, si sono fortemente ridotti, rendendole competitive, ma anche – e sempre più – di un mercato delle fonti tradizionali, il gas in primo luogo, che oscilla, fino a creare una situazione pesante per tutti. La realtà , ancora, è fatta di tecnologie – è il caso del nucleare – che cercano di proteggere investimenti miliardari che, poi, così convenienti non sono, nemmeno appunto sotto il profilo economico. In fondo, a ciascuno di noi che cosa importa? Disporre di energia e, troppo spesso, poterne consumare anche oltre le nostre effettive necessità.
Ma non basta affatto. Nel decennio che dovrebbe cambiare radicalmente il modo in cui l’Europa per prima intende produrre energia, la cosiddetta «transizione energetica» da realizzare entro il 2030, l’Europa stessa fa rientrare dalla porta sul retro il gas e il nucleare nella lista delle tecnologie da finanziare per la decarbonizzazione, ovvero per riportare il pianeta a un equilibrio tra l’anidride carbonica che emette e quella che evita, per esempio con le rinnovabili e con il risparmio energetico, o assorbe, per esempio attraverso il patrimonio boschivo e forestale.
La Commissione europea ha assecondato, a certe condizioni, questa operazione «nostalgica». Nella «tassonomia degli investimenti ambientalmente sostenibili», creata dall’Unione Europea per indirizzare le risorse finanziarie verso le tecnologie «verdi», gas e nucleare sono stati affiancati, nell’accesso ai finanziamenti, alle fonti energetiche rinnovabili, anche se a precise condizioni di sostenibilità ambientale di impianti e tecnologie.
Uno sforzo imponente
Costruire un mondo basato tutto sulle fonti rinnovabili richiede uno sforzo imponente: ingenti investimenti pubblici e privati, lo sviluppo di una nuova industria o, ancora meglio, di un’industria che si riconverte alle nuove tecnologie; comunità che scoprono l’opportunità di produrre insieme da sé energia verde, con il fotovoltaico piuttosto che con l’idroelettrico o le biomasse, da consumare senza bisogno di ricorrere a un distributore, ma partendo dai propri tetti o dal proprio territorio comunale. Attorno c’è la realtà di questi mesi, in cui il costo dell’energia elettrica è più che raddoppiato. Diventa sempre più urgente produrre energia in modo più sostenibile e renderla più accessibile: non a caso Regione Lombardia ha annunciato un’imminente legge regionale che intende supportare i territori nella realizzazione di «comunità energetiche rinnovabili».
I numeri della sfida – quelli disegnati dall’Europa nella sua più recente strategia sull’energia e sul clima, denominata «Fit for 55» – sono impressionanti: basti dire che in Lombardia, per esempio, dovremo probabilmente più che triplicare la potenza degli impianti fotovoltaici installati fino ad oggi.
Ma dovremo anche riqualificare e potenziare quelli più vecchi e meno efficienti, magari dando vita a una nuova filiera locale di perfetta economia circolare, recuperando i molti materiali preziosi e utili che compongono questi impianti. Il vantaggio dei nostri territori, nella transizione energetica, sta proprio qui: trasformare una necessità in un’occasione di nuova crescita economica. Per concretizzare questo vantaggio, serve, appunto, far crescere la cultura scientifica.