L’occupazione nel settore dell’energia, a livello globale, cresce, superando anche i livelli pre-Covid. Lo rivela uno studio pubblicato dall’Agenzia internazionale dell’energia sul numero di impiegati nell’industria energetica. Si tratta del primo studio del genere che, da ora in poi, sarà pubblicato annualmente, con l’obiettivo di censire gli impiegati nel settore in modo dettagliato, a seconda della tecnologia e del segmento della catena di fornitura.
L’esercito dei 65 milioni di occupati
Gli occupati nel settore dell’energia sono, secondo l’Aie, oltre 65 milioni, un valore che rappresenta circa il 2 per cento della forza lavoro totale mondiale. Lo studio prende in considerazione varie tipologie di impieghi, lungo tutta la catena di fornitura dell’energia. Circa un terzo della forza lavoro opera nel contesto della produzione di energia e carburante di diverso tipo (carbone, petrolio, gas e bioenergia), un terzo nel settore elettrico (generazione, trasmissione, distribuzione e immagazzinamento), un terzo in ambiti legati all’utilizzo dell’energia (per esempio, manifattura automobilistica ed efficientamento energetico).
La sfida arriva dalla Cina
Oltre la metà degli occupati si trova nella regione asiatica. La Cina da sola impiega, infatti, il 30% della forza lavoro globale. Questa regione, in generale, ha visto una rapida espansione dell’infrastruttura energetica che, insieme alla possibilità di accedere a una forza lavoro a basso costo, ha permesso la creazione di «cluster» (gruppi di imprese interconnesse, ndr) per l’energia solare, i veicoli elettrici e le batterie, che servono sia il mercato locale sia quello internazionale.
In crescita soprattutto le rinnovabili
L’energia pulita, tra i vari segmenti del settore, ha registrato il più forte aumento di occupazione. Il settore dell’oil & gas, invece, è quello che ha sperimentato il maggior declino e che oggi stenta a riprendersi dall’impatto della pandemia, nonostante l’andamento sia altalenante a seconda dei nuovi progetti in via di sviluppo. Il numero di impiegati nel settore dell’energia pulita, comunque, continuerà a crescere secondo tutti gli scenari futuri elaborati dall’Agenzia, bilanciando le perdite nel settore dei combustibili fossili.
Serve formazione per le nuove competenze
Lo scenario «Net Zero» entro il 2050 prevede l’equilibrio tra la quantità di gas serra prodotta dalle attività umane e quella rimossa dall’atmosfera, per contenere l’aumento della temperatura media globale. Questo scenario porterà alla creazione di 14 milioni di posti di lavoro in più da qui al 2030, mentre circa 16 milioni di persone modificheranno il proprio ruolo, ottenendone uno legato all’energia pulita. Poiché questi impieghi richiedono nuove capacità, l’Aie sottolinea che le istituzioni avranno un ruolo cruciale per incentivare lo sviluppo di politiche focalizzate sull’apprendimento e sullo sviluppo delle abilità necessarie, affinché il maggior numero possibile di persone posse compiere questa transizione.
Aste delle rinnovabili, l’Italia aspetta il decreto
Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha pubblicato, com’è noto, il piano per il contenimento dei consumi di gas «per ridurre i rischi connessi a una potenziale interruzione totale dei flussi di gas dalla Russia durante il prossimo inverno». L’obiettivo è quello di risparmiare almeno 8,2 miliardi di metri cubi di combustibile. Di questi, 5,3 miliardi derivano dall’incremento della produzione di energia elettrica da fonti diverse dal gas (2,1 miliardi) e 3,2 miliardi dai risparmi sui riscaldamenti.
Il piano non è particolarmente innovativo né certamente risolutivo ma, se sarà attuato, può avere un impatto non trascurabile, fino a circa 6 miliardi di metri cubi di gas, pari a circa il 7-8% dei consumi, senza richiedere alcun investimento. Lo sottolinea l’economista Alessandro Marangoni di Althesys, la società di consulenza specializzata nei mercati energetici. «Chi critica il piano del ministero e parla di soluzioni prive di ampio respiro o, al contrario, di strategie di medio-lungo termine che non tengono conto dell’emergenza dimentica che il vero rischio è quello del non fare nulla. Se proprio volessimo fare un appunto al ministro Cingolani – prosegue Marangoni – potremmo ricordargli che il settore elettrico è ancora in attesa del Decreto sulle aste delle rinnovabili, il cosiddetto nuovo Fer 1 e il Fer 2 sulle tecnologie innovative». «Bisogna puntare – conclude Marangoni – ancora di più sull’efficienza energetica, con la previsione di nuovi e più incisivi interventi sul patrimonio immobiliare pubblico: gli edifici scolastici, ad esempio, sono spesso molto carenti».
Misure sufficienti per l’emergenza
Le misure di risparmio previste dal Piano Cingolani possono rendere le forniture da infrastrutture esistenti e stoccaggi sufficienti a coprire la stima di domanda invernale dell’Italia, anche in caso di interruzione delle forniture dalla Russia. La stima è di Ecco, il gruppo di esperti per il clima, che ha analizzato gli scenari per l’inverno e le conseguenze dell’aumento dei prezzi dell’energia, proponendo modelli in grado di offrire un sostegno immediato alle famiglie più vulnerabili e alle imprese e una strategia di resilienza per evitare crisi future.
Sganciare il prezzo delle rinnovabili dal gas
Il risparmio da solo, però, non basterà ad evitare il ripetersi di questa crisi, avverte lo studio. Lo sganciamento del prezzo delle rinnovabili da quello del gas è essenziale, si legge nello studio di Ecco, e deve essere accompagnato da un disegno di mercato funzionale a uno sviluppo del settore delle energie pulite nelle percentuali del 70-80% del consumo al 2030, come è previsto, del resto, dagli obiettivi nazionali. Francesca Andreolli, ricercatrice energia di Ecco, osserva che «in un inverno senza gas russo i risparmi permetterebbero di mettere in sicurezza il sistema, anche senza dover ricorrere a nuovi rigassificatori e al carbone».
Tuttavia, prosegue Andreolli, «sarà fondamentale rivedere i meccanismi di sostegno, convergendo su azioni di sostituzione del gas che rendano gli sforzi di questo inverno un risultato strutturale del nostro sistema energetico per evitare nuove crisi. Il “price cap” (il tetto al prezzo del gas, ndr) è una misura per contenere più che per ridurre i prezzi, ma non aiuta a risolvere i problemi di fondo della crisi causata dalla forte dipendenza dal gas». Matteo Leonardi, co-fondatore e direttore esecutivo politiche nazionali di Ecco, sostiene che «il supporto alle imprese passa dall’estensione del credito d’imposta e in modo strutturale dalle risorse per nuovi investimenti da Pnrr, Cdp, Sace e Invitalia, trasformando queste ultime in banche per il clima».
Sostituzione del gas con rinnovabili ed efficienza
«Dall’inizio della crisi – conclude Matteo Leonardi – sono stati spesi oltre 50 miliardi di euro per il sostegno non selettivo ai prezzi dell’energia, senza una strategia visibile di sostituzione strutturale del gas con rinnovabili ed efficienza. Le rinnovabili sono ancora troppo poche a causa dei nodi alle autorizzazioni non ancora sciolti. Sul fronte dell’efficienza energetica servirebbe una strategia, al momento assente, fondata su una proposta di ecobonus permanenti, così che si riesca a mettere mano al patrimonio edilizio italiano, tra i più inefficienti d’Europa, da cui ha origine anche la povertà energetica».
- Energia, posti di lavoro in crescita trainati dalle rinnovabili
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- La sfida arriva dalla Cina
- In crescita soprattutto le rinnovabili
- Serve formazione per le nuove competenze
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