Le fonti energetiche rinnovabili sono sempre più economiche e competitive. Ora serve un vigoroso programma di sviluppo delle tecnologie di accumulo per superarne i difetti. I vincoli ambientali generano una riduzione dei costi. Le imprese, da semplici acquirenti, possono diventare protagoniste della produzione e gestione dell’energia. Il Paese può tagliare la dipendenza dal gas dei Paesi esteri, creando opportunità per i capitali e il lavoro locali.
Un inserto di otto pagine dedicato al tema delle nuove fonti energetiche si può leggere sul numero di eco.bergamo, il supplemento mensile di ambiente, ecologia, green economy, in edicola domenica 13 febbraio 2022 gratis con L’Eco di Bergamo e disponibile poi nella sezione edizione digitale del sito.
Claudio De Nard, ingegnere nucleare di vasta cultura energetica, osserva: «Per chi, come me, da sempre opera a favore di una società più sostenibile ed efficiente, è naturale enfatizzare le grandi opportunità che la transizione energetica ed ecologica può offrire: nuove sfide tecniche, nuovi orizzonti di mercato, un sicuro miglioramento della qualità della vita. Abbiamo visto crescere, negli ultimi decenni, il mercato delle rinnovabili, rinunciare a produzioni ambientalmente dannose, badare, almeno un po’, agli effetti sulla salute dei cittadini. Va aggiunto che una politica europea sulla decarbonizzazione così decisa potrebbe celare una non completa consapevolezza delle difficoltà materiali di un percorso da realizzare in un periodo così breve: trent’anni per sanare un paio di secoli di sviluppo. E una non completa consapevolezza della necessità di ridimensionare o eliminare alcuni settori dell’economia. Perché l’opportunità positiva del Green Deal prevalga sul rischio, bisogna aiutare il “Sistema Europa”, ognuno nel proprio ruolo e con le proprie capacità, a operare in quella direzione, evitando duplicazioni, obiettivi di bandiera, sprechi di risorse pubbliche».
Quali fattori distinguono le priorità tecnologiche di produzione dell’energia per gli obiettivi di decarbonizzazione?
«Grazie al progresso tecnologico, la completa decarbonizzazione, un obiettivo, se ci pensiamo, impensabile fino a pochi anni fa, può essere raggiunta combinando diverse tecnologie in un mix che, però, deve seguire un percorso progressivo e coerente con le risorse che potranno essere messe in campo. Escludendo realisticamente un ridimensionamento radicale dell’attuale modello dei consumi e limitandoci ai Paesi dell’Unione europea, per poter continuare a soddisfare i bisogni di mobilità, trasporto, produzione, servizi e vita privata si dovrà puntare, nel primo periodo, su tecnologie consolidate, migliorandone l’efficienza, investendo in ricerca e sviluppo di nuove tecnologie e nuove fonti naturali, per prepararne la massiccia penetrazione nei prossimi decenni fino al 2050. L’Europa non ha e non avrà solo il problema della sicurezza di approvvigionamento di materie prime, ma anche quello della dipendenza tecnologica: prioritario dovrà essere saper puntare sulle proprie risorse, naturali, di know-how ma anche di capacità industriali, senza rinunciare alla parallela salvaguardia ambientale».
Quali ruoli è ragionevole attribuire alle rinnovabili e alle fonti fossili per i prossimi trent’anni?
«Il postulato della neutralità carbonica è, ovviamente, l’utilizzo prevalente e quasi esclusivo delle fonti rinnovabili. Nessuno si azzarda a negarlo ma, trattandosi di raggiungere l’obiettivo partendo da molto lontano entro i prossimi 28 anni, dobbiamo dare per scontato che, dietro al dibattito sulla tassonomia e la polemica sulla funzione “green” di gas e nucleare, si celi, da parte di molti Stati dell’Ue, una perplessità sulla reale possibilità di successo, che motiva pianificazioni parallele e, almeno in parte, alternative di ulteriore utilizzo di sistemi tradizionali. Anche se, in termini di costi e di prestazioni, eolico e fotovoltaico hanno raggiunto la massima competitività, non si possono negare alle fonti rinnovabili alcuni difetti, soprattutto la non programmabilità delle produzioni, che impone un vigoroso programma di sviluppo delle tecnologie di accumulo elettrica: pompaggi, batterie e soprattutto idrogeno. Saranno di certo politiche costose e impegnative, ma bisogna crederci fino in fondo e avere il coraggio di concentrare gli investimenti, confinando quanto prima le fonti fossili a una sola funzione marginale e non strategica nella fase transitoria».
Arturo Lorenzoni, docente di Energy Economics ed Electricity Market alla Scuola di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova, evidenzia: «Ogni percorso nuovo è fonte di preoccupazione. È comprensibile, soprattutto in questo caso in cui ci attende un cambio profondo dei modelli di fornitura dell’energia. Le imprese diventano, da semplici acquirenti, protagoniste attive nella produzione e gestione dell’energia, con la generazione distribuita e l’accoppiamento intelligente tra produzione, accumulo e consumo. Decarbonizzare significa sostituire l’acquisto di combustibili fossili con l’autoproduzione di energia “verde”, con sistemi di controllo digitale dei carichi, e inoltre ripensare i processi produttivi, con una forte attenzione all’efficienza e all’uso attento dei materiali. Un’occasione per spingere l’innovazione, sapendo che i mercati domandano una qualità crescente sul piano della sostenibilità. La continua ricerca dell’efficienza energetica spinge le imprese a migliorare le prestazioni economiche».
Le rinnovabili sono la scelta strategica europea per la transizione energetica? Che ruolo giocano, anche in termini di costi, nucleare e gas in questo passaggio epocale?
«La produzione di energia elettrica e termica con fonti rinnovabili non dipende dal valore di un input esterno, fatta eccezione per la biomassa, e pertanto consente una buona prevedibilità dei costi, soprattutto in un tempo di prezzi degli idrocarburi assai volatili. Oggi molti impianti solari ed eolici si sviluppano con contratti privati Ppa, Power Purchase Agreement, per la cessione a prezzo prestabilito per l’intera vita tecnica d’impianto: chi vende e chi acquista ha prezzi conosciuti e stabili, un’opportunità per le imprese e per la pubblica amministrazione. Oggi il nucleare ha costi molto elevati rispetto alle altre tecnologie e una complessità organizzativa che non lo rendono appetibile per un sistema energetico efficiente. Anche le centrali di quarta generazione sono lontane dalla fattibilità e non saranno disponibili commercialmente nel prossimo decennio. La sostituzione dei costi operativi del gas con costi di investimento degli impianti a fonti rinnovabili riduce la dipendenza dall’estero, la volatilità e l’incertezza e migliora le prestazioni ambientali, creando economia accessibile ai capitali e al lavoro locali».
Se le grandi imprese hanno obblighi e opportunità nel progressivo azzeramento delle emissioni di anidride carbonica, come sarà possibile portare le filiere e le Pmi in questo percorso virtuoso?
«Il percorso di decarbonizzazione è cominciato con imprese di grandi dimensioni, coinvolte nel sistema europeo di scambio dei permessi di emissione Ets a partire dal 2008. Oggi interessa anche le imprese di minori dimensioni, chiamate a qualificare, sul piano ambientale, le proprie filiere produttive per rispondere alle richieste del mercato dei consumatori. Intervenire sull’efficienza energetica e l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili ha spesso un costo netto negativo rispetto all’acquisto di energia sul mercato, anche in impianti di ridotte dimensioni, non essendovi di fatto significative economie di scala. Con le diagnosi energetiche qualificate è possibile individuare rapidamente e con costi contenuti le azioni che consentono di conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni dirette e indirette con un risparmio economico».
La neutralità delle emissioni di anidride carbonica per le imprese è un fattore di competitività?
«La neutralità è il punto di arrivo di un percorso virtuoso, che inizia proprio con l’efficienza energetica. Il miglioramento delle prestazioni ambientali è un fattore capace di innescare un processo, decisamente virtuoso, di riorganizzazione dell’impresa. Inoltre, gli indicatori per l’accesso al credito e alle filiere di qualità sempre più richiedono di avere prestazioni in miglioramento verso la neutralità climatica, per cui, paradossalmente, non investire si trasforma in un costo netto. Contrariamente a quanto avveniva anni fa, quando le tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili erano più costose, oggi l’energia più economica è proprio quella rinnovabile, insieme al contenimento dei consumi, per cui il rispetto dei vincoli ambientali diviene spesso un fattore di riduzione dei costi».
Una scelta di governanti, imprese e cittadini da compiere subito per l’obiettivo delle «emissioni nette zero» di anidride carbonica equivalente al 2050.
«Per le imprese e le amministrazioni del Nord Italia l’investimento nel fotovoltaico rappresenta certamente la maggiore opportunità, una scelta quasi scontata, perché vincente sul piano ambientale ed economico. Gli scenari di lungo termine tracciati dal ministero per la Transizione ecologica mostrano la necessità di una crescita cospicua della capacità installata, oltre cinque volte quella attuale, per cui il quadro regolatorio rimarrà favorevole e le condizioni di fornitura resteranno stabili. Non si vede ragione per non procedere con questi investimenti, anche nella forma degli investimenti collettivi tramite le comunità energetiche, un nuovo strumento normativo per favorire le nuove forme di coinvolgimento di cittadini e imprese nella produzione di energia».