«L’idrogeno è un fattore importante nella transizione . È essenziale accelerare ricerca e impianti sperimentali per calibrare i costi effettivi, non solo di produzione ma lungo tutta la filiera fino all’utenza finale. Fino a metà del 2021, il costo dell’energia dell’idrogeno verde al sito di produzione era stimato circa cinque volte superiore a quello dell’attuale idrogeno “nero”. Il costo dell’energia dell’idrogeno “blu” era circa tre volte inferiore a quello dell’idrogeno “verde”, il cui prezzo era almeno cinque volte più alto del prezzo in borsa del gas metano nel mercato europeo, 17 dollari al MWh, e circa il doppio rispetto al gas negli Stati Uniti, 8,7 dollari al MWh».
Lo spiega Alessandro Clerici che, presidente onorario della Fast e di Wec Italia ed ex presidente Aeit, vanta più di mezzo secolo di studi e realizzazioni di impianti di energia in 60 Paesi nel mondo, con importanti ruoli in Cesi, General Electric e Abb. Attivo in associazioni di categoria e tecnico-scientifiche all’estero e in Italia, è autore di oltre 350 pubblicazioni su energia ed ambiente.
«Relativamente al costo previsto al 2050, ricordando che l’energia di 1 kg di idrogeno è di 33,3 kWh, i dati più realistici – ma forse ottimistici – a metà 2021 sembravano quelli della Iea: da 1,2 dollari/kg a 2,1/kg per l’idrogeno “blu” prodotto da gas naturale con cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica e da 1,3 dollari/kg a 3,4 dollari/kg per l’idrogeno “verde”».
Di idrogeno si parla ormai attraverso i colori: un colore vale l’altro? Che cosa significa “idrogeno verde”?
«L’idrogeno non si trova sulla terra allo stato libero ed è un gas inodore, insapore, incolore e altamente infiammabile. Si trova con altri elementi nell’acqua e nei composti organici e, per essere “estratto”, richiede particolari processi e molta energia. Per i “colori”, mi baso su due parametri: la materia prima utilizzata, fossile o rinnovabile, e le emissioni di anidride carbonica. In quattro colori rientrano tutte le possibili alternative. L’idrogeno “nero”, da combustibili fossili, senza alcuna cattura delle emissioni di anidride carbonica, rappresenta in Italia il 99% della produzione attuale. L’idrogeno “grigio“ è prodotto con parziali emissioni di anidride carbonica da energie non rinnovabili o da elettrolisi con elettricità non 100% rinnovabile. L’idrogeno “blu” proviene da energie non rinnovabili ma senza emissioni di anidride carbonica, ad esempio da combustibili fossili con totale cattura dell’anidride carbonica o con elettrolisi da elettricità da nucleare. L’idrogeno “verde” è prodotto completamente da fonti non fossili con processi alimentati solo da energie rinnovabili. L’idrogeno verde, che è prodotto da fonti rinnovabili e bruciando genera solo vapore acqueo, è di notevole interesse per una transizione ecologica tendente a zero emissioni climalteranti».
Quali sono i consumi attuali dell’idrogeno a livello mondiale e che cosa si prevede nei prossimi decenni per l’idrogeno verde?
«Guardiamo i dati forniti dalla Agenzia internazionale per l’energia (Iea, ndr) prima della pandemia e dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Nel 2019, si è prodotto idrogeno per il 60% dal metano, per il 20% con la gassificazione del carbone, per il 16% da altri combustibili fossili e per il 4% da elettrolisi ma non con il 100% da rinnovabili. Per la produzione di idrogeno nel 2019 è stato utilizzato circa il 2% delle energie primarie consumate nel mondo. Lo sviluppo dei consumi di idrogeno, negli ultimi trent’anni, ha visto un incremento medio annuo di circa il 3%, ma con i consumi per le raffinerie quasi quadruplicati. I consumi di 528 milioni di tonnellate di idrogeno previsti dalla Iea per il 2050 implicherebbero un aumento medio annuo, in circa trent’anni, di oltre il 6%, ma con settori di consumo molto diversi dagli attuali. Si prevede che, in aggiunta al 62% di idrogeno verde, l’1,5% sia idrogeno grigio/nero e il rimanente sia prodotto da combustibili fossili ma con cattura, uso e stoccaggio dell’anidride carbonica. La Iea prevedeva che la produzione dell’idrogeno verde e blu “a basse emissioni” raggiungesse il 40% della produzione totale nel 2025, il 70% nel 2030, l’87%nel 2040 e il 98,5% nel 2050. Tenendo conto dell’effetto pandemia, della crescita dei prezzi di fonti energetiche e materie prime e degli effetti dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, risulta difficile prevedere a lungo termine, e non solo, i possibili reali sviluppi e costi delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica, della rimozione dell’anidride carbonica e così pure dell’idrogeno».
Se dovessimo scegliere su che cosa investire oggi per il futuro “a zero emissioni” del nostro Pianeta, l’idrogeno concretamente che ruolo avrebbe? Esiste un problema di costi?
«L’idrogeno è un fattore importante nella transizione. È essenziale accelerare ricerca e impianti sperimentali per calibrare i costi effettivi, non solo di produzione ma lungo tutta la filiera fino all’utenza finale. Fino a metà del 2021, il costo dell’energia dell’idrogeno verde al sito di produzione era stimato circa cinque volte superiore a quello dell’attuale idrogeno “nero”. Il costo dell’energia dell’idrogeno “blu” era circa tre volte inferiore a quello dell’idrogeno “verde”, il cui prezzo era almeno cinque volte più alto del prezzo in borsa del gas metano nel mercato europeo, 17 dollari al MWh, e circa il doppio rispetto al gas negli Stati Uniti, 8,7 dollari al MWh. Relativamente al costo previsto al 2050, ricordando che l’energia di 1 kg di idrogeno è di 33,3 kWh, i dati più realistici, ma forse ottimistici, a metà 2021 sembravano quelli della Iea: da 1,2 dollari al kg a 2,1 al kg per l’idrogeno “blu” prodotto da gas naturale con cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica e da 1,3 dollari al kg a 3,4 dollari al kg per l’idrogeno “verde”».
Quali sono allora i fattori che contribuiscono al costo di produzione dell’idrogeno verde?
«L’idrogeno verde viene prodotto da impianti di elettrolisi che rompono la molecola dell’acqua in idrogeno e ossigeno: sono alimentati principalmente da eolico e fotovoltaico, non programmabili e variabili nel tempo. Il rapporto tra l’energia prodotta o consumata nell’anno e la potenza nominale di un impianto è espresso in ore/anno e si chiama “capacity factor” per un generatore e “load factor” per un consumatore. I fattori fondamentali per il costo di produzione dell’idrogeno sono, da una parte, i costi per la realizzazione e il funzionamento dell’elettrolizzatore, la sua efficienza e il suo “load factor” e, dall’altra, il prezzo al kWh dell’energia rinnovabile che lo alimenta e il suo “capacity factor”. Quanto più sono elevati il “load factor” dell’elettrolizzatore, supposto in prima ipotesi uguale al capacity factor della produzione rinnovabile, e la sua efficienza, tanto minore sarà il costo di produzione. Quanto più elevato sarà il costo dell’energia rinnovabile utilizzata, tanto più il prezzo dell’idrogeno sarà elevato. Occorre notare che, dati i costi di trasferimento sulla rete di energia rinnovabile dal sito di produzione al sito dell’impianto di elettrolisi, vi è la spiccata tendenza a considerare impianti rinnovabili dedicati e praticamente sullo stesso sito dell’elettrolizzatore. Notevoli ricerche e sviluppi sono in corso per ridurre i costi di investimento e di esercizio degli elettrolizzatori, aumentando le taglie fino ai 1000 MW e oltre per impianto, dai pochi MW o decina di MW attuali».
La strategia dell’Ue per l’idrogeno verde è uno strumento che può rendere il nostro sistema energetico più sostenibile?
«In Unione Europea, a parte eolico off shore in alcune nazioni, l’elettricità rinnovabile dovrebbe raggiungere “capacity factor” e costi di produzione inferiori per avere un prezzo dell’idrogeno verde competitivo con le regioni che vantano costi dell’elettricità rinnovabile molto bassi e fattori di capacità interessanti, Medio Oriente, Africa, Australia e Sud America, grazie a più elevata insolazione, venti più forti e costanti, bassi costi locali della manodopera e dei terreni, procedure di autorizzazione più semplici e mancanza di opposizione alle grandi installazioni. Con valori offerti per il MWh prodotto in aste recenti per fotovoltaico in Arabia, 10 dollari al MWh, e in Cile, considerando il loro “capacity factor”, avremmo, a costi del 2020, idrogeno a 5,5-4,5 dollari al kg. L’idrogeno prodotto con l’eolico off shore in Europa avrebbe un costo tra 5 e 6 dollari al kg. I bassi valori di aste in Spagna darebbero oltre 8 e 7 dollari al kg per fotovoltaico ed eolico rispettivamente. Per fotovoltaico al Nord della Francia si avrebbero 12 dollari al kg. Alcuni Paesi della Ue considerano anche l’importazione di idrogeno per raggiungere i propri obiettivi. In ogni caso, l’obiettivo europeo di produrre al 2030, con 40 GW di elettrolizzatori, 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde risulta impossibile considerando il potere calorifico inferiore dell’idrogeno, anche supponendo un’efficienza degli impianti elettrolizzatori del 74%, irrealizzabile al 2030, e 8760 ore di “capacity factor” di alimentazione di energia rinnovabile. E poi la Ue non menziona i costi diretti e indiretti: oneri di trasporto e di bilanciamento del sistema elettrico. Particolare attenzione deve, comunque, essere prestata a una possibile leadership europea nel futuro mercato dell’idrogeno verde come fornitore di impianti nella filiera dell’idrogeno. Oggi le tecnologie vengono copiate rapidamente. I Paesi emergenti avranno un enorme vantaggio: in Cina, gli elettrolizzatori sono già disponibili a circa 250 euro al kW, un costo vicino all’obiettivo europeo dopo il 2040. Dovremmo tenere a mente quello che è successo con i pannelli fotovoltaici, con la Cina che ora fornisce circa i due terzi dei pannelli installati nel mondo. L’Ue, per salvaguardarsi da disoccupazione e problemi sociali e alti costi dell’energia, dovrebbe puntare a strutturarsi con un mix appropriato di attività manifatturiere e di fornitori di soluzioni e sistemi che includano sia i componenti più economici di qualità adeguata sia la manodopera disponibile sul mercato per essere competitivi, con una forte riqualificazione del personale, che richiede tempo».
Che cosa manca all’Italia e alla Lombardia per poter essere leader sulle fonti rinnovabili e magari anche sull’idrogeno verde?
«Ricordiamoci che, con un costo delle rinnovabili in Italia anche a 65 euro al MWh, come proposto dalle associazioni di categoria, con 1500 ore/anno medie per il “capacity factor” del fotovoltaico, il costo dell’idrogeno verde, supponendo di poter realizzare grossi impianti (ma dove?), si aggirerebbe comunque sugli 11 dollari per kg, mentre per quello prodotto con l’eolico non sarebbe inferiore agli 8 dollari per kg, con circa 2500 ore anno di “capacity factor”. Supponendo di ridurre, al 2030, i 65 dollari/MWh a circa 50 (ma sarà compatibile con gli aumenti dei costi di materiali e dell’energia?) e del 50% gli oneri per chi investe nella realizzazione di elettrolizzatori, il costo di investimento per fotovoltaico ed eolico sarebbe rispettivamente intorno a 5,5 e 4,3 euro/kg: non saremmo pertanto competitivi. In Lombardia, scartato il vento che non abbiamo, per il fotovoltaico avremmo un “capacity factor” ben inferiore a quello delle regioni del Sud e, visto che è improbabile pensare a nuove centrali idroelettriche o aumentare la capacità produttiva di quelle esistenti, abbiamo una situazione critica per lo sviluppo di rinnovabili da destinare alla produzione di idrogeno verde. Disponiamo, però, di vere eccellenze nel campo della ricerca e dello sviluppo e una industria – specialmente nella dimensione delle Pmi – efficiente e avanzata anche lungo la filiera delle rinnovabili e della produzione e utilizzo dell’idrogeno. Sono certamente positivi i progetti del Pnrr del governo: occorre realizzarli celermente per verificarne i risultati, sulla base dei quali confrontarsi con l’estero e decidere come procedere».