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Il buon clima aziendale fa bene ai talenti

Articolo. Possibilità di imparare in un ambiente creativo e dinamico. Essere innovativi e attenti a temi come qualità, crescita professionale e condivisione. Un’azienda diventa attrattiva se sa valorizzare le sue risorse.
Il nostro viaggio nelle soft skill ci porta ad individuare strumenti e pratiche di miglioramento dell’ambiente di lavoro.

Lettura 17 min.
Giulia Candeloro

Sommario

Clima aziendale e soft skill
Da dove nasce la riflessione sul clima aziendale
Gli approcci classici al clima aziendale
La fallacia del Work-Life Balance
Dare al lavoro la qualità del tempo libero. Il caso Kilowatt
Autopoiesi e azienda
L’azienda come piattaforma per valorizzare le persone
Great place to work: classificare
Mars: investire sulle persone
Consapevolezza in azienda: il caso Lago
Organismo, non organigramma
Arte relazionale e clima aziendale [talk]
Capacity building in azienda
Checklist: Le componenti del clima aziendale

Clima aziendale e soft skill

Il “clima aziendale” è uno degli elementi di attenzione centrali per l’azienda comunità. Anche in questo caso, come per l’open innovation, esso ha a che fare con la cultura organizzativa: tanto più l’azienda è basata su una condivisione delle strategie e delle direzioni da intraprendere, così come su strumenti di valorizzazione delle attitudini di ciascuno, tanto più il clima sarà considerato positivo - e tanto più l’azienda sarà una comunità.

 

Ragionare sul clima aziendale significa quindi non solo fare emergere gli strumenti di benessere e welfare che un’azienda mette a disposizione dei propri dipendenti. Vuol dire anche pensare alla gestione dei fattori di stress che il clima organizzativo e le relazioni che si creano dentro a un’azienda possono generare.
Anche in questo caso, dunque, per valutare e gestire il clima aziendale sono centrali le soft skill, che stiamo imparando a riconoscere sempre più come competenze non marginali delle risorse umane di un’organizzazione.

Da dove nasce la riflessione sul clima aziendale

La riflessione sul clima aziendale nasce alla fine degli anni ‘30, ad opera dello psicologo sociale Kurt Lewin, attento studioso delle dinamiche di gruppo e del riflesso di queste nelle organizzazioni.

Lewin è stato pioniere dello studio delle dinamiche di lavoro e della psicologia a essi associata. Divenne famoso anche per un esperimento sullo stile di leadership: a lui si deve l’attenzione all’attitudine e all’apertura del leader come fattore determinante del clima organizzativo.

Ascolta una breve lezione sulla leadership efficaci in base alla teoria dello psicologo e filosofo Kurt Lewin

Oggi, quando si parla di clima organizzativo si intende la percezione dell’ambiente, solitamente lavorativo, da parte delle persone che ne fanno parte.
Ma da cosa dipende questa percezione? Anzitutto da come gli individui percepiscono e interpretano il proprio luogo di lavoro e di come le diverse percezioni interagiscono tra loro.

 

La percezione riflette insomma l’interazione tra le caratteristiche individuali e quelle dell’organizzazione. Cercheremo di analizzare in questo articolo quali sono i fattori determinanti di questa relazione e in che modo un’azienda può mettere in atto strumenti per migliorare il clima aziendale.

Gli approcci classici al clima aziendale

I diversi approcci alla formazione del clima aziendale danno, a seconda dei casi, maggior peso alla struttura dell’azienda, oppure alle forme di interazione che vi si trovano, oppure ancora alla cultura distribuita nell’organizzazione, se non addirittura al contesto in cui essa si inserisce. Quattro sono gli orientamenti principali:

  • Approccio strutturale: In questo approccio il clima è considerato come un attributo dell’organizzazione che esiste indipendentemente dalle percezioni individuali dei suoi membri. L’organizzazione fornisce un clima con caratteristiche indipendenti da quelle percepite dai suoi componenti e le persone, semplicemente, lo acquisiscono.
  • Approccio percettivo: In maniera quasi del tutto opposta all’approccio strutturale, il clima viene definito quasi del tutto da componenti interne alle persone che fanno parte di un’organizzazione: è qualità che dipende dai comportamenti dei suoi membri.
  • Approccio interazionista: Questo approccio sintetizza i due precedenti. Il clima organizzativo è qui visto come la combinazione delle caratteristiche personali dei membri che ne fanno parte ed elementi strutturali dell’organizzazione. Le persone sono degli elaboratori attivi di informazioni: traggono dall’esterno delle informazioni e, dopo averle rielaborate con gli altri appartenenti del gruppo, giungono a una percezione del clima organizzativo.
  • Approccio culturale: Tale approccio non si discosta molto da quello interazionista, poiché enfatizza l’importanza delle relazioni interpersonali. La differenza sostanziale va individuata nell’importanza del concetto di cultura organizzativa, l’attenzione viene quindi riposta sui gruppi, più che sui singoli individui.

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il welfare

Lo studio del clima aziendale si declina, a livello quantitativo, nel rapporto Welfare Index PMI, giunto alla sua quinta edizione nel 2020. Generali Italia ha creato nel 2015 Welfare Index PMI, con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato, Confprofessioni, con lo scopo di diffondere la cultura del welfare aziendale nelle piccole e medie imprese e di monitorarne l’evoluzione.

Come afferma il report, l’emergenza virus ha avuto un impatto dirompente in tutti gli ambiti dell’economia e della società italiana. Per le imprese è stata un’esperienza drammatica che ha cambiato il quadro di riferimento e l’ordine delle priorità aziendali. Ha sconvolto la gestione delle attività e provocato gravi conseguenze economiche, ma ha anche modificato i valori di riferimento dei titolari, dei manager, dei lavoratori.

Inoltre, sempre secondo il Report, l’esperienza di questi mesi ha impressoal welfare aziendale un salto di qualità, modificandone il significato nella gestione d’impresa. In modo molto concreto le imprese si sono proposte come soggetti sociali oltre che di mercato. Nell’emergenza virus si sono mosse come punto di riferimento, talvolta unico, per la comunità dei lavoratori e delle loro famiglie, e in molti casi per la comunità allargata nel territorio e nella filiera aziendale.

Nel 2020 il 45% delle imprese hanno avviato iniziative di formazione e di sostegno alla mobilità delle giovani generazioni, riconoscendone l’importanza per le sfide post-covid. Infatti, come afferma il Report, per molte imprese l’emergenza sanitaria è stata l’occasione per sviluppare la formazione a distanza, sia professionale che extraprofessionale. Sono state attivate piattaforme e attuati webinar con docenti esterni. In molti casi sono stati utilizzati nella didattica dipendenti esperti e con competenze riconosciute.

Leggi qui il Rapporto integrale dell’edizione 2020 del Welfare Index Pmi

La fallacia del Work-Life Balance

Uno dei campi di esplorazione del clima aziendale è il cosiddetto Work-life Balance. «Con il termine - spiegano Marcello Russo e Gabriele Morandin, che hanno pubblicato una ricerca in proposito (leggi qui) - si fa riferimento a una condizione soggettiva che si verifica quando un individuo percepisce un elevato livello di efficacia, soddisfazione e partecipazione negli ambiti della vita che sono per lui importanti».

In generale, si parla di Work-Life Balance a proposito non solo del bilanciamento tra parte della vita dedicata al lavoro e parte dedicata al tempo libero, ma anche del fattore di soddisfazione dello stare in azienda proprio determinato dalle condizioni di “libertà” dal lavoro che l’azienda stessa fornisce al dipendente.
In altre parole, più l’azienda ha un clima disteso nei confronti della propria dedizione al tempo libero oltre che al tempo del lavoro, più il dipendente sarà efficiente nelle ore di lavoro.

Più l’azienda ha un clima disteso rispetto all’attenzione per il tempo libero più il dipendente sarà efficiente nelle ore di lavoro

Nella loro ricerca, Russo e Morandin sottolineano la centralità del cosiddetto trickle-down effect, secondo il quale sulla percezione di Work-Life Balance sono determinanti fattori macroscopici, diciamo culturali, afferenti non al clima aziendale ma alla società di riferimento. Un esempio: se in Svezia un dipendente di un’azienda sta in ufficio molte ore dopo la fine del proprio orario lavorativo, viene considerato inefficiente, se non addirittura privo di interessi e passioni extra-lavorativi. E questo non lo mette in buona luce. Ma in Italia di certo non scommetteremmo su un simile giudizio.

Il concetto stesso di Work-Life Balance, al netto delle sensazioni e dei dati culturali, tralascia una componente fondamentale che ci piacerebbe invece portare al centro dell’attenzione: al di là della quantità di ore passate al lavoro e della tranquillità con cui un dipendente prende un permesso dal lavoro, la questione è il benessere del lavoratore dentro l’ambiente lavorativo.

Ascolta questa breve lezione sul concetto di Work-LIfe_Balance

La domanda è dunque: perché si parla di Work-Life Balance come se il lavoro fosse fuori dalla vita? O come se le due cose fossero separate?

La motivazione e la candela

Una candela e una scatola con dentro alcuni chiodi, sopra un tavolo: bisogna trovare un modo di fissare la candela al muro senza che la cera coli. Molti proveranno a fissare la candela con i chiodi, ma cadrà. Alcuni proveranno ad usare la cera come colla, ma non regge. Fissità funzionale è quella caratteristica della mente umana per cui tendiamo a cercare soluzioni ai problemi con i pochi elementi che abbiamo intorno, senza attivare il pensiero laterale: basta attaccare la scatola dove erano i chiodi al muro e posarci la candela dentro.

Un incentivo diretto ad affinare il pensiero e accelerare la creatività offusca il pensiero e blocca la creatività.

Perchè questo esempio? Quello della candela è un test ideato dallo psicologo Karl Dunker nel 1945 e su cui si basa lo studio delle motivazioni condotto presso la Princeton University da Sam Glucksberg. Il problema è stato posto a due gruppi, a uno è stata offerta una ricompensa esterna per la soluzione (ad esempio una somma in denaro), a un altro no. Contrariamente alle aspettative, i gruppi ai quali non veniva offerta nessuna ricompensa esterna trovano la soluzione in maniera più agevole e veloce rispetto a coloro che lavoravano con la prospettiva del premio. In sostanza, un incentivo diretto ad affinare il pensiero e accelerare la creatività funziona esattamente all’opposto: offusca il pensiero e blocca la creatività.

La sensazione di far parte di un gruppo in cui ognuno è importante è fra le prime motivazioni che agiscono sulla soddisfazione di un collaboratore

Ma come si relaziona tutto ciò con il clima aziendale? Ovviamente ogni persona svolge il proprio lavoro con la giusta retribuzione, ma la qualità del contributo che ogni individuo apporta in un’organizzazione dipende da un sistema di motivazioni interne, dalla consapevolezza di star facendo delle cose perché hanno senso, perché sono interessanti, perché fanno parte di un qualcosa di importante, perché si sta bene.

Sono l’integrazione dello scopo aziendale con quello dei singoli individui, il supporto che ogni persona riceve nel proprio lavoro, la sensazione di far parte di un gruppo in cui ognuno è importante che agiscono sulla motivazione interna e di chi lavora e quindi sulla qualità di ciò che fa, per sé e per l’organizzazione.

Dare al lavoro la qualità del tempo libero. Il caso Kilowatt

Sulla base di questa riflessione, all’interno di Kilowatt, usiamo dire da qualche anno che la nostra vision è “dare al lavoro la qualità del tempo libero”. In base a questo mantra, abbiamo creato il nostro ambiente di lavoro, un community hub con un bar bistrot dove prendersi una pausa e tanto spazio all’aperto immerso nel verde. Al tempo stesso, abbiamo installato una cultura organizzativa di servizio al lavoratore, pensando al gruppo di persone che lavora qui come una comunità con cui far partire sperimentazioni di innovazione sociale.

Ne è nato un servizio educativo per l’infanzia, nato dall’esigenza di “conciliazione” (un termine ancora legato al Work-Life Balance, anche se cerca di superarlo) di alcuni genitori nostri co-worker o collaboratori; ne è nata soprattutto la pratica di fare, due volte all’anno, un momento di riflessione aziendale dove ragionare su due cose principalmente:

  • un continuo allineamento sulle scelte e le strategie aziendali (nel nostro caso, sulla rendicontazione di impatto delle attività e sul coinvolgimento di nuovi pubblici e interlocutori aziendali)
  • un lavoro di capacity building, ossia di emersione di talenti e competenze ancora inespresse da parte del gruppo di lavoro (ci torneremo tra poco)

L’azienda, questo è centrale come vedremo, è vista così non solo come un ambito non “separato” dalla vita, ma è pensata come un organismo, che ha bisogno di rigenerarsi in continuazione e che può per questo fare affidamento alle risorse interne.

Autopoiesi e azienda

Come abbiamo fatto altre volte qui a Skille, a proposito di nuove forme organizzative e di soft skill, chiameremo in causa in proposito un concetto che viene dalle teorie della complessità.

Parliamo dell’autopoiesi, che da definizione è «La capacità di un sistema complesso, per lo più vivente, dimantenere la propria unità e la propria organizzazione, attraverso le reciproche interazioni dei suoi componenti».

L’autopoiesi - dice il biologo sudamericano Humberto Maturana, che inventò questo concetto e lo propose, insieme a un altro biologo, Francisco Varela, nel celebre L’albero della conoscenza - nasce da una domanda che uno studente gli fece nel 1960: di cosa è fatta la vita? La sua risposta è stata semplice: è fatta della capacità di ri-definirsi in continuazione, facendo leva anzitutto sulle proprie risorse (interne).

L’azienda autopoietica è anzitutto questa: un mondo dove le risorse hanno la possibilità di esprimersi al meglio, abbassando il livello di stress, rigenerandosi in continuazione. Sembra impossibile, ma per nostra fortuna ci sono casi di successo e strumenti per farlo.

L’azienda come piattaforma per valorizzare le persone

L’approccio culturale, quello più completo a proposito di cultura organizzativa e clima aziendale, ci porta a capire una cosa fondamentale: il clima aziendale è il risultato della relazione tra le interpretazioni individuali dei dipendenti e le dotazioni strutturali dell’azienda.

La questione del clima aziendale sta però anche da un’altra parte: l’azienda, per creare un clima favorevole, dove le interpretazioni dei dipendenti e gli strumenti organizzativi possano essere in armonia, deve diventare una piattaforma di valorizzazione. La vera realizzazione della metafora dell’autopoiesi è proprio questa: il primo e più importante strumento di miglioramento del clima aziendale è l’apertura di tempi e spazi per i dipendenti dove essi possano far emergere ed esplicitare competenze e attitudini ancora non esplorati all’interno del proprio mansionario - e contribuire così all’organismo azienda.

Per farlo, servono nuove sensibilità nel management ma soprattutto strumenti di gestione di questo processo di emersione, che vedremo tra poco: tutto quello che va sotto il nome di capacity building.

Great place to work: classificare

«La nostra mission è quella di migliorare il mondo del lavoro, aiutando le aziende nel processo di crescita».
Great Place to Work® si occupa dello studio e dell’analisi del clima organizzativo. Fiducia nelle persone con cui si lavora, orgoglio per ciò che si fa, piacere nel farlo sono gli indicatori con cui la società definisce un ambiente di lavoro eccellente, offrendo una certificazione a quegli ambienti di lavoro in cui si riscontrano queste caratteristiche.

Ogni anno viene pubblicata la classifica dei Best Workplaces in Italia, in cui vengono identificati migliori ambienti di lavoro, divisi in tre gruppi basati sulla dimensione delle aziende.

Mars: investire sulle persone

Nel 2018 Mars si è classificato al terzo posto della classifica Best Workplaces Italia del Great Place to Work® Institute nella categoria Medium Enterprises e, per l’ottavo anno consecutivo, al primo posto tra le aziende del Largo Consumo.
Cosa vuol dire essere uno dei migliori ambienti di lavoro in Italia? Per Mars Italia la risposta è una: mettere al centro le persone. Non ci sono dipendenti, ma Associati.
Non esistono uffici privati, l’ambiente di lavoro è unico e open space, per facilitare la collaborazione e raggiungere gli obiettivi lavorando in squadra. Gli spazi riflettono la struttura organizzativa, che ha pochi elementi gerarchici.

L’ambiente di lavoro è concepito come un percorso dinamico e in evoluzione, che ha bisogno di essere costantemente aggiornato

Il clima in Mars si poggia su quelli che vengono definiti i cinque principi di Mars:

  • Libertà
  • Qualità
  • Reciprocità
  • Responsabilità
  • Efficienza

Il livello di motivazione e soddisfazione degli Associati è monitorato tramite analisi di clima interno e grazie a queste analisi vengono intrapresi piani d’azione per migliorarlo continuamente.

L’ambiente di lavoro è concepito come un percorso dinamico e in evoluzione, che ha bisogno di essere costantemente aggiornato con strumenti sempre nuovi. Il motivo? Più le persone sono soddisfatte, motivate, maggiore sarà il valore creato dall’azienda, in un processo di incontro e integrazione continua.

Consapevolezza in azienda: il caso Lago

Si entra in un’azienda di design, dove gli spazi sono già studiati nel dettaglio e comunicano una visione precisa. Si chiama Lago: un’azienda veneta di 170 dipendenti, presente nel mondo con oltre 400 negozi di arredamento e numerosi store monomarca.

Lago è un’azienda attenta al benessere degli individui, a partire dai servizi e alle opportunità di crescita che dà ai suoi dipendenti; eppure, si è ulteriormente messa in discussione e ha cercato di migliorare le relazioni interne. Lo strumento, un processo creativo collettivo che coinvolge cioè tutto il personale: dai progettisti agli operai, dalla segretaria al responsabile commerciale.
Lo spazio non è solo fisico: dentro ci sono le persone, i ruoli e relazioni. Queste ultime vanno osservate, con cura.

La consapevolezza di lavorare dentro un’azienda, di dove si muove e perché si muove viene trasmessa anche fuori, perfino nel prodotto attraverso le proprie idee

Il primo passo è stato scattare (metaforicamente parlando) una “fotografia” della realtà da tutti questi punti di vista. Poi si sono innescati nuovi sistemi di comunicazione e relazione tra le persone, creando uno spazio ergonomico (l’ergonomia, lo ricordiamo, si occupa dei problemi relativi al lavoro umano in rapporto all’ambiente con l’aiuto di diverse discipline). Che cosa è accaduto? Ciascun lavoratore ha sviluppato consapevolezza di dove si muoveva e perché. E questa consapevolezza è stata trasmessa anche fuori, persino nel prodotto dell’azienda, tirando fuori le sue idee.

Organismo, non organigramma

Da qualche anno, per entrare a contatto con Lago, oltre a entrare in uno shop si può andare a casa di una persona: si vedono gli spazi vissuti. Il progetto (il nome: Appartamento Lago) è nato proprio dal percorso di valorizzazione interno all’azienda.

Il nucleo del percorso è stato un lavoro condotto nel 2009 dai dipendenti: l’obiettivo era disegnare l’organismo Lago. Non l’organigramma, perché l’azienda è una cosa viva. Occorreva capire anzitutto come i vari reparti o ruoli si interconnettono. Chi ha accompagnato tutto il processo è un collettivo di arte relazionale, artway of thinking. Dietro il nome del gruppo c’è la visione dell’arte come modo di pensare. Oltre a generare oggetti, l’arte può creare processi tra le persone.

Occorre diventare prima accompagnatori di un processo di cambiamento, e nel mezzo si costruisce una relazione di fiducia

«Noi partiamo dalla persona - spiega Federica Thiene, che insieme a Stefania Mantovani e Valter Tronchin ha fondato il collettivo nella prima metà degli anni novanta –. E dalla consapevolezza che ogni azione compiuta da me incide nel contesto in cui io vivo». Proprio la parola consapevolezza è l’obiettivo delle soft skill: offrirne di più e permettere di restare insieme per fare una scelta che giovi al benessere collettivo. Anche in un’azienda.

Un’associazione nata per l’arte ha offerto la propria creatività al servizio della collettività, diventando un gruppo multidisciplinare. «Ci inseriamo in un momento di crisi – osserva Federica Thiene –. Dopo una serie di fallimenti collettivi che hanno portato a credere che sia meglio stare da soli. Da artisti entriamo in azienda come consulenti, poi diventiamo accompagnatori di un processo di cambiamento, nel mezzo ci sta la costruzione della fiducia».

Arte relazionale e clima aziendale

Abbiamo approfondito il rapporto tra soft skill e clima aziendale anche con Stefania Mantovani. Di seguito l’esito dell’intervista, dove le parole chiave sono sempre: consapevolezza, gestione dello stress, cura della persona. Leggiamo la sua intervista.

Talk

Come definireste le soft skill?

Abilità connesse alla personalità, alla consapevolezza e all’esperienza di un individuo: approcci e atteggiamenti (mentali e sociali) che non riguardano la sola sfera lavorativa e che si traducono in qualità cognitive, relazionali e nell’agire: qualità dell’attenzione sulle cose, sui processi e sugli altri; ingegno e creatività nel fare; qualità di cooperazione e condivisione.
Le soft skill poggiano su una base umana, piuttosto che professionale-disciplinare; si formano e crescono nella dimensione dell’essere per poi, da qui, influenzare l’agire. Colorano il modo di applicare le competenze specifiche. Si muovono trasversalmente alle specifiche attività e ai ruoli. Spesso sono proprio le soft skill, allacciate alle hard skill, che determinano la qualità professionale e la differenza tra due individui egualmente competenti.

Dopo aver approfondito le soft skill in azienda in relazione a nuovi modelli organizzativi e all’innovazione aperta, oggi vorremmo capire: in che modo esse sono utili a migliorare il clima aziendale?

Si potrebbe dire che più alto è il grado di consapevolezza collettiva su come la personalità di ognuno entra (continuamente) in ambito lavorativo (indipendentemente da ruoli e competenze), minore è la possibilità di scontri e fratture nelle dinamiche relazionali; migliora in questo modo la cooperazione tra soggetti. Come, maggiore è la consapevolezza personale del valore (e del senso) del proprio contributo lavorativo all’interno del sistema produttivo, maggiore è la possibilità di trovare soluzioni alle problematiche contingenti; aumenta di conseguenza creatività e innovazione.
Lo stress entropico è il peggior nemico del clima aziendale-relazionale e incide nella qualità del processo produttivo. Come diminuirlo? L’attenzione al solo piano organizzativo-gestionale risulta insufficiente. La dimensione trasversale del clima aziendale rende necessario considerare strategiche le intersezioni tra settori (aree, reparti, uffici, ecc.) aziendali e le interrelazioni tra soggetti operanti. Spazi tra spesso sottovalutati, dove non si rivelano utili le competenze specifiche (hard skill), ma piuttosto un’emancipazione delle competenze trasversali su quelle verticali.
La formazione può essere la chiave per migliorare il clima aziendale: quando questa si prefigge la crescita personale, la conoscenza delle dinamiche relazionali, la consapevolezza della struttura meccanica della propria personalità, l’innato potenziale creativo che ognuno possiede, oltre alla riqualificazione delle hard skill.

Perché sta cambiando l’attenzione data al clima di una azienda od organizzazione in generale?

“Stare bene nel proprio ambiente di lavoro migliora la capacità produttiva”. Affermazioni del genere fino a poco tempo fa erano inascoltate o considerate poco più che insensate pretese dei lavoratori.
Oggi però si è costretti a considerare con maggior serietà il clima aziendale come fattore incidente nei processi produttivi e nella capacità d’innovazione aziendale.
Da una parte, siamo diretti testimoni (se vogliamo osservare) dell’aumento della complessità nel lavoro contemporaneo, della velocità necessaria per sostenerlo in modo proattivo, dello stress mentale e fisico, della dispersione di energia (forza-lavoro) e con ciò l’aumento di incomprensioni, contrasti, insoddisfazioni e smarrimento di senso.
In questo clima, le competenze gestionali devono essere sempre più sofisticate.
D’altra parte, le scienze (da quella medica a quella economica) ci stanno mettendo in guardia dal rischio stress, malattia sociale del secolo; ci mostrano l’influenza dello spazio (ambiente di lavoro) sulle attività dell’uomo, fino alla concezione dello smart office che rivoluziona lo spazio del lavoro a favore della concentrazione e della flessibilità; ci svelano come il nostro cervello sia allo stesso tempo proiettato al cambiamento (cervello plastico), quanto alla conservazione, all’abitudine, alla ripetitività (cervello primitivo); ecc.
La questione non si può più evitare, se si guarda a benessere e innovazione.

Quali sono gli strumenti e le pratiche più utili e interessanti per fare della propria organizzazione un ambiente di benessere e di valorizzazione dell’individuo?

Possono essere questi:
- incentivare l’orizzontalità nei processi con una distribuzione equanime di carichi, responsabilità e riconoscimenti
- Dare senso al contributo lavorativo dei singoli, in relazione allo scopo aziendale e sociale.
- Investire nella crescita delle persone
- Dare spazio alla partecipazione proattiva e alla creatività
- Agevolare l’integrazione tra vita e dimensione lavorativa (welfare aziendale)

Gli articoli di Skille sono pensati per un pubblico di imprenditori. Cosa consigliate agli imprenditori di oggi in materia di clima aziendale e soft skill?

Riprendendo le tematiche già esposte, focalizziamo due punti. Guardare il gruppo aziendale come un organismo, un sistema complesso in cui le parti sono interconnesse e interdipendenti, piuttosto che continuare ad applicare il paradigma cartesiano della separazione per comparti. Questo a favore non solo del clima aziendale ma dell’innovazione: un campo fertile per l’innovazione è un ambiente aperto, trasparente, collaborativo, flessibile, creativo.
Secondo, non smettere di prendersi cura dell’organismo-gruppo, ricordando che è costituito da persone, ognuna con il suo inevitabile bagaglio di vita. La crescita personale e professionale sono sempre meno separabili, se si guarda all’ottimizzazione, alla sostenibilità e all’innovazione.

Capacity building in azienda

Come anticipato, capacity building in un’organizzazione vuol dire far emergere e “rigenerare”, senza necessariamente nuovi innesti di risorse umane, le competenze, i talenti e le pratiche virtuose in azienda. È necessario, all’origine di un percorso come questo, un momento di osservazione, indicatori e strumenti di rendicontazione del processo di acquisizione della capacità corale di un’azienda di essere “autopoietica”, ossia adattabile e auto-rigenerante.

Ci sono molti modi per farlo: attraverso programmi di formazione basati su una lettura del bisogno formativo interno, strutturazione di momenti di allineamento sulle strategie, strumenti di peer-interview per leggere le competenze non espresse e fare una valutazione reciproca tra colleghi.

Il capacity building più efficace (definito a volte “community capacity building”), dal nostro punto di vista, è quello che mette a sistema tre obiettivi:

  • Fare emergere periodicamente attitudini e competenze inespresse nel gruppo di lavoro - e, di conseguenza, mappare le soft skill di ciascuno, liberando il potenziale creativo di un’azienda.
  • Gestire collettivamente le attività più stressanti.
  • Capire quali percorsi di formazione attivare.
  • Sulla base dei risultati dei punti precedenti, creare gruppi di lavoro per gestire - attraverso un sistema di leadership distribuita - i percorsi di ricerca e sviluppo aziendali.

In questo modo, l’azienda diventa una comunità, un organismo attivo e in continuo movimento. Per concludere, prima di una sintesi delle componenti del clima aziendale emerse in questo articolo, ci sentiamo di dire una cosa molto chiaramente: un buon clima aziendale è una delle risultanti positive di un’azienda vitale e basata su un’attenzione relazionale distribuita. E, a sua volta, non è un fine ma un mezzo per preservare quella vitalità.

Checklist

  1. Consapevolezza:

    si compone della consapevolezza collettiva su come la personalità di ognuno entra in ambito lavorativo (indipendentemente da ruoli e competenze), e della consapevolezza personale del valore (e del senso) del proprio contributo lavorativo all’interno del sistema produttivo.
  2. Motivazione al lavoro:

    può essere definita come la spinta interiore che porta le persone ad impegnarsi nel proprio lavoro. La motivazione non viene dalle ricompense ma da quanto un’organizzazione riesca ad incontrare lo scopo del contributo lavorativo delle persone.
  3. Senso e scopo:

    è il sentimento che consente agli individui di sentirsi parte dell’organizzazione, riconoscersi nella vision e nella mission. Ogni persona dell’impresa trova il suo senso in relazione al proprio scopo e a quello dell’organizzazione.
  4. Cura e crescita:

    l’individuo percepisce di far parte di un organismo-gruppo in cui ha valore con il suo bagaglio di esperienze personali. La crescita personale e quella professionale non sono separabili.
  5. Formazione:

    correlata al concetto di crescita; un buon clima nasce in quel gruppo che offre ai partecipanti gli strumenti per crescere insieme.
  6. Orizzontalità e partecipazione:

    una distribuzione equa di cariche e responsabilità in cui ogni contributo è importante per la buona riuscita del gruppo.