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L’economia verde per uscire dal tunnel

Articolo. Un gruppo di imprenditori bergamaschi si confronta con Carlo Cottarelli per iniziativa del mensile eco.bergamo e della Ing di Gabriele Ghilardi. Al centro della discussione la crisi energetica e le strategie per superarla.

Lettura 20 min.

Vai a vedere che anche questa terribile crisi si risolverà in un ulteriore slancio per l’innovazione dell’economia italiana? È un po’ il sospetto che è sorto alla fine dell’incontro tra un gruppo di imprese bergamasche e l’economista e neo-senatore Carlo Cottarelli, il 28 ottobre, nel magnifico scenario dell’ex-monastero del Carmine, a Bergamo.

È vero che il parterre era costituito da imprenditori attivi nella promozione della sostenibilità, un club riunito dalla rivista eco.bergamo, pubblicata ogni mese come supplemento a “L’Eco di Bergamo”.

 

Ma nel gruppo ci sono imprese energivore, anche molto energivore, che stanno vivendo sulla loro pelle la sciagura dell’aumento del gas indotto dalla guerra in Ucraina e il costo della transizione ecologica, che pure hanno affrontato di slancio. Quasi tutti hanno descritto il momento attuale come una vera e propria sfida che si può vincere allungando il passo verso un modello produttivo diverso, fondato sull’economia circolare e sull’utilizzo massiccio delle fonti rinnovabili.

L’incontro è stato organizzato da eco.bergamo, grazie alla collaborazione con la Ing di Gabriele Ghilardi, uno dei maggiori studi bergamaschi di progettazione degli impianti che assicurano agli edifici la massima efficienza energetica.

Si può seguire l’incontro per intero cliccando qui sotto.

Comitato Carmine. L’incontro tra il club di imprenditori radunati da eco.bergamo e Carlo Cottarelli nell’ex-monastero del Carmine a Bergamo

 

Il grido di dolore delle industrie energivore

Il quadro dolente è naturalmente venuto dalle aziende energivore.

Alberto Budi

Direttore tecnico e produzione di Siad

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« Siad è un’azienda energivora: il nostro consumo – ha spiegato Alberto Budi, ingegnere, direttore tecnico e di produzione della società con sede in via San Bernardino, a Bergamo - è vicino al mezzo miliardo di kilowattora all’anno, in gran parte dovuto alle colonne di distillazione frazionata. Nello stabilimento di Osio Sotto (Bg), comprimendo l’aria e consumando energia elettrica, che è la nostra vera materia prima, otteniamo ossigeno, azoto e argon in forma liquefatta per usi industriali e non solo. Per ogni chilo di gas liquefatto il consumo è di circa 1 kWh, la potenzialità di assorbimento di energia elettrica delle colonne a Osio Sotto è di 50-55 megawatt ogni ora».

Per capire l’ordine di grandezza basti pensare che ogni ora Siad consuma più di quanto 20 famiglie medie consumano in un anno intero.

Roberto Callieri

Ceo di Italcementi

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Ancor più drammatico il quadro dipinto da Roberto Callieri, amministratore delegato di Italcementi e presidente di Federbeton, l’associazione che raduna i produttori di cemento italiani.

«Di fronte ai costi insostenibili che la nostra industria si trova ad affrontare, alcune aziende iniziano a considerare la strada della sospensione della produzione. Una sospensione che è già in atto in alcuni impianti sul territorio, con ripercussioni notevoli sull’occupazione e sull’intera catena delle costruzioni di cui la nostra industria è il primo anello. In assenza di un intervento tempestivo del Governo, questa interruzione temporanea a macchia di leopardo rischia di trasformarsi in una chiusura definitiva, nella scomparsa dell’industria italiana del cemento. Parliamo di un’industria pesante, caratterizzata da grandi investimenti e da impianti complessi e una sua chiusura sarebbe difficilmente reversibile. Il settore produce materiali fondamentali per il Paese: pensiamo alle infrastrutture e a tutta la catena dell’edilizia. La prima drammatica conseguenza della sua scomparsa sarebbe il blocco dei cantieri. A lungo termine, invece, l’Italia potrebbe trovarsi a dipendere da operatori stranieri, con tutte le incognite sulle catene di fornitura a cui la guerra ci ha improvvisamente messo di fronte e con grandi incertezze sugli standard di sicurezza e ambientali».

«Di fronte ai costi insostenibili che la nostra industria si trova ad affrontare, alcune aziende iniziano a considerare la strada della sospensione della produzione ».

La crisi che attraversano le industrie energivore si ripercuote anche sugli stabilimenti del trattamento dei rifiuti, come la Montello , che è la più grande in Europa per il riciclo della plastica e dei rifiuti organici.

Paolo Ferrari

Amministratore delegato di Montello spa

«Bisogna capire quali sono i provvedimenti che verranno presi a sostegno delle imprese energivore –ha detto Paolo Ferrari, amministratore delegato della Montello.- come il nostro settore di riciclo della plastica, e capire anche quale sarà il meccanismo che colpirà gli extraprofitti. Perché è questo il tema vero: c’è qualcuno che sta pagando, le imprese che sono in qualche modo aiutate dagli interventi pubblici, ma ci sono anche tante imprese che stanno guadagnando. Cosa farà il nuovo governo su questo lo vedremo. Ma quello che è certo è che lo scenario per le imprese lascia qualche perplessità, perché ci sono tante aziende oggi, anche fra i nostri clienti, che sono ferme, in cassa integrazione, con prospettive incerte e crisi di mercato. Per quello che ci riguarda noi siamo abbastanza bilanciati, ma sicuramente lo scenario non è positivo. Aspettiamo il nuovo Governo e cosa si deciderà a livello europeo, ma la preoccupazione c’è».

Tutti i settori nel mezzo della tempesta

Ruggero Barzaghi

Vice-presidente di MetanoNord

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Ci sono poi compagnie, come MetanoNord , che si trovano nel bel mezzo della tempesta, visto che il loro business è la distribuzione del gas. Lo ha raccontato bene Ruggero Barzaghi, vice-presidente dell’azienda: «I prezzi fissi del gas e dell’energia elettrica sono spariti dal mercato. Anche i nostri margini si sono ridotti per gli interventi del Governo e in contesto in cui tutte le aziende si stanno muovendo è complicato. Nel nostro settore l’attività ha poi caratteristiche particolari: compriamo e paghiamo l’energia alcuni mesi prima e incassiamo dopo, e questo ha reso la nostra esposizione decisamente più pesante. Inoltre se prima, per esempio, avevamo 100 clienti che non pagano, con un’esposizione a titolo d’esempio di 20.000 euro, ora quell’esposizione a parità di clienti si è decuplicata».

Paolo Zanetti

Consigliere delegato di Zanetti formaggi

Ma non stanno meglio le imprese agroindustriali. «È un periodo difficilissimo per tantissime aziende del nostro settore –ha detto Paolo Zanetti, consigliere delegato di Zanetti formaggi e presidente di Federlatte, l’associazione delle industrie lattiero-casearie-, alle prese con dirompenti aumenti dei loro costi. Negli ultimi dodici mesi il latte alla stalla è aumentato del 48% e addirittura del 60% negli ultimi due anni, con i contratti che prevedono ulteriori incrementi per la fine dell’anno. Da mesi, poi, i trasformatori stanno facendo i conti con gli aumenti di tutti gli altri fattori di produzione: i costi energetici sono altissimi, il prezzo di cartoni, plastiche e imballaggi è cresciuto di valori compresi tra il 70 e l’80%, i pallet del 58%. Per molti mesi le imprese di trasformazione si sono fatte carico di tutti gli extra costi, trasferendone a valle una solo piccola parte. Ora stanno finalmente ottenendo gli aumenti che più che legittimamente hanno chiesto mesi fa. Gli extra costi, però, sono di gran lunga superiori a quelli certificati dal tasso di inflazione del settore. Senza dimenticare che la spirale dei costi non è ancora terminata: gli aumenti chiesti la scorsa estate non coprono più i nuovi costi».

Enrico Felli

Presidente di Atb

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Le società del trasporto pubblico sono tra l’incudine e il martello. Enrico Felli, presidente di Atb , la municipalizzata dei trasporti bergamasca: «L’aumento dei costi energetici e l’attuale scenario internazionale richiedono la massima attenzione da parte delle società di Trasporto Pubblico Locale. Anche Atb subisce l’aumento dei prezzi del metano e dell’energia elettrica che non possono essere ribaltati sugli utenti e, quindi, incidono pesantemente sui risultati economici della società. La transizione ecologica e l’evoluzione sostenibile della mobilità sono quindi messe a dura prova dall’attuale situazione dei mercati. Al di là dei costi di elettricità e metano, infatti, occorre considerare che mezzi tecnologicamente innovativi hanno costi maggiori rispetto a quelli attuali e ciò richiede un particolare rigore nelle decisioni relative alle strategie per rendere il servizio di trasporto pubblico sempre più innovativo, sostenibile e attrattivo per i cittadini».

La crisi energetica rischia di rallentare la transizione ecologica anche nelle aziende che hanno già investito per realizzarla.
Riccardo Brevi

Cfo di Tenaris Europe

Un rallentamento dei tempi della transizione energetica lo intravede anche Riccardo Brevi, Chief financial officer di Tenaris Europ e , con un grande stabilimento a Dalmine in provincia di Bergamo. «La situazione congiunturale –ha detto- configura un panorama complesso e non univoco in tutto il mondo: in Europa, Tenaris, e quindi anche TenarisDalmine, è sottoposta ad una forte pressione sui costi, in particolare quelli energetici che, come noto, hanno raggiunti livelli record inimmaginabili; gli investimenti nella transizione energetica, che abbiamo già deciso e programmato, richiedono tempi di realizzazione nel medio termine, quindi non in grado di dare beneficio immediato. In altre regioni del mondo, meno toccate dalle conseguenze dell’invasione russa in Ucraina, vediamo un incremento delle attività legate al mondo dell’oil and gas, di cui Tenaris beneficia».

Ora in quadro così drammatico, che cosa pensano gli imprenditori delle cause e dei rimedi?

Sulle cause regna la confusione

Cominciamo con le cause.

Marco Sperandio

Presidente di Rea Dalmine

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Marco Sperandio, presidente di Rea Dalmine , società del gruppo Greenthesis che gestisce uno dei maggiori impianti di incenerimento dei rifiuti d’Italia, ha fatto un quadro degli avvenimenti recenti che rendono quasi impossibile districarsi tra le cause: «La situazione energetica di quest’anno –ha detto- ha complicato un po’ tutto. Anche indipendentemente dall’andamento dei costi, ha reso molto incerta e confusa la situazione di diversi settori industriali, che si muovono con grandi difficoltà di programmazione. Perché anche sui costi energetici, negli ultimi mesi, abbiamo un andamento non solo improvviso, ma anche dissociato dalla realtà. Noi abbiamo subito, soprattutto nei mesi estivi (in assenza di novità dal punto di vista internazionale) dei costi di energia elettrica e gas insostenibili. In quei mesi, il Pun, cioè il prezzo che si forma sul mercato libero dell’energia elettrica in Italia, è arrivato agli 800 euro kWh, con delle medie di 550/600. Teniamo presente che negli anni pre-covid era 40, nell’anno del covid era 20, e qui siamo arrivati a 800! Lo stesso per il gas… Tutto questo a fronte però non di una mancanza di energia elettrica, non di uno squilibrio tra domanda e offerta, ma di tanta, tantissima speculazione sul gas, e tanto nervosismo sui mercati».

Poi nel giro di pochi giorni lo scenario si è ribaltato: «Improvvisamente, e senza nessuna novità internazionale, lo scenario sembra cambiare. Nelle ultime due settimane il prezzo dell’energia elettrica è crollato, quello del gas è passato da 300 euro/megawattora a 99 (a ieri, 25 ottobre). Perché? Boh… In seguito agli annunci di price cap (che sarà molto complicato fare) piuttosto che di altri fattori, ma il motivo vero non si sa. È una situazione assolutamente confusa. Uno dice: manca l’energia elettrica, e quindi ci si aspetta che i prezzi vadano su, e restino alti, e nel frattempo ognuno elabora strategie, e lo stesso vale per il gas. Invece questo andamento a sinusoide senza una spiegazione razionale, rende tutto complicatissimo per l’imprenditore: pianificare, quando accendere e spegnere, quando prendere le commesse, quando fare le consegne, con che prezzi uscire sul mercato... Confusione».

I rimedi: aiuti, disaccoppiare il prezzo dell’elettricità dal gas

Sui rimedi invece gli imprenditori hanno le idee più chiare.

Callieri di Italcementi: «È necessario un intervento immediato e strutturale del Governo. Oltre al rinnovo dei crediti di imposta sugli acquisti di energia elettrica per il mese di dicembre 2022, si auspica una veloce attuazione e un successivo adeguamento della recente misura Electricity Release. Questo strumento, vitale per il settore cemento, mette a disposizione del sistema e delle imprese energivore l’energia rinnovabile (circa 24 TWh/anno), finanziata e incentivata da anni dal sistema, ad un prezzo competitivo, comparabile con il costo di produzione. Il costo iniziale di conferimento è di 210€/MWh, molto superiore al costo di produzione di energia rinnovabile e al cap recentemente fissato dall’UE a 180€. Auspichiamo, dopo i primi mesi di rodaggio, un veloce adeguamento al ribasso del prezzo per confermare questa misura un utile strumento di politica industriale che tuteli le imprese da repentine oscillazioni del mercato dell’energia».

Articolata anche la proposta di Sperandio di Rea Dalmine: «Vedo che le indicazioni di un qualche accordo europeo hanno calmierato le speculazioni, e soprattutto c’è una direttiva europea, un Regolamento che il Parlamento europeo manderà agli Stati membri (e secondo me sarà molto importante che venga recepito velocemente), che è quello di intervenire per disaccoppiare il costo medio dell’energia elettrica dalle diverse fonti con cui essa è prodotta. Mi spiego: adesso, chi vende solare (e non ha un contratto stabilito anni fa a prezzi fissi) e lo sta vendendo a prezzo di mercato, sta facendo un sacco di soldi. Poi è vero che hanno messo la tassa sugli extra profitti (che tra l’altro ha incassato molto meno di quanto si prevedeva), però, comunque sia, sta facendo tanti soldi, con un costo praticamente invariato per lui… E anche per un impianto come il nostro che produce energia elettrica in parte da fonte rinnovabile (perché il 51% dei nostri rifiuti essendo di origine urbana, fa sì che il 51% dell’energia elettrica che noi produciamo sia considerata rinnovabile) beneficerebbe di questo aumento dei prezzi di mercato senza avere costi in più. L’idea quindi è: quelli che stanno guadagnando di più, ma non hanno costi in più, dovrebbero avere un prezzo massimo (price cap) - che secondo la comunità europea potrebbe essere 180 euro a chilovattora -, distinguendo invece chi produce energia elettrica dal gas (e che quindi sconta i prezzi del gas che sono schizzati in su). Questo farebbe sì che il 40%, più o meno, che nelle nostre bollette elettriche è di origine rinnovabile, possa pesare meno, abbassi la media del costo dell’energia italiana. Questo sconto aiuterà molti, ed è l’unico modo sensato per cercare di ammortizzare la schizofrenia del mercato».

«Quelli che stanno guadagnando di più , ma non hanno costi in più, dovrebbero avere un prezzo massimo»

Anche Callieri si è detto d’accordo: «L’attuale sistema che lega il prezzo dell’energia elettrica al 100% al prezzo del gas accresce inesorabilmente gli effetti della crisi. Più verosimilmente, il prezzo dell’energia dovrebbe essere determinato considerando anche le fonti rinnovabili e il carbone. All’aumento vertiginoso dei costi di produzione hanno contribuito anche il prezzo del petcoke, il combustibile utilizzato nel settore (più che triplicato nei primi mesi del 2022, rispetto alla media dei valori registrati nel 2019) e il valore dei diritti di emissione di CO2 (dopo mesi sopra gli 80 euro, si è assestato a circa 60 euro alla tonnellata, valore comunque elevatissimo se confrontato con i 25 euro registrati in media nel 2019)».

Accelerare la transizione ecologica

Mario Ratti

Presidente e consigliere delegato di Icis

Ma questo è il momento giusto per accelerare il cammino della transizione ecologica. Se n’è detto convinto Mario Ratti, presidente e consigliere delegato di Icis , società di Mozzo (Bg), tra i maggiori produttori italiani di scatole in cartone per alimenti: «Per noi i problemi sono aggravati dalla presenza nella nostra filiera di una duplice tipologia di fornitori della carta che utilizziamo per realizzare gli imballaggi. Vi sono, soprattutto in Scandinavia, aziende che estraggono la materia prima direttamente dalle foreste. Il loro ciclo di produzione è perfettamente circolare: le norme locali le hanno rese estremamente innovative, per cui non solo non utilizzano energia fossile, ma gestiscono le loro foreste in maniera esemplare. Così ci offrono una carta estremamente pregiata, a un prezzo oggi molto competitivo perché non gravato dal costo del gas. Al contrario le cartiere che producono carta a partire dal macero, sparse nel resto dell’Europa, consumano molta energia e quindi hanno visto i loro costi schizzare in alto in questo ultimo anno. Ci forniscono così un prodotto meno pregiato a un costo eccessivo. È necessario che la nostra filiera acceleri nella transizione energetica, introducendo a tappe forzate le fonti rinnovabili nel suo ciclo di produzione, così da rendere compatibili il mercato che utilizza la cellulosa vergine con quello della carta riciclata».

Anche Budi di Siad vede la necessità di diversificare il mix energetico: «Aspettando che il prezzo del metano si stabilizzi, anche grazie all’arrivo del gnl dagli Stati Uniti, si dovrà pensare a come produrre nel prossimo futuro l’energia elettrica di cui tutti abbiamo bisogno, e a produrla nel migliore dei modi. Dipenderemo ancora per molti anni dai combustibili fossili, ma la soluzione non può certo essere il carbone, sarebbe vergognoso. Dovremo pensare rapidamente a centrali nucleari, nei siti che già erano destinati a questo, e risolvere il problema dei rigassificatori. Nel frattempo siamo certamente favorevoli a investire, come abbiamo già fatto per la sede di Bergamo, sul fotovoltaico, anche per il nostro stabilimento di Osio Sotto (Bg). Proprio in questo sito produttivo abbiamo recentemente messo a dimora un discreto numero di piccole piante per catturare la CO2. E, sempre per Osio Sotto, stiamo studiando l’installazione di un grande parco fotovoltaico insieme a partner specializzati: loro lo realizzeranno, mentre noi garantiremo l’utilizzo sul posto dell’energia prodotta».

Gianmaria Malvestiti

Amministratore delegato di Covestro Italia

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Gianmaria Malvestiti, amministratore delegato di Covestro Italia , che fa parte dell’omonima multinazionale tedesca, ha calcato la mano sulla transizione: «Stiamo vivendo nel nostro settore industriale una crisi economica senza precedenti e in Covestro stiamo facendo tutto il possibile per affrontare nel migliore dei modi la situazione, adottando delle misure di contenimento costi e di efficientamento energetico nel breve/medio periodo e ampliando nel lungo termine le nostre fonti di materie prime alternative, riducendo a zero l’impiego di risorse fossili come il greggio e il gas naturale. Questo smisurato aumento dei costi energetici e delle materie prime sta dimostrato come l’idea di Covestro di diventare completamente circolare sia la strategia giusta, così come la decarbonizzazione e la circolarità si dimostrano gli elementi vincenti per garantire un futuro sostenibile al nostro pianeta».

Le ricette di Cottarelli: Meno burocrazia per le rinnovabili, ricerca sul nucleare, rigassificatori

Carlo Cottarelli

Economista e senatore

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Tutta questa discussione è stata come sintetizzata dall’intervento di Carlo Cottarelli .

«La direzione verso cui dobbiamo andare nel medio periodo è senz’altro quella delle rinnovabili -ha concordato l’economista-, ma bisogna superare il nodo degli impedimenti burocratici. Quest’anno le autorizzazioni sono state quadruplicate grazie all’azione del governo Draghi. Ci sono stati anche ritardi. Il ministero non ha emanato le linee guida affinché le Regioni definiscano i siti dove le rinnovabili si possano installare. Finora le Regioni si esprimono solo su dove non si può mentre, nelle aree dov’è consentito, serve comunque un’altra autorizzazione. È meglio definirle ex ante. Ora spetta al nuovo governo: le Regioni avranno poi sei mesi di tempo per decidere. La necessità resta quella di snellire le procedure, superando questioni legali e ricorsi. Sono serviti 14 anni per aprire il primo parco eolico marino a Taranto».

L’altra grande questione è quella del nucleare, ma è più di lungo termine. «Il problema – ha osservato Cottarelli –non è tanto il rischio di incidente quanto le scorie. Credo che sia un errore non investire almeno nella ricerca, puntando sul nucleare di quarta generazione e poi sulla fusione, di cui si parla da molto tempo: prima o poi ci si arriverà. Le rinnovabili sono la scelta principale, ma resta il nodo della non costanza della produzione fotovoltaica ed eolica. Sono in una posizione intermedia tra chi dice cominciamo da domani a costruire centrali nucleari e chi assolutamente no». Il gas naturale liquefatto? «Credo che la strada dei rigassificatori sia da percorrere. Se si fanno, ci sarà meno tendenza ad andare sull’energia pulita? I rigassificatori non riducono la spinta verso le rinnovabili, anzi. Alla fine il prezzo dell’energia del sole non aumenterà mai, mentre dobbiamo importare il gas dall’estero e da aree instabili come il Medio Oriente».

Disaccoppiare elettricità e gas, price cap e aiuti

Sul prezzo dell’energia gli interventi possibili sono tre. Il primo è lo sganciamento dal gas dell’elettricità, di cui il 40% in Italia è prodotta da fonti rinnovabili. «Il collegamento con la forma di energia più costosa era nato per proteggere le rinnovabili e incentivarle» ha ricordato Cottarelli. Ma ora il più caro è decisamente il gas. «Chi produce elettricità con le rinnovabili sta facendo profitti molto alti. Serve una decisione rapida del Consiglio europeo. L’altro intervento è il tetto al prezzo del gas, sceso sotto i 100 euro al megawattora ma ancora quattro, cinque volte più alto di prima del Covid. Si è capito come sia così delicato che non si può lasciare interamente alle forze del mercato, provocando sbalzi troppo alti. Il terzo intervento è un altro pacchetto di aiuti: Draghi ha lasciato margini di manovra per dieci miliardi negli ultimi mesi di quest’anno, così da prolungare le misure introdotte con i 60 miliardi già stanziati, divisi equamente tra famiglie e imprese. Rispetto al pil l’Italia è, per ora, il Paese che ha messo più soldi. La Germania ha annunciato 200 miliardi per il futuro con un’economia molto più grossa. Credo che occorra proseguire su questa strada, perché per l’anno prossimo ne serviranno altri, ma in modo molto più mirato, ai settori effettivamente più colpiti e ai redditi bassi. Il taglio delle accise va bene, ma non a chi va in Ferrari».

«L’aumento del prezzo del gas non è dovuto solo alla speculazione , ci sono stati soprattutto acquisti precauzionali »

Carlo Cottarelli non è tra chi imputa l’aumento del prezzo del gas solo alla speculazione. «Se voi andate al supermercato pensando che la prossima volta non trovate più lo zucchero, ne comperate cinque scatole invece di una. Sono acquisti precauzionali. Tutti, avendo paura di restare senza gas dopo qualche mese, erano disposti a comperare a prezzi assurdi per riempire i depositi. Putin ha annunciato che chiude il rubinetto del gas se viene messo un tetto al prezzo. Oggi dalla Russia ne importiamo circa 12 miliardi di metri cubi rispetto a quasi 30, circa due terzi rimpiazzati nel giro di qualche mese: il massimo che si potesse fare. Avere meno gas di quanto ce ne serve potrebbe portare a un razionamento che colpisce anche il settore produttivo».

Chi è cresciuto grazie alla sostenibilità

Fabio Gritti

Presidente e amministratore delegato di Grifal

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Che il risparmio energetico e la sostenibilità siano ingredienti indispensabili non solo per uscire dalla crisi, ma anche per la crescita lo ha confermato Fabio Gritti, presidente e amministratore delegato di Grifal , un’azienda di Cologno al Serio (Bg) che ha inventato una serie di originali prodotti per l’imballaggio in cartone. «Come Grifal group stiamo continuando a crescere. Il primo semestre ‘22 ha segnato +51% di ricavi rispetto al medesimo periodo del ‘21 e prevediamo una crescita significativa anche nel secondo semestre, grazie all’acquisizione di nuovi grandi clienti convinti dalle nostre soluzioni d’imballo eco-sostenibili. Il nostro innovativo cartone ondulato a marchio cArtù® è realizzato con una tecnologia brevettata che si conferma vincente anche in questo particolare periodo storico. Infatti, a differenza dalla produzione del cartone ondulato tradizionale che utilizza vapore e piani di asciugatura a forte consumo energetico, questo processo industriale richiede una quantità di energia trascurabile che, anche ai prezzi attuali, impatta sui conti aziendali solamente per circa il 2% del fatturato. Inoltre, a parità di volume, cArtù® consente di risparmiare fino al 70% di materia prima rispetto al cartone ondulato tradizionale riducendo così l’impatto derivante dall’aumento dei prezzi».

Anche Sperandio di Rea Dalmine è ottimista: «Grazie anche ai bandi Pnrr, questa è un’ottima situazione che spingerà tutti all’aumento dei progetti di economia circolare: non solo in termini di recupero energetico, ma soprattutto per il recupero di materia in settori nei quali adesso attualmente tale materia non viene recuperata. Quello che secondo me è fondamentale, ed è un discorso che vale anche per l’energia (noi lo stiamo iniziando a fare con Confindustria Bergamo), è la necessità di una più stretta collaborazione tra gli imprenditori. Per creare una sorta di filiera comunità energetiche, che adesso sono destinate solo a chi non produce energia elettrica in senso industriale».

«È necessaria una più stretta collaborazione tra imprenditori , per creare una sorta di filiera delle comunità energetiche »
Gabriele Ghilardi

Presidente di Ing

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Gabriele Ghilardi, presidente della Ing , è sulla stessa linea d’onda: opportunità e collaborazione. «Dal nostro punto di vista – ha detto- l’attuale crisi energetica è un’opportunità, perché ci permette di studiare soluzioni sempre più efficienti e interessanti sia per il risparmio energetico sia per l’utilizzo delle fonti rinnovabili. In questo periodo, come mai prima, siamo stimolati sempre più, anche dai nostri clienti, a trovare soluzioni per evitare l’uso del metano, per individuare alternative alle tradizionali fonti di energia, divenute oggi così costose».

Sul futuro il presidente di Ing non ha dubbi: «La strada delle fonti di energia alternativa sarà sempre più importante per arrivare ad eliminare la nostra dipendenza dai combustibili fossili».

La parola d’ordine, ha raccontato Ghilardi, nella sua azienda è collaborazione: «Si cerca di capire come risolvere un problema e in gruppo (i collaboratori sono una quarantina, quasi tutti ingegneri, ndr) si trova la soluzione». Insomma un approccio multidisciplinare che ha come obiettivo, sempre, il miglioramento energetico ed economico, la riduzione delle emissioni, ricercando nel contempo i finanziamenti e, quando richiesto, anche eseguendo le opere.

Ghilardi ha deciso di mettersi in proprio nel 2003 e successivamente ha fondato la Ing. «Nel 2006 – ha raccontato – quando i pannelli solari hanno cominciato a prendere piede, e la Regione ha presentato il bando per diecimila tetti fotovoltaici con un contributo a fondo perduto del 75%, ci siamo specializzati nella realizzazione di questi impianti, che allora non erano fatti da nessuno. A oggi ne abbiamo totalizzati quasi mille».

Col passare degli anni, ha raccontato Gabriele Ghilardi, la specializzazione di Ing è diventata «la realizzazione di impianti sempre più complessi, per i quali l’impegno dei progettisti è altissimo anche in fase di esecuzione». Parliamo in questo caso, per esempio, di centrali di cogenerazione a metano con teleriscaldamento, raffrescamento e fotovoltaico come quello realizzato per il grande centro commerciale di Arese. Oppure di sistemi di cogenerazione con biomasse e relativa rete di riscaldamento, o ancora della riqualificazione energetica di siti industriali con impianti di climatizzazione.

«Per raggiungere gli obiettivi fissati per la riduzione delle emissioni – ha concluso Ghilardi – tutto quanto si progetta oggi dovrà essere più performante di quello che si è realizzato fino a ieri. Questa è la strada che dovremo continuare a seguire».

«Per raggiungere gli obiettivi fissati per la riduzione delle emissioni tutto quanto si progetta oggi dovrà essere più performante di quello che si è realizzato fino a ieri. Questa è la strada che dovremo continuare a seguire».

Cottarelli: la recessione sarà breve

Già in questo momento così difficile, dunque, c’è chi sta lavorando secondo modelli innovativi che fatto perno sulla transizione ecologica. Motivo per il quale Cottarelli ha detto di non collocarsi tra i catastrofisti: «Ci sarà una recessione abbastanza breve, niente di comparabile con quanto visto con la crisi globale del 2008-2009, quella dell’euro del 2011-2012, il Covid nel 2020. A meno che non ci siano ulteriori shock geopolitici o Putin che decide di chiudere il gas per non parlare di una guerra estesa alle principali potenze».

L’economista ha sostenuto la sua visione con i numeri: «Credo che ci possano essere un paio di trimestri con decrescita. L’anno scorso gli Stati Uniti hanno avuto una crescita forte, attorno al 6% su base annuale, una recessione leggera nei primi due trimestri di quest’anno, il terzo positivo al 2,6%. Non c’è stato il crollo atteso da molti. Il mercato ha assorbito abbastanza bene l’aumento dei tassi d’interesse. L’Europa, nei primi due trimestri, è cresciuta a un tasso del 2,5. Nel 2022 l’Italia si profila al 3,3: tirano il turismo e i servizi».

«Guardando in avanti –ha continuato Cottarelli- ci sono fattori sia negativi sia positivi. Tra i primi il clima di fiducia delle famiglie crollato a ottobre a livelli del 2014, quando ancora si risentiva della crisi dell’euro; sceso anche quello delle imprese, ma non in modo così forte. C’è preoccupazione, incertezza. I fattori positivi sono la discesa dei prezzi delle materie prime, dopo il picco ad aprile-maggio, di quello dei noli dei container, più di recente anche di quello del gas».

Un punto di domanda riguarda l’aumento dei tassi di interesse. «Le banche centrali –ha spiegato l’economista- hanno adottato un approccio cauto, negando, per tutto l’anno scorso, che esistesse un problema d’inflazione. L’aumento della Banca centrale europea è al 2%: c’eravamo abituati a tassi d’interesse negativi, ma non sono normali. Quando l’inflazione è al 10%, è inevitabile. Se non lo si fa, si sta dicendo ai risparmiatori spendete perché i vostri soldi saranno erosi dall’inflazione. Se gli Stati Uniti aumentano i tassi d’interesse e l’Europa no, l’euro si svaluta, spingendo l’inflazione. Infine, se le banche centrali non agiscono, lasciano pensare che l’inflazione resti elevata, alimentandola ulteriormente. Non sono convinto che l’inflazione in Europa sia dovuta solo a un aumento del prezzo delle materie prime. Ormai si è allargata al di là dell’energia e degli alimentari. Il tasso di disoccupazione in Europa è al di sotto della media e in Italia persino degli ultimi decenni. Siamo in una fase di ciclo economico abbastanza forte. L’aumento dei tassi d’interesse andrà avanti. Le banche centrali non agiranno in modo molto aggressivo per non causare una forte recessione».

«Siamo in una fase di ciclo economico abbastanza forte . L’aumento dei tassi d’interesse andrà avanti ».

Il problema è il prossimo anno. «Il deficit pubblico annunciato per il 2022 –ha continuato Cottarelli -era attorno al 5,6% del pil, dovrebbe scendere al 3,9 nel 2023. Se andiamo in recessione, si può fare qualcosa di più del 3,9 come sostegno all’economia. Il rapporto tra debito pubblico e pil sta andando meglio del previsto perché il pil, in conseguenza dell’inflazione, cresce più rapidamente. Il debito pubblico viene eroso dall’aumento dei prezzi. Chi ci perde? Chi ha investito in titoli di Stato. Quasi un terzo del nostro debito pubblico è detenuto dalle istituzioni europee. Negli ultimi anni la Bce ha comperato 350 miliardi di euro di titoli di Stato».

Speranza sì, ma stando sempre sul chi va là, come ormai da anni ci ha abituato questo tempo di continui rivolgimenti.

Alla fine dell’incontro non potevano mancare anche alcune domande al Cottarelli politico. Ecco l’intervista.

Carlo Cottarelli

talk

Cottarelli lei ha intitolato il suo ultimo libro «All’inferno e ritorno. Per la nostra rinascita sociale ed economica». Dove deve tornare l’Italia?

«Non al 2019, prima del Covid, perché quell’anno concludeva il ventennio peggiore della storia economica italiana, in cui non c’era stata una crescita del reddito pro capite per la prima volta dal 1861. Il pil dell’Italia, secondo il Fondo monetario internazionale, era al 170° posto su 182 Paesi. Non è quello il mondo cui dobbiamo tornare, ma uno che da molto tempo non vediamo».

Che cosa bisogna fare?

«Servono delle riforme. In parte stanno nel Pnrr che, di qui al 2026, mette l’Italia in condizioni di crescere non allo 0,2 per cento annuo ma all’1,5, al 2. Sta al nuovo governo completare quelle riforme. Da parte del governo Draghi non c’è stato nessun ritardo nel rispettare le condizioni per sbloccare l’arrivo dei soldi europei».

E il nuovo governo?

«Sarà abbastanza coeso per durare parecchio tempo, non è che la cosa mi piaccia. Non si metta a litigare con l’Europa quando comincerà ad obiettare. Se la reazione è battere i pugni sul tavolo, può essere un problema. Andiamo avanti finanziariamente con i soldi di Bce e Ue. Stiamo attenti, altrimenti ci cacciamo noi nell’inferno. Se Meloni è prudente sui conti pubblici, è la garanzia migliore».