«Se fossi un pianificatore industriale, partirei dalla considerazione che quello che è successo in questi mesi detterà il valore per i prossimi anni: il prezzo dell’energia rimarrà alt o». Claudio De Nard, ingegnere nucleare, una vita spesa a governare i processi energetici nelle aziende, parla più con il senso della realtà dell’imprenditore che come esperto qual è. «Dopo anni in cui le imprese hanno operato con un costo dell’energia più alto che nel resto d’Europa, ma relativamente stabile al ribasso, l’impennata del 2021 ha bruscamente riportato in primo piano la variabile energetica, che è essenziale per il nostro modello economico, ma che è principalmente determinata da fattori geopolitici che nel fare impresa non si possono ignorare».
L’energia va considerata alla sorta di una materia prima, ma, per un paese dipendente energeticamente dal gas come il nostro, tra le materie prime è la più esposta ai venti internazionali, che la globalizzazione fa soffiare dentro gli interstizi del nostro sistema produttivo. La produzione di elettricità in Italia è tuttora in prevalenza derivante da fonte fossile e per il 50 per cento realizzata con centrali a gas, che si alimentano quasi esclusivamente da metanodotti che arrivano dall’Est e dall’Africa, ovvero da Paesi di forte instabilità, come l’attualità ci insegna. Il costo della materia prima dipende dai contratti stipulati (di medio-lungo periodo o spot) e gli aspetti geopolitici contano moltissimo in sede di pianificazione e di contrattazione. La potenza che viene creata è distribuita da reti che valicano i confini nazionali e si interconnettono con quelle del resto d’Europa formando un unico sistema energetico continentale. Il tutto viene poi valorizzato dalle borse finanziarie che speculano sulle fluttuazioni della domanda e dell’offerta di energia, che avvengono con ritmo orario.
Le cause dell’aumento dei prezzi energetici
Così succede che, dopo la strozzatura del lockdown del 2020, la ripresa economica del 2021 ed una robusta azione di supporto dei governi alla stessa ripresa abbiano determinato un’impennata nei consumi industriali ed una crescita inaspettata dell’inflazione, di fronte a cui le infrastrutture energetiche europee si sono trovate spiazzate. Il contributo delle fonti rinnovabili (eolico, idroelettrico, solare, geotermico) pur crescendo, rimane minoritario e ben lungi dal coprire il fabbisogno continentale e quindi anche una nazione che ha deciso con più coraggio il superamento delle fonti fossili come la Germania ha dovuto ricorrere al gas e perfino al carbone, complice pure la scarsità di vento dello scorso anno.
I paesi produttori di gas, in primis la Russia, ne hanno approfittato alzando in modo significativo i prezzi, appellandosi ai contratti a breve termine sottoscritti dai paesi importatori come il nostro. Se a ciò si aggiunge la speculazione finanziaria si arriva ad aumenti anche del 100 per cento del gas all’ingrosso.
Lo si vede a colpo d’occhio nel grafico qui a fianco. La linea blu che contiene il costo in bolletta della materia prima energetica dalla fine del 2020 ha invertito la marcia e ha puntato decisamente verso l’alto, raddoppiando i valori. «Per il settore industriale –aggiunge De Nard- significano 30/40 miliardi di costo in più. E, benché i governi nazionale ed europeo stanno mettendoci una pezza, le aziende devono fare i conti con un aumento dei costi in una prospettiva che non muterà radicalmente nei prossimi cinque anni: necessario quindi trovare delle soluzioni strutturali».
Che cosa può fare un’impresa
Il ragionamento di De Nard è semplice: «Tutti ci auguriamo che l’economia continui a crescere, ma ciò comporterebbe un aumento del consumo di energia. Ne consegue che, se un’impresa vuole rimanere competitiva, deve diminuire il costo dell’energia per unità di prodotto. E l’unica possibilità che ha per farlo è l’efficientamento energetico dei suoi processi. È la prima fonte su cui deve puntare un industriale, perché è anche l’unica su cui egli ha potere diretto».
La razionalizzazione dei processi che porta al risparmio sulla bolletta energetica è un’attività industriale che deve avere pari dignità di tutte le altre operazioni aziendali. La transizione ecologica, quindi, non è un concetto astratto: è necessario innanzitutto che gli imprenditori abbiano consapevolezza di quanto sia importante per il proprio futuro. «Facciamo l’esempio del Covid –spiega De Nard-: dopo due anni abbiamo una consapevolezza dell’effetto di un virus su salute, economia, società che prima non avevamo. Nel caso della crisi climatica non abbiamo lo stesso livello di consapevolezza perché non ne percepiamo gli effetti con la stessa immediatezza. Ogni anno per l’inquinamento muoiono più o meno lo stesso numero di persone di quelle morte di covid. Noi viviamo nella Pianura Padana, che è uno dei territori più inquinati del mondo, ma questo dato di fatto non determina la reazione che c’è stata per l’epidemia».
Saper leggere il proprio bilancio energetico
«Nel caso dell’energia –continua l’esperto- si capisce che essa abbia effetti sull’ambiente, ma non se ne ha una consapevolezza adeguata ai rischi. Ci vuole educazione, cultura, confronto con gli altri. Studiare, imparare, conoscere. Nel campo industriale, se l’imprenditore vuole proiettarsi nel futuro, deve saper leggere il proprio bilancio energetic o, che spesso non si chiude nel proprio capannone, ma comprende, ad esempio, anche il contenuto energetico dei semilavorati importati, i trasporti, tutti aspetti che vanno energeticamente analizzati. Il primo punto in cui un’azienda è fisicamente interconnessa con l’esterno è proprio l’energia e quindi un imprenditore deve abituarsi a considerare i fattori esterni continuamente. Se non lo può fare lui, deve appoggiarsi a qualcuno che lo faccia per lui».
È un discorso che porta in primo piano la necessità di formazione dell’imprenditore e dei suoi collaboratori: «Ci vuole una formazione non costruita a tavolino –sostiene De Nard- ma che parta dai processi reali dell’azienda e punti a saper analizzare e finalizzare tutti gli aspetti che possono essere razionalizzati». Così si aprono le porte all’innovazione (di processo ma anche di prodotto) che è l’esito che permette di fare un salto al business dell’azienda, magari trovando addirittura nuove attività ad alto valore aggiunto. «La politica, nel suo complesso, sta dando degli stimoli al mercato e chi vuole trovare nuovi spazi imprenditoriali lo può fare. Per innovare spesso bisogna immettere in azienda conoscenze esterne, progettisti in grado di imprimere una svolta. È il momento di farlo».
Imprese protagoniste nella produzione e gestione di energia
Essere in grado di governare il proprio consumo di energia è un valore decisivo per un’impresa, cercando il più possibile l’autoproduzione. Ne è convinto anche Arturo Lorenzoni, docente di economia dell’energia e marketing dell’elettricità alla scuola di Ingegneria industriale dell’università di Padova, che ha rilasciato su tale argomento una lunga intervista al mensile Eco.Bergamo nell’edizione di febbraio. «Le imprese –ha dichiarato Lorenzoni- diventano, da semplici acquirenti, protagoniste attive nella produzione e gestione dell’energia, con la generazione distribuita e l’accoppiamento intelligente tra produzione, accumulo e consumo».
Il percorso di decarbonizzazione è cominciato con imprese di grandi dimensioni, coinvolte nel sistema europeo di scambio dei permessi di emissione Ets a partire dal 2008. Oggi interessa anche le imprese di minori dimensioni, chiamate a qualificare, sul piano ambientale, le proprie filiere produttive per rispondere alle richieste del mercato dei consumatori.
«Intervenire sull’efficienza energetica e l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili – aggiunge Lorenzoni- ha spesso un costo netto negativo rispetto all’acquisto di energia sul mercato, anche in impianti di ridotte dimensioni, non essendovi di fatto significative economie di scala. Con le diagnosi energetiche qualificate è possibile individuare rapidamente e con costi contenuti le azioni che consentono di conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni dirette e indirette con un risparmio economico».
Le fonti rinnovabili sono le più economiche
«Il miglioramento delle prestazioni ambientali –prosegue l’esperto- è un fattore capace di innescare un processo, decisamente virtuoso, di riorganizzazione dell’impresa. Inoltre, gli indicatori per l’accesso al credito e alle filiere di qualità sempre più richiedono di avere prestazioni in miglioramento verso la neutralità climatica, per cui, paradossalmente, non investire si trasforma in un costo netto. Contrariamente a quanto avveniva anni fa, quando le tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili erano più costose, oggi l’energia più economica è proprio quella rinnovabile, insieme al contenimento dei consumi, per cui il rispetto dei vincoli ambientali diviene spesso un fattore di riduzione dei costi».