< Home

Filiere più corte per diventare fornitori della manifattura europea

Articolo. Un contesto nazionale che va verso una recessione e uno geopolitico di estrema incertezza: le imprese italiane soffrono ma sono pronte a ripartire. E a tornare a investire per accelerare la crescita. Già definite strategie per un protagonismo in Europa e su scala globale. Intervista a Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo.

Lettura 5 min.

Finale con recessione prima della ripartenza

La crisi energetica costerà all’Italia un punto di crescita del Pil. A fine 2022 il prodotto interno lordo aumenterà comunque più del doppio di quello della Germania: un +3,5% contro un +1,6%. Anche i nostri distretti segnano un ritmo più alto dei tedeschi: ricavi superiori di 76 miliardi nei primi sei mesi. Gli imprenditori intanto attendono, o meglio scalpitano. Produzione e ordini nell’industria stanno andando bene e molte imprese registrano fatturati in crescita anche di due cifre. Ma lo dicono «sottovoce». Ciò che non tornano sono i conti: fatturati alti, anche di un +25%, ma contro margini sempre più erosi dal caro energia e materie prime. Gli investimenti sono in calo, ma le stime dicono che, come un elastico, sono pronti a ripartire appena le incertezze macroeconomiche e geopolitiche si diradano.

 

Fra queste nebbie ora anche i venti di recessione. «C’è un rischio di recessione tecnica fra il quarto trimestre 2022 e il primo, al massimo il secondo, del 2023 . Ma in primavera il ciclo del rialzo dei tassi della Bce dovrebbe essere terminato, probabilmente anche quello della Fed negli Usa, rallentamenti dei prezzi di energia e materie prime sono già in corso. Stiamo tornando verso la normalità.

Ma c’è anche qualcosa di nuovo che si sta affermando fra le imprese, meccanismi di difesa destinati a consolidarsi in un cambiamento positivo, di maggiore competitività e dove l’Europa sarà sempre più al centro dei nostri interessi».

 

L’analisi di Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo, descrive un nuovo scenario macroeconomico di frenata globale, con la partita ancora tutta da giocare, proprio in queste ore, sul fronte energia. Grafici e tabelle che non nascondono però vitalità, resilienza e flessibilità del nostro fitto sistema imprenditoriale.

Gregorio De Felice

Chief Economist di Intesa Sanpaolo

Oltre alla crisi del gas, ci sono poi temi come la Manovra 2023, il Pnrr da completare, i cantieri da far partire, gli investimenti da sostenere. Che cosa sta cambiando esattamente?
Se il caro-energia per le famiglie ha significato soprattutto inflazione e minor potere d’acquisto, per le imprese c’è stata un’erosione dei profitti . Ma non è soltanto un’inflazione al 10% a incidere. C’è qualcosa in più, destinato a rimanere.

Che cosa sta cambiando di importante nel sistema delle imprese?
Molte aziende stanno ripensando profondamente le loro catene del valore, puntando ad accorciarle, a regionalizzarle per avere sempre meno Asia. Potremmo ritrovarci a breve con l’Europa e l’intera area del Mediterraneo sempre più al centro degli interessi delle imprese italiane. Molte aziende stanno già accelerando sulla transizione energetica. È l’altro filone che spinge gli investimenti, insieme al ridisegno delle filiere, per esempio, per l’ampliamento delle fabbriche di produzione di microchip. Un’ipotesi del genere contribuirà a costruire una filiera di fornitura in Italia non solo per le fabbriche italiane, ma anche per le tedesche e francesi. Sarà un cambiamento strutturale con la globalizzazione che diventa più regionale.

Significa anche ripensare ai modelli di business nella consapevolezza che le nuove catene del valore si stanno evolvendo per innovazioni tecnologiche. Sta succedendo questo?
La nostra indagine fra le imprese clienti sul territorio, una platea di oltre 400mila aziende, ci dice che sul 72% di queste è già da tempo in atto una riflessione sulla filiera. Avere catene più corte, fornitori più “amici” sotto il profilo politico, più sicuri. Il beneficio è di ridurre l’incertezza sui tempi, sulla disponibilità di prodotti e componenti.

 

Essenziale, però, vincere la sfida energetica. Oggi c’è un accordo su price-cap o un indice contro la volatilità dei prezzi. Che ruolo avrà nel nuovo contesto un sistema di controllo?
La discesa del prezzo del gas sotto i 120 euro al MgW/h è un dato di sollievo. Ma va guardata sempre con molta cautela. La speculazione si sta spegnendo perché si è attenuata la domanda, è finita la fase di stoccaggio del gas. L’Italia è arrivata al 93-94% di riempimento. La dipendenza dal gas russo, dal 40% è scesa al 9-10%.

E quindi ora che cosa ci aspetta?
Se oggi il gas è relativamente meno caro, il prezzo può però sempre risalire, tornare la fase speculativa, la Russia può chiudere o razionare le forniture. Un’intesa in Europa ha senso, ma se sarà la più ampia possibile. Darebbe finalmente anche nel settore energia un messaggio di unità, esattamente come è stato per la pandemia. La differenza è che sull’energia l’Europa non è stata capace di trovare e dare soluzioni veloci. Soprattutto non è stato lanciato un vero e proprio programma europeo di investimenti. Tutti i governi sono stati rapidissimi nell’imporre sanzioni, ma non si è stati capaci di dare una risposta unitaria per compensare gli effetti su famiglie e imprese.

Europa più centrale, ma la vera ripartenza per l’Italia passa anche dagli investimenti. Qual è la fotografia oggi?
Gli investimenti stanno inevitabilmente rallentando, troppe le incertezze. Ma la prospettiva è che ai primi segnali di sereno molte imprese sono pronte a farli ripartire. Soprattutto nel campo energetico, perché è in questo settore che abbiamo un megatrend di crescita. Dobbiamo spostarci sempre più sulle fonti rinnovabili, a confermare i notevoli progressi negli ultimi anni, ma non basta per essere autonomi. Tenendo presente un dato economico: un investimento in pannelli solari oggi si ripaga in due anni e dieci mesi.

 

Anche il Pnrr sarà una sfida in questo senso. Temete che si possa andare verso una sua revisione?
Il tema oggi è riprendere in fretta in modo da avere i fondi dall’Unione Europea, prestiti a lungo termine ma a tassi molto bassi, rispetto al rialzo del costo del denaro il vantaggio diventa ancora più consistente.

E in quanto ai timori legati a una “riscrittura” con il nuovo governo?
La presidente del nuovo governo ha molto chiaro che il Pnrr debba essere proseguito e che il piano debba rispettare le condizioni perché abbiamo fatto un contratto con la commissione europea. E se deve esserci qualche aggiustamento che sia minimo, che riguardi il rialzo dei prezzi. Vista la fase progettuale avanzata ora bisognerà concentrarsi anche sull’apertura dei cantieri.

Uno degli ostacoli per le imprese sono le competenze che non si trovano: sta frenando la crescita industriale?
È un problema enorme. Ed è un dramma in un paese in cui la disoccupazione giovanile è altissima. Le imprese hanno investito tantissimo nei processi di digitalizzazione, in Industria 4.0, in innovazione, ma non trovano ingegneri, informatici, tecnici specializzati. E alla fine avviano la formazione in azienda ai collaboratori o, nelle imprese più grandi, creando proprie Academy interne. È evidente che, prima ancora che a un problema culturale delle nostre famiglie, è il nostro sistema educativo e formativo a dover fare cambiamenti. Nei licei italiani abbiamo ancora programmi di Benedetto Croce, va sicuramente bene. Ma i tempi di oggi richiedono materie, discipline e contenuti capaci di collegare il frame mentale e professionale dei nostri studenti ai percorsi e ai temi dei giorni nostri. E questo ci dovrebbe fare riflettere.

 

La forza dei distretti, leva di rilancio industriale

Accelerare gli investimenti e inserire nuove competenze

Le filiere distrettuali resteranno un fattore di competitività solo se sapranno rafforzare le relazioni strategiche, con un’accelerazione degli investimenti in innovazione e tecnologia anche green, un consolidamento dimensionale e l’inserimento di nuove competenze.

Transizione digitale in ritardo fra le piccole imprese

Accelera anche l’adozione di tecnologie Industry 4.0. Ma i dati mostrano come il fenomeno abbia sinora riguardato in larga parte aziende medio-grandi, tre su quattro hanno adottato tecnologie 4.0 contro poco più di una su cinque tra le piccole e micro imprese.

La sfida energetica resta tutta da affrontare

Anche sul fronte ambientale si può fare di più: si va da settori come il legno-arredo meno di un’impresa su tre ha ridotto il consumo energetico degli impianti. Sotto il 6% le imprese che hanno investito in impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

 

La governance, un’altra area di miglioramento

La capacità delle imprese di rinnovare le proprie competenze e aprirsi alla transizione tecnologica e green può essere facilitata dal passaggio generazionale. Ma la quota di imprese che hanno modificato il proprio board dell’azienda è scesa al 13,2% nel 2020 e al 12,2% nel 2021.

L’opportunità del Pnrr per nuovi investimenti

Il Piano di ripresa e resilienza rappresenta un adeguato sostegno per rilanciare la propensione a investire in tecnologia per migliorare i processi produttivi e la fase commerciale, nelle persone e nelle competenze, nell’economia circolare, nelle fonti rinnovabili.

Il fattore competitività dei distretti industriali

I dati confermano un forte rimbalzo del fatturato nel 2021: +25,2%, un +4,3% sul 2019. Buono il contributo dell’export, che ha sfiorato il record di 133 miliardi. Confermata l’alta competitività dei distretti dai dati di commercio esterno del primo trimestre del 2022: +19,3%.