Non si può risolvere un problema con gli stessi strumenti che lo hanno generato. La regola di Einstein si applica perfettamente alla situazione attuale. I tremendi scenari di guerra hanno reso ancora più urgente la necessità di ridurre la dipendenza da gas e petrolio per fronteggiare la sfida inesorabile del nostro tempo, la crisi climatica, determinata inequivocabilmente dalle emissioni antropiche di gas serra.
Uno scenario di emergenze permanenti
L’ultimo rapporto dell’Ipcc sui cambiamenti climatici mostra che l’innalzamento di 1,5 gradi, provocato dai gas serra, può causare la scomparsa di interi ecocosistemi, crisi idriche e alimentari, situazioni cui le popolazioni possono adattarsi difficilmente. I rischi maggiori per l’Europa e il Mediterraneo sono la siccità, la scarsità di risorse idriche, gli impatti sull’agricoltura, la maggiore frequenza e intensità di inondazioni, le ondate di calore, l’innalzamento del livello del mare. Uno scenario di emergenze permanenti. Le perdite economiche per gli eventi meteorologici estremi aumentano in modo esponenziale. Anzi, l’economia può declinare in modo ineluttabile, perché alla fine, senza natura, non è più possibile nessuna produzione. L’inquietante siccità di questo inverno, davanti agli occhi di tutti, è l’ennesimo campanello d’allarme: non è una calamità naturale, perché è connessa con la crisi climatica provocata delle emissioni di gas serra.
La guerra sproni ad accelerare la transizione
La guerra e la conseguente necessità di abbandonare urgentemente il gas russo devono spronare la politica e la società ad accelerare, non a rallentare, la transizione dalle fonti fossili a quelle rinnovabili.
La transizione non sarà né semplice né indolore e potrà affermarsi solo se apparirà, oltre che necessaria e urgente, socialmente desiderabile. Dovrà mitigare le disuguaglianze invece di acuirle e di generare tensioni, convertendo le professionalità legate ai combustibili fossili, creando ulteriori posti di lavoro e non diminuendoli, rendendo il prezzo dell’energia più conveniente.
La produzione e il consumo di energia sono la quota più importante, circa il 75 per cento, delle emissioni di gas climalteranti. L’uscita dal sistema dei combustibili fossili deve avvenire in tempi molto rapidi, entro il 2050, meno di trent’anni, secondo la tabella di marcia del Green Deal europeo, in linea con l’Accordo di Parigi sul clima.
Il riscaldamento globale accelera
La temperatura media globale, nei prossimi vent’anni, può già raggiungere o superare 1,5 gradi di riscaldamento, se non si inverte subito la rotta intensificando le politiche per la transizione energetica e il superamento delle fonti fossili, il carbone in primo luogo. La media della temperatura globale, negli ultimi dieci anni, è stata superiore di ben 1,09°C al periodo 1850-1900. Oltre il 90 per cento delle regioni del mondo ha assistito a nuove frequenti ondate di calore, incendi devastanti, eventi estremi. Gli ultimi cinque anni sono stati i più caldi registrati dal 1850. L’Ipcc spiega che, negli ultimi 170 anni della rivoluzione industriale, abbiamo accumulato quasi 2.500 miliardi di tonnellate di anidride carbonica; mille miliardi di tonnellate producono un aumento medio della temperatura del pianeta di circa 0,45 gradi; solo negli ultimi 30 anni ne sono state immesse 871 miliardi tonnellate. La temperatura continua a crescere di 0,2 gradi per decennio. Il Global Methane Tracker dell’Agenzia internazionale dell’energia mostra che il metano, che la Cop26 di Glasgow aveva promesso di tagliare del 30 per cento entro il 2030, non solo continua a crescere ma è stato anche ampiamente sottostimato, di ben il 70 per cento, negli inventari dei Paesi. L’Agenzia internazionale dell’energia rivela che nel 2021 è stato registrato l’aumento di emissioni di anidride carbonica da parte del settore energetico più alto di sempre. La crescita ha compensato, assorbito e superato quanto era stato risparmiato nel 2020 dei lockdown: più 6 per cento rispetto al 2020, 2,1 miliardi di tonnellate di emissioni di anidride carbonica in più. Un aumento anno su anno così elevato non era mai stato rilevato.
Le rinnovabili per l’autosufficienza nazionale
Ora la guerra in Ucraina ha messo in risalto in modo ancora più immediato le criticità del sistema produttivo italiano, ancora fortemente ancorato al gas della Russia e al petrolio e privo di un percorso convincente di riconversione energetica dalle fonti fossili. L’unica strada è quella dell’incremento dell’elettrificazione alimentata dalle energie rinnovabili, senza intaccare il nostro tessuto industriale.
Uno degli effetti collaterali di guerra da evitare, non solo in Italia, è il rischio di rallentare la transizione ecologica, accumulando ulteriori ritardi a quelli, già enormi, nella lotta alla crisi climatica antropica. Si paventa un’inversione di orientamento, nel breve termine, ancora a favore della potentissima lobby del gas e del petrolio, a scapito degli investimenti sulle energie rinnovabili e l’elettrificazione della mobilità.
Bisogna, invece, mantenere l’attenzione sulla vera priorità strategica che abbiamo di fronte: l’abbandono della strada del petrolio e del gas a favore delle energie rinnovabili e della elettrificazione del sistema della mobilità. Questa via favorisce sia l’autosufficienza nazionale sia quella locale, grazie alle comunità energetiche, e indebolisce il potere di ricatto di chi esporta fonti fossili, togliendo dal tavolo il pretesto di guerre e conflitti.
Il mondo della vecchia economia fossile, dopo avere contribuito a ritardare per decenni la necessaria e urgente transizione energetica ed ecologica, può mirare a sfruttare la crisi in atto per rinviare il proprio declino. Questa crisi energetica è causata dalla dipendenza dalle fonti fossili. Il paradosso è il tentativo dei loro produttori, raffinatori e commercianti di mostrarsi come garanti della stessa sicurezza energetica che hanno messo a rischio.
L’attenzione generale è tutta concentrata sul presente angoscioso della guerra. In Francia una manifestazione con 80mila persone – 32mila solo a Parigi – ha denunciato che nei dibattiti per le elezioni del prossimo presidente della Repubblica, in programma il 10 aprile con possibile secondo turno il 24 aprile, l’emergenza climatica non è considerata dai candidati. Solo l’1,5 per cento degli argomenti, scelti dai mezzi d’informazione tra il 28 febbraio e il 6 marzo per coprire il tema delle elezioni, aveva al centro il clima, secondo un sondaggio. Un quadro simile a quello che portò Greta Thunberg a scioperare da scuola nell’ormai lontano agosto di quattro anni fa. Era il 2018, infatti, quando una giovanissima Thunberg decise di protestare davanti al parlamento svedese, alla vigilia delle elezioni politiche, per chiedere ai politici del proprio Paese più azione contro la crisi climatica.
il tema solo l’1,5 per cento di quelli scelti dai media per le elezioni del presidente della Repubblica
Il piano dell’Europa per sostituire il gas russo
La buona notizia resta quella arrivata dalla Commissione europea, che ha lanciato la propria proposta per affrancare l’Europa dai combustibili fossili russi, in primo luogo il gas, ben prima del 2030, come risposta all’invasione dell’Ucraina. La bozza di piano, chiamato REPowerEU, delinea, inoltre, una serie di misure volte a rispondere all’aumento dei prezzi dell’energia in Europa e a ricostituire le scorte di gas per il prossimo inverno.
Il piano della Commissione Europea per sostituire quasi due terzi dei 155 miliardi di metri cubi di gas, che importiamo annualmente dalla Russia, entro la fine del 2022, ne prevede: 60 da gas di altri fornitori, 3,5 da biometano rinnovabile, 18 da efficienza energetica, 20 da eolico e fotovoltaico.