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Allarme Pnrr e imprese indebitate, le aziende «zombie» sono 23mila

Articolo. I nuovi studi Cerved e Argenta SOA quantificano la dimensioni del rischio e le attività in difficoltà finanziaria per alto livello di debiti, incapacità di ripagare i prestiti e capacità di salvaguardia dell’occupazione. Ma vengono mantenute artificialmente tramite prestiti e sussidi togliendo accesso al credito a imprese sane.

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I rischi insolvenza sugli appalti Pnrr

L’allarme sui cantieri del Pnrr è giustificato dai numeri, soprattutto dei bilanci aziendali: sono 23mila le aziende cosiddette zombie, a pesante rischio di insolvenza, alta probabilità di fallimento e una bassa tenuta dell’occupazione. Se è vero che un’azienda su dieci è fortemente indebitata o è capitalizzata in misura insufficiente (dati dello studio NSA) così da faticare a trovare le garanzie necessarie richieste per partecipare alle gare d’appalto, dall’altra è il Cerved che non solo conferma questo rischio, ma dà una precisa dimensione del fenomeno. Che incombe per intero sul destino delle grandi opere del Pnrr, rafforzato anche dal dato secondo cui le imprese delle Costruzioni (ancora il 42,9%, quasi una su due, di quelle monitorate dalla crisi del 2008) sono le più coinvolte insieme a Energia (37%), Servizi (33,4%), Logistica e Trasporti (32%).

In Italia, a fine 2022, risultano oltre 23mila le aziende zombie ( 23.262 il 2,4% del totale, report di fine aprile 2023) che potrebbero finire nel circuito degli appalti Pnrr, ma che non potranno partecipare ai bandi dei lavori perché impossibilitate a ottenere la certificazione SOA (strumento oggi importante anche per attestare parte dei temi Esg legati alla sostenibilità), e necessaria per prendere parte agli appalti. Lasciarli quindi scoperti è un’eventualità molto alta.

 

Ventitremila imprese classificate «zombie» dal Cerved perché sotto il profilo finanziario combinano una bassa redditività, squilibri finanziari ad alto rischio di insolvenza, un rendimento marginale del capitale inferiore al costo del capitale e una incapacità a ripagare gli interessi sui prestiti (debiti) attraverso i propri utili. Ancora più dentro a tecnica finanziaria si tratta di imprese che la metodologia Cerved identifica in base a due condizioni: l’indice Roa dell’impresa è inferiore al costo del debito (prime rate) e il rapporto fra debiti finanziari e totale attivo di bilancio è superiore al 40%. «Sono imprese non in grado di operare secondo le normali condizioni di mercato» sottolineano al Cerved. Eppure sul mercato resistono e hanno anche un impatto negativo significativo sul sistema economico: creano stagnazione della produttività e disincentivo all’ingresso di nuove imprese, inducono un aumento del costo del lavoro, favoriscono un’ulteriore e maggiore esposizione finanziaria del sistema.

Troppi sussidi mantegono aziende «zombie»

Con un’altra conseguenza deleteria per l’eco-sistema imprese: «Pur essendo imprese molto fragili finanziariamente resistono sul mercato perché sono spesso mantenute artificialmente tramite prestiti e sussidi. E questo crea un altro impatto negativo, esclude altre imprese sane dall’accesso al credito». È vero che in seguito alla prima Grande Crisi, del 2008-2012 le imprese zombie sono calate (da 62mila del 2008 alle 47mila del 2015 fino alle 40mila del 2020), ma nonostante una maggiore selezione del credito, l’uscita dal mercato delle aziende più fragili e un effettivo miglioramento della capitalizzazione (in gran parte supportate anche da moratorie sui prestiti, politiche creditizie accomodanti e da una estensione del Fondo Garanzia) a fine 2022 le imprese sull’orlo del fallimento restano ancora oltre 23mila, un dato che fa dell’Italia uno dei Paesi Ocse a più alta incidenza di imprese zombie.

 

Il rischio è tutt’altro che allontanano. Lo studio di Argentea Soa, una delle principali società organismo di attestazione che certifica le aziende per la partecipazione alle gare pubbliche puntualizza ancora meglio il quadro congiunturale.

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Giovanni Pelazzi

Presidente di Argenta SOA

«Per le imprese l’attuazione del Pnrr presenta molte criticità all’orizzonte e i rischi che si perda un’occasione straordinaria sono elevati: il 61% delle imprese dichiara infatti che non ci sono le condizioni per poter realizzare i lavori infrastrutturali e di costruzioni previsti mentre solo il 39 per cento si dichiara ottimista». Giovanni Pelazzi, presidente di Argenta SOA, presenterà i risultati dello studio domani nel talk «Appalti pubblici, azione amministrativa e nuove tecnologie», a Milano nella Deloitte Greenhouse. «Ad accendere i riflettori su queste criticità del Pnrr – precisa ancora Pelazzi- è un campione significativo di aziende, composto dal 67%, una maggioranza, che ha partecipato a gare pubbliche negli ultimi mesi. Ci troviamo di fronte a una grande occasione per l’Italia – è il monito di Pelazzi - che rischiamo di non sfruttare adeguatamente e che sta mostrando alcune criticità sistematiche che rallentano la realizzazione di opere pubbliche e impattano anche sulla crescita economica del Paese».
C’è in fondo una nota di ottimismo dalla ricerca Argenta SOA. «Il 63% delle imprese intervistate il nuovo Codice degli appalti può rendere più veloce la realizzazione delle opere rispetto a un 37% che pensa il contrario».

L’impatto del rischio sui settori

Intanto, la fotografia Cerved racconta un pezzo di storia con cui si dovranno fare i conti a breve. Tenendo conto che proprio sul settore più sotto analisi, quello delle Costruzioni, si avrà l’impatto più forte: nelle valutazioni originarie, secondo stime Ance-Confindustria, il Pnrr impatta per circa 108 miliardi di euro (sui 222 totali), di cui 42,9 miliardi per i progetti in essere e 65,1 per nuovi progetti. «La possibile rimodulazione delle misure del Pnrr – sottolinea Pelazzi - rappresenta, però, una nube all’orizzonte sulle prospettive di crescita del settore edile».
E i dati che arrivano dall’Istat non rassicurano: su maggio è segnalato un lieve incremento della produzione nelle costruzioni in marzo su febbraio (+0,1%) e nel primo trimestre 2023 rispetto al quarto 2022 (+1,1%). «L’incremento dell’attività nelle produzioni – spiega Pelazzi – deriva esclusivamente da un effetto “trascinamento” ereditato dal trimestre precedente. Se si osserva infatti il livello dell’indice di produzione in marzo (137,7) si nota che è sostanzialmente in linea con quello di dicembre (137,5). Quindi l’attività, di fatto, è rimasta piatta nel primo trimestre di quest’anno e l’incremento rilevato nel primo trimestre è solo una questione aritmetica».

 

Intanto, delle 23mila aziende, attualmente sono state almeno 10mila le imprese registrate come nuove zombie (erano 16mila le nuove entrate nel perimetro zombie a fine 2021): hanno debiti finanziari iscritti in bilancio per 20 miliardi e hanno ottenuto finanziamento concessi dal Fondo Garanzia per 7 miliardi. È vero che nel biennio 2019-20 le imprese critiche che hanno ricevuto aiuti dal Fondo si sono risanate molto più spesso di chi non ha avuto finanziamenti (il 70% contro il 43%). Ma dentro questo perimetro di rischio oggi stanno incidendo con i loro effetti nuovi fattori: rincari energetici, inflazione, rialzo dei tassi che riacutizzano i problemi di liquidità delle aziende.

I dubbi di sistema bancario

«Questi fattori – spiegano gli analisti Cerved – non si sono ancora tradotti in un aumento delle chiusure d’impresa, c’è una sorta di stallo. Ma si tratta di imprese molto fragili finanziariamente che comunque continuano a operare sul mercato. È importante identificarle – conclude l’analisi - monitorarne i segnali e quantificare i possibili impatti sul sistema creditizio e sull’intero sistema economico». Imprese e banche, quindi, a un nuovo confronto.

 

E se da una parte si torna a invocare nuovi e robusti interventi statali a garanzia per le imprese a bassa capitalizzazione e «una maggiore elasticità sul fronte banche», dal credito arriva invece un monito chiaro.

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Antonio Patuelli

presidente dell’Abi

Il sistema finanziario, al momento, conferma rischi anche se con molta cautela adombra possibili vie d’uscita. «Mi sembra giustificato l’allarme sui possibili fallimenti prossimi venturi nell’industria. E risulta anche a noi che in Italia ci siano settori sottocapitalizzati - ha dichiarato il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli -: stavamo monitorando da tempo proprio edilizia e servizi su cui ora si accede il faro». Il quale conferma le paure che la corsa dei tassi abbia colto di sorpresa diversi operatori «che si erano come abituati ai tassi a zero e avevano addirittura redatto i loro piani pluriennali sottovalutando il fattore costo del denaro».
E sul Pnrr interviene con una conferma. «Noi ci siamo. Non manchiamo di giocare per intero la nostra parte - aggiunge -. Però niente soldi a pioggia per nessuno, ogni richiesta di finanziamento, relativa al Pnrr o a qualsiasi altro tipo di investimento, viene vagliata con la consueta massima attenzione senza privilegi». Rispetto ai settori a rischio «una parte dell’edilizia da sempre vive del breve termine, molte aziende non sono portate a curare la tenuta patrimoniale. Altrettanto il turismo balneare. Il pericolo è che tutto questo possa portare a crisi di impresa e quindi al deterioramento di parti non trascurabili del credito bancario». A suo avviso infine i tassi alti non favoriscono le banche: «Ovviamente garantiscono più alti margini nell’attività creditizia, però non va dimenticato che veniamo da sei anni di tassi a zero e altri quattro a zero virgola».