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La crisi energetica è un’opportunità per 7 imprese su 10. Preoccupa il vuoto di profili e competenze

Articolo. Il caro energia pesa sulle aziende italiane e temono nuovi rincari. Ma molte aziende ritengono anche che la difficoltà sia prima di tutto l’occasione per modificare le catene di fornitura, migliorare l’efficienza energetica e introdurre nuove misure europee contro il carbon leakage

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Dare un’accelerazione alla transizione

Le imprese italiane ribaltano lo sguardo sulla crisi. La contingenza negativa dovuta al caro-energia e alla carenza di materie prime esplosa con il conflitto in Ucraina non può pregiudicare investimenti e innovazione dei processi già avviati sulla strada della transizione ecologica. Anzi, può diventare una nuova opportunità. È l’occasione per accelerare ulteriormente questo passaggio.
Ma le imprese italiane, in proporzione maggiore delle altre aziende del panorama europeo, indicano anche un limite su questo percorso: la preoccupazione legata alla difficoltà di reperire profili professionali e manodopera qualificata da inserire in questo processo di trasformazione. Un problema segnalato dal 42,3% delle imprese, picco che arriva al 60% quando di parla della ricerca di profili specializzati in materie Stem.Torna quindi in tutta evidenza come la questione energetica si salda, ancora una volta, con problemi strutturali dell’economia italiana e del mercato del lavoro interno, ponendo ulteriori sfide per la transizione ambientale e per la sfida digitale verso un’industria 4.0. Il timore delle imprese è quella di perdere ulteriore competitività sui mercati internazionali.

 

Se questa è la cornice, resta invece salda sullo sfondo la convinzione che la crisi può essere interpretata realisticamente come una nuova opportunità di sviluppo e di transizione.
Gli investimenti programmati e le innovazioni tecnologiche e organizzative già in corso per rimodulare le imprese in senso ecologico e secondo i parametri di un’economica circolare che utilizza meno risorse e meno energia, secondo le imprese italiane «non possono essere interrotti né pregiudicati». Sarebbe stato inutile, a questo punto, resistere e sacrificare performance aziendali di fronte a un caro-bollette che per molte aziende ha aumentato la spesa per gas e elettricità fino a +10% di quella totale, con alcuni picchi del +20%. Ma il timore che il peggio sia alle spalle non è affatto passato. I costi dell’energia sono un rischio per il 47,4% delle aziende italiane e nel prossimo anno la preoccupazione è che le tariffe continuino il trend di crescita: il 52,6% delle imprese si aspetta un aumento dei prezzi; il 32,1% stabilità e il 14,1% una diminuzione dei costi.

 

La survey «Energy 4 Europe» pubblicata ieri dall’AHK Italien insieme a IntesaSanpaolo (in allegato a questo articolo il report completo di IntesaSanpaolo), e condotta dalle camere di commercio tedesche estere di Italia, Francia, Portogallo e Spagna, ha registrato con molta chiarezza quali siano le previsioni delle imprese circa l’andamento dell’attuale crisi energetica. Oltre ad aver fotografato l’impatto su fatturato e strategie future di decarbonizzazione.

La prospettiva del mercato dell’energia

I mercati dell’energia fanno da perimetro all’intero contesto: i risultati dell’analisi di Intesa Sanpaolo parlano infatti di un caro-energia che ha significativamente impattato sulle prestazioni della maggior parte delle aziende coinvolte (circa il 70%) e la maggioranza degli imprenditori, il 70,5%, segnala i prezzi di energia e materie prime come i principali rischi per lo sviluppo della propria azienda nei prossimi dodici mesi. L’indagine, dall’altro, evidenzia anche come meno del 15% delle aziende in Italia e meno del 10% delle aziende in Europa si attenda un calo dei prezzi nei prossimi mesi.
Una previsione che secondo gli analisti di Intesa Sanpaolo è corretta. Nello scenario base, infatti, l’analisi di Intesa Sanpaolo prevede che i prezzi di gas naturale e energia resteranno «a lungo molto elevati», ma dovrebbero diminuire nel secondo semestre 2022 rispetto ai picchi delle prime settimane di guerra tramite un faticoso adeguamento del mercato.

Jörg Buck

Consigliere delegato di AHK Italien

Più nel dettaglio tecnico, IntesaSanpaolo prevede che il contratto future sul primo mese per il gas naturale TTF potrebbe passare da una media di 120 euro/MWh nel primo semestre 2022 a una media di 110 euro/MWh nel secondo semestre dell’anno e avvicinarsi a una media di 80 euro/MWh nel 2023. «Tuttavia, anche più a lungo termine – precisa l’analisi di Intesa Sanpaolo - le quotazioni non torneranno ai livelli pre-crisi, a causa della priorità politica di procedere alla transizione verde, che oggi è fondamentale anche per ridurre la dipendenza da combustibili fossili di origine russa. Per questo motivo, continuiamo a ritenere appropriato un intervallo di prezzo compreso tra 60 e 100 euro/MWh nel medio termine. Più a lungo termine, sarà appropriato un intervallo di prezzo compreso tra 25 e 45 euro/MWh».

 

E l’energia infatti resta il capitolo che più preoccupa gli imprenditori italiani. Si tratta di un vero e proprio «fattore di rischio - osserva Jörg Buck, consigliere delegato di AHK Italien - e rileviamo che il timore per i prezzi delle materie prime pesa ancora di più di quello legato alle quotazioni dell’energia». Ma Buck rilancia subito dopo definendolo un problema «sempre più limitante», per le aziende italiane (42,3%) «anche la difficoltà a reperire personale qualificato: una dinamica che osserviamo ormai da anni e che continuiamo a presidiare, soprattutto nel contesto post-pandemico».

Le preoccupazioni delle imprese italiane

La preoccupazione aumenta il suo peso se messa in relazione a un’Italia leggermente più ottimista rispetto al resto delle imprese europee. La percezione italiana positiva è molto più alta di quella europea rispetto alle opportunità offerte dalla transizione: sono infatti positive oltre due imprenditore su tre (il 75%). Per molte aziende, secondo l’indagine «Energy 4 Europe», il momento attuale è da considerare decisivo per intervenire e rimodulare in senso più corto e vicino, le catene di fornitura energetica, così come per gli investimenti nelle rinnovabili e nell’aumento dell’efficienza energetica.

 

La fotografia statistica della survey dice anche che il 29,5% delle imprese italiane ha visto il business molto influenzato dall’aumento dei prezzi dell’energia nell’ultimo anno, un po’ meno rispetto al 32% delle imprese di Portogallo, Francia e Spagna. Inoltre, per il 41% delle imprese l’incremento ha influenzato «abbastanza» le proprie prestazioni, contro il 36,5% delle imprese degli altri tre paesi.

Monica Poggio

Presidente AHK Italien e amministratore delegato di Bayer Italia

Ma per il 30,8% delle imprese italiane l’aumento dei prezzi comporta più opportunità che problemi per la transizione dell’azienda mentre per il 44,9% problemi, ma anche opportunità.E può essere letto in questa ottica l’alto interesse che riscuote l’introduzione di misure europee di tutela della competitività e degli obiettivi ambientali, come quelle contro la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio (carbon leakage).

 

«La survey delle quattro camere di commercio tedesche all’estero ci restituisce un segnale chiaro – sottolinea Monica Poggio, presidente AHK Italien e ad di Bayer Italia -: nonostante le preoccupazioni date dal momento, le aziende non vogliono sacrificare il percorso fatto finora per la transizione ecologica, e anzi vogliono accelerare sull’efficienza energetica e su misure europee a tutela della loro competitività. È un dato molto forte – fa notare Poggio - su cui Italia e Germania, i paesi più esposti alla dipendenza da Mosca, possono costruire un ulteriore tassello della loro partnership, spingendo anche a livello europeo per un piano energetico che vada in direzione di un’autonomia strategica sempre maggiore».

Il rapporto e la collaborazione con la Germania

Una prospettiva di ulteriore rafforzamento della collaborazione Italia-Germania ulteriormente favorita dal piano REPowerEu, appena messo in campo dalla Commissione europea, documento che apre con una dichiarazione molto dura: «L’invasione dell’Ucraina ha reso evidente e forte come mai prima d’ora la necessità di una rapida transizione verde». Lo studio di IntesaSanpaolo va più in profondità: secondo le stime della Commissione europea, la dipendenza dell’Europa dai combustibili fossili russi potrebbe essere eliminata entro il 2030 e ridotta dell’80% circa già quest’anno. Questa strategia – spiegano gli analisti di IntesaSanpaolo - si fonda su due pilastri: diversificazione degli approvvigionamenti di gas e riduzione della dipendenza dai combustibili fossili attraverso l’efficientamento energetico, anche accelerando i processi di risparmio energetico ed elettrificazione. «In Europa, questo nuovo equilibrio sul mercato dell’energia sarà raggiunto grazie agli interventi politici e alla risposta ai prezzi di aziende e consumatori – sottolineano gli analisti -. Questo significa che a fronte dell’impossibilità di sostituire completamente le importazioni russe in tempi brevi, il risparmio energetico e la distruzione di domanda assumeranno un ruolo estremamente importante nel processo di ribilanciamento».

 

E l’indagine «Energy 4 Europe», rilancia il senso di opportunità che le imprese italiane hanno colto in questo passaggio: sono infatti ben consapevoli della necessità di perseguire questo doppio binario di azione. «Da un lato, la politica (europea e italiana) deve diventare più proattiva e tutelare maggiormente la competitività delle aziende – sottolineano gli analisti di IntesaSanpaolo -. Ad esempio, emerge la richiesta di imporre dazi su semilavorati o trasformati fuori da catene energetiche europee. Dall’altro lato, le aziende si stanno preparando a trasformare anche questa crisi in un’opportunità: per aumentare l’efficienza energetica e tagliare i consumi, per acquistare più elettricità verde, per investire in tecnologie più efficienti e in fonti rinnovabili».
Una sfida a cui il sistema economico italiano non sembra proprio voler rinunciare. Anche per la ricaduta in termini di maggiore competitività che acquisirebbero sui mercati.