I cambiamenti climatici, la necessità di preservare gli ecosistemi e la gestione sostenibile delle risorse mettono il mondo della produzione, in particolare della plastica, davanti a scelte cruciali, alla ricerca di soluzioni per un cambio di passo, che porti un futuro sostenibile, un futuro a emissioni zero. Scelte di visione a lungo termine, tecnologie innovative, collaborazione tra settori e partner diversi sono necessarie per raggiungere l’ambizioso ma indispensabile obiettivo. Con una grande convinzione: si può fare, abbracciando la filosofia dell’economia circolare e ripartendo da materie prime alternative, rinnovabili, a bassa impronta di carbonio.
Se ne è parlato martedì 1 dicembre nel corso del webinar riservato ai media “Biomass – raw material of the future” (Biomassa – materia prima del futuro), organizzato dalla multinazionale tedesca Covestro, che in Italia ha la propria sede a Filago. L’incontro, che fa parte di una serie organizzata da Covestro sulle sfide globali e le frontiere della ricerca sostenibile, è stato l’occasione per raccontare come la materia di origine vegetale, anche sotto la forma di rifiuti o scarti, può costituire una valida risorsa per realizzare prodotti chimici alternativi al petrolio, nell’ottica dell’economia circolare.
All’incontro, presentato da Frank Rothbarth, hanno partecipato il capo globale del programma di Economia circolare, Christian Haessler, e Vera Eßmann del dipartimento Nuove tecnologie e innovazione della sede tedesca. Ospite speciale dell’incontro il professor Henk Noorman dell’Università di Delft, nei Paesi Bassi, scienziato della Dsm, azienda che produce tecnologie innovative sostenibili, tra le quali il 3-NOP, additivo che riduce del 30% le emissioni di metano dei bovini, responsabili del 4% di quelle totali di gas serra.
L’economia circolare per la neutralità climatica
«Come leader mondiale del settore, con un volume di affari di 12,4 miliardi di euro, 17.200 dipendenti, 33 siti produttivi nel mondo, 1.200 addetti nel settore ricerca e sviluppo – dichiara Christian Haessler – ci siamo impegnati a convertirci all’economia circolare, di cui ci consideriamo un driver internazionale. Economia circolare non significa solo utilizzare lo scarto nel momento del fine vita di un prodotto, ma tracciare un percorso per arrivare alla neutralità climatica».
Per ottenere il risultato, l’azienda si sta focalizzando su quattro punti chiave: la ricerca di nuove materie prime alternative; l’innovazione tecnologica del riciclo, per riportare la plastica allo stato di materia prima; l’utilizzo di energie rinnovabili; le collaborazioni esterne, per elaborare soluzioni comuni e condivise, perché – aggiunge Haessler – «non possiamo arrivarci da soli».
Produzione sostenibile con le biomasse
«Le riserve petrolifere sono limitate, ma le alternative ci sono: sono le biomasse, materia rinnovabile che assorbe anidride carbonica e permette una produzione sostenibile», spiega Vera Eßmann. «Nel 2019, l’1% delle plastiche nel mondo sono derivate da biomassa, una produzione che cresce del 3% annuo». Proviene dalle classiche coltivazioni industriali, come mais e barbabietola da zucchero, ma anche da soia, colza, paglia, alghe, scarti del legno, rifiuti organici. Ci sono già diversi prodotti Covestro a base di bioplastiche sul mercato. Come Desmodur, vernice indurente per auto che contiene fino al 70% di carbonio ottenuto dalle piante, o Makrofol, pellicola di policarbonato per auto ed elettronica, e Desmopan, termoplastica utilizzata per calzature sportive.
La collaborazione con la finlandese Neste e Borealis per l’acquisto di fenoli da idrocarburi rinnovabili, un tipo di nafta da biomassa, consentirà a Covestro di produrre bioplastiche per auto, luci led, elettronica e medicale, mentre continua lo studio per produrre dalle piante anilina, di cui la multinazionale assorbe il 20% del mercato. «Quando utilizziamo materia prima vegetale, ci accertiamo che abbia una provenienza da produzione sostenibile e che abbia le stesse performance del corrispettivo sintetico», sottolinea Vera Vera Eßmann, che descrive i progetti che coinvolgono Covestro con partner europei, in particolare Percal, il progetto per la valorizzazione dei rifiuti urbani, patrimonio di scarti organici che oggi finisce ancora per tre quarti in discarica o in inceneritore. In Percal, Covestro ha approfondito la ricerca per estrarre l’acido succinico e polioli, che costituiscono le dispersioni poliuretaniche da utilizzare in campo cosmetico e tessile, mentre con il progetto Smartbox, iniziato nel 2019, e il progetto BioCatPolymers, Covestro si occupa di polimeri da legno, segatura e trucioli.
La bioplastica da 4 a 135 milioni di tonnellate
Secondo le stime del Nova Institute, la bioplastica passerà dai 4 milioni di tonnellate del 2018 a 135 milioni nel 2050, una prospettiva che solleva considerazioni importanti sottolineate dal professor Henk Noorman: l’utilizzo delle biomasse come carburante, una soluzione che manda in fumo preziosa materia prima con cui produrre bioplastiche, e l’annosa contrapposizione dell’utilizzo agricolo per produrre cibo o materia prima. La ricerca, ricorda il professor Noorman, sta elaborando nuove forme di uso e riutilizzo della biomassa e dell’anidride carbonica connessa alla sua lavorazione, aprendo la strada a interessanti interconnessioni, che le nuove tecnologie già prospettano come possibili, mentre si rende sempre più necessario concepire i prodotti pensando al loro fine vita. Produzione di cibo e produzione industriale, per il professore olandese, non dovrebbero entrare in competizione, ma coordinarsi per trovare strategie da adottare: «Per produrre cibo, per l’uomo e gli animali, e carburante. Non in contrasto ma insieme».
«È un’opportunità» conclude Haessler: «Un nuovo modo di lavorare, che ci regala una grande spinta motivazionale». Il futuro sostenibile è tutto da costruire.
Non bruciamo la biomassa come carburante
Che cosa risponde Covestro all’obiezione di chi pensa che l’agricoltura industriale necessaria per ottenere biomassa potrebbe incidere negativamente sul suolo, la biodiversità e il consumo di acqua?
«Una produzione alimentare affidabile, così come l’uso sostenibile delle aree coltivabili, la biodiversità, l’acqua potabile e la salute del suolo hanno sicuramente la priorità. Tuttavia, per ottenere circa l’11% della plastica prevista per il 2050, è necessario solo l’1% della biomassa attualmente utilizzata nel mondo: il resto sarà ottenuto da materia prima riciclata o derivata da anidride carbonica. Siamo convinti che la biomassa vada utilizzata a fini alimentari, per l’uomo e gli animali, e per produzioni di alto valore aggiunto, piuttosto che venire bruciata come carburante bio o combustibile per riscaldamento. Inoltre, esistono altre fonti da cui attingere materia prima a base organica, come i rifiuti organici».
A proposito dei derivati da biomassa utilizzati nella cosmetica e nell’abbigliamento: sono meno intrusivi rispetto ai derivati dal petrolio o, avendo la stessa formula chimica, hanno lo stesso impatto?
«Il punto, per quanto riguarda la sostenibilità di questi prodotti, è che sono derivati da biomassa. L’acido succinico o l’acido adipico, sia da biomassa sia di origine fossile, dal punto di vista chimico sono equivalenti e conservano le stesse proprietà. Nella linea cosmetica Baycusan, per esempio, sia le materie prime derivate dal petrolio sia quelle derivate da biomassa presentano buoni profili tossicologici e sono tollerate bene dalla pelle».