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Emergenza competenze digitali, freno alla ripartenza delle imprese

Articolo. Il post-Covid ha dato un’accelerazione digitale alle aziende, software e algoritmi dominano processi e produzioni Il mercato delle professioni si è trovato spiazzato. Oggi la grande carenza sono per professioni con alta specializzazione digitale, comprese le soft skill

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Una metamorfosi del lavoro che sarà continua

«È perfino inutile insistere e continuare a tenere aperte tutte queste posizioni di lavoro, sono profili che non si trovano. Stiamo cercando 130 persone da oltre sei mesi, e ad agosto partirà l’attività del nuovo edificio che quasi raddoppierà gli attuali 200 posti di lavoro solo qui…».

È a metà fra lo sconsolato e il provocatorio. Ma è certo questa la sintesi che Stefano Cecconi, 42 anni, fondatore, titolare e amministratore delegato di Aruba.it, la società leader e data center campus più grande d’Italia specializzato nei servizi Ict e data center, web hosting e registrazioni domini. Abbiamo appena terminato la visita ai due edifici Aruba, A e B, di Ponte San Pietro, e Cecconi ha di fronte il cantiere del terzo edificio, il C, da 8 megawatt che si aggiungeranno ai 12 e ai 9 megawatt dei due edifici precedenti, fino a coprire in totale oltre 200mila metri quadrati di superficie e una potenza elettrica pari a una città di 500mila abitanti. È la più grande nuvola digitale d’Italia, ma anche l’ecosistema tecnologico e innovativo perfetto da cui iniziare a parlare di competenze. Dell’emergenza competenze digitali, il vero allarme per la ripartenza dell’industria.

Stefano Cecconi

Titolare e amministratore delegato di Aruba.it

Ed è infatti da qui che emergono nettamente le contraddizioni di un mercato del lavoro che fa fatica a stare al passo con l’accelerazione della trasformazione digitale delle imprese. «Cerchiamo sviluppatori, sistemisti, esperti di software, ma anche data analiyst vista l’importanza strategica dei dati non solo per la sicurezza logica, ma anche per quella fisica. E poi professionisti Ict, specialist IoT per l’estesa connettività su tutta l’impresa – continua Cecconi –, così come mancano anche elettricisti, idraulici, manutentori, tecnici». Un anno dopo il Covid l’accelerazione verso l’innovazione tecnologica conseguente proprio alla pandemia ha stravolto un’altra volta la domanda di competenze. I profili richiesti ora sono molto differenti rispetto a un anno fa.

 

Ecco l’elenco dell’ultimo Osservatorio delle competenze: big data specialist, process automation specialist, digital transformation specialist, information security analyst, software e application developer. Tutte professioni travolte dalla bufera di sistemi a base di intelligenza artificiale e di machine learning. E dove software e algoritmi la fanno da padrone. Basta guardare all’auto elettrica, il cui futuro è praticamente solo fra connettività e sostenibilità e dove la “vecchia” auto fatta di componenti meccanici, lascia il posto a sensori elettronici e processori. In una sintesi efficace dell’ultima analisi di Umberto Bertelè, ordinario di Strategia e presidente onorario del Mip al Politecnico di Milano: «L’auto non è più la stessa, assistiamo alla trasformazione di un’industria mangiata dal software».

 

Anche le soft skill si devono adeguare

La parola chiave che oggi qualifica ogni profilo è quindi «digitale», lo era già, ma oggi è vincolante. Non si è più di fronte solo a un’emergenza di semplici specializzazioni che non si trovano, ma di una ulteriore profonda mancanza di professionalità digitali, non più di skill, ma di digital skill. E più competenze digitali vuol dire anche più competenze soft, ma digitali perché anche le soft skill diventano maggiormente pervasive in tutte le professioni Ict. Allo stesso modo il ritardo è diventato «digital gap», e lo skill mismatch è diventato «digital».

 
Alessandro Perego

Direttore scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

Fornire ai lavoratori le competenze digitali per i lavori del futuro è la strada per cogliere tutti i vantaggi di uno scenario digitale in rapida evoluzione, raccomandava solo un anno fa Alessandro Perego, direttore scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. Oggi lo ribadisce. «Molte mansioni tradizionali si stanno trasformando in nuove professioni digitali – spiega Perego -, e nel breve termine sono prevedibili saldi occupazionali negativi, considerando anche l’estrema rapidità della rivoluzione digitale e la complessità di molte tecnologie». In sette aziende su dieci il digitale sta ridisegnando l’organizzazione dell’azienda e del lavoro, la trasformazione della forza lavoro e cambiando il luogo di lavoro. Come dire, sono coinvolte tutte le le funzioni delle aziende e le aree di business.

Intanto però, peggiora la carenza di laureati Ict: l’Osservatorio Assintec-Assinform segnala che il fabbisogno accumulato a fine 2021 arriverà a 671mila unità nell’ipotesi conservativa, ma che arriva a 945mila nell’ipotesi più espansiva (e più realistica). A Bergamo, l’ultima indagine Excelsior di giugno segnala 10.400 assunzioni previste, 6mila almeno nelle qualifiche tecniche ad alta specializzazione digitale.

 

L’ultima inchiesta Gartner rivela, invece, che ogni anno, a un ritmo di almeno il 10%, una competenza digitale su tre per posizioni nel settore It, manifatturiero, finanza o vendite sarà obsoleta. Qual è il problema di oggi? Che meno della metà delle aziende (il 42%) non ha ancora avviato una valutazione dei propri fabbisogni di competenze interne in chiave 4.0, il 26% intende avviarla, solo il 6% lo ha concluso, raccontano i dati del Polimi. E alla fine arriva il monito di Mario Mezzanzanica, pro-rettore per l’Alta formazione e per le attività del Job Placement dell’Università Bicocca: «La domanda di skill digitali è sempre più rilevante. È importante sottolineare che le skill digitali stanno diventando rilevanti in tutte le professioni e figure, non solo in quelle legate all’Ict. È un cambiamento verticale delle competenze, richieste per valorizzare le nuove tecnologie nell’ambito dell’innovazione di prodotti e servizi».