Innovazione e tecnologia leva per la transizione
Volano le start up. Una crescita costante ogni tre mesi. E in alcuni settori economici l’incidenza delle nuove startup innovative sul totale delle nuove società è addirittura rilevante. Così a fine giugno l’ecosistema delle imprese più innovative ha superato la soglia delle 14mila iscrizioni, a quota 14.363, che significa il 3,7% di tutte le società di capitali di nuova costituzione.
Altro dato: la Lombardia ospita oltre un quarto di tutte le startup italiane (27%). Bergamo, a livello nazionale, svetta nella top ten delle startup più innovative, a inizio aprile ha scalato la classifica fino al nono posto, con 292 nuove imprese, il 2,03% sul totale nazionale di startup innovative. Un ecosistema decisamente favorevole e in fermento di protagonisti, con oltre tre neoimprese innovative di nuova costituzione al giorno.
Lombardia che trascina, ma la regione con la maggiore densità di imprese innovative si conferma invece il Trentino-Alto Adige, dove circa il 5,5% di tutte le società costituite negli ultimi 5 anni è una startup. Aumentano anche i soci sottoscrittori del capitale: sono cresciuti del 4,7%, sopra i 71mila azionisti.
Più azionisti e sostenitori, ma le startup sono sempre più imprese per giovani: elevata infatti la rappresentazione di imprese fondate da under-35 (il 16,9% del totale). Ma sono in crescita le startup innovative in cui almeno una donna è presente nella compagine sociale: sono 6.231, il 43,4% del totale. E in relazione al capitale sociale le startup innovative sono soprattutto micro-imprese, vantando un valore della produzione medio di poco inferiore a 178,4 mila euro, dato in crescita rispetto ai primi tre mesi del 2022. In aumento anche il capitale sociale sottoscritto complessivamente dalle startup, un +10,4 % significa arrivare a quota 1,1 miliardi di euro per un capitale medio di 72.073 euro per impresa. Una forza e una leva finanziaria che però, almeno fisiologicamente, mostrano un’incidenza più elevata della media delle imprese in perdita (oltre il 52,7% contro il 47,3% complessivo). Tuttavia, le start up in utile hanno valori particolarmente positivi in termini di redditività (indice Roi, e Roe) e valore aggiunto.
È questa l’ampia fotografia scattata dall’ultimo report trimestrale dedicato ai trend demografici e alle performance economiche delle startup innovative. Il rapporto, con i aggiornati al 1° aprile 2022, è frutto della collaborazione tra Mise e InfoCamere, con il supporto del sistema delle Camere di Commercio (Unioncamere).
E la fotografia che emerge conferma l’importanza delle startup come leva determinante per accelerare la transizione digitale delle imprese più tradizionali anche verso nuovi paradigmi produttivi fortemente innovativi e che inevitabilmente hanno ricadute anche sul ridisegno e ripensamento dei modelli di business aziendali.
Le specializzazioni a supporto del sistema industria
Non è un caso, in questo senso, se la distribuzione per settori di attività nel 75,8% delle startup innovative fornisce servizi alle imprese. Prevalgono le specializzazioni nella produzione di software e di consulenza informatica, 38,8%; nelle attività di R&S, 14,4%; nelle attività dei servizi d’informazione, 8,8%. Il 16% opera nel manifatturiero, su tutti: fabbricazione di macchinari, 2,9%; fabbricazione di computer e prodotti elettronici e ottici, 2,2%;), mentre il 3% opera nel commercio.
Startup che nascono più delle imprese tradizionali: è una startup innovativa il 9,9% di tutte le nuove società che operano nei servizi alle imprese; per il manifatturiero, la percentuale è del 6,5%. In alcuni settori la presenza di imprese innovative è particolarmente elevata: è una startup innovativa il 42,2% delle nuove imprese di fabbricazione di computer, il 46,2% produce software, e addirittura oltre il 72,2% è concentrata in attività di Ricerca e Sviluppo.
Tutte potenzialità che potranno trovare un nuovo ecosistema in uno dei nuovi cinque Centri nazionali per la Ricerca in filiera previsti dalla Componente della Missione «Istruzione e Ricerca» del Pnrr e a cui sono stati destinati 1,6 miliardi di euro.
Le reti di ricerca sono dedicate a 5 aree individuate come strategiche per lo sviluppo del Paese: Simulazioni, calcolo e analisi dei dati ad alte prestazioni; Agritech; Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna; Mobilità sostenibile; Biodiversità. I Centri nazionali sono aggregazioni di università, di enti e organismi pubblici e privati di ricerca, di imprese presenti e distribuite sull’intero territorio nazionale e sono organizzati con una struttura di governance di tipo Hub & Spoke, con l’Hub che svolgerà attività di gestione e coordinamento e gli Spoke quelle di ricerca.
«La ricerca e l’alta formazione si mobilitano per dare risposte concrete ai bisogni dei cittadini – ha spiegato il ministro Maria Cristina Messa -. È un nuovo sistema di collaborazione tra atenei, enti di ricerca, imprese, istituzioni che creeranno filiere di ricerca e innovazione per l’Italia del futuro, grazie all’attuazione di una delle missioni principali del Pnrr. Per la prima volta, in modo così sinergico e a carattere nazionale, i sistemi pubblico e privato – spiega Messa - sono insieme per creare eccellenze e generare una crescita collettiva che accorci le distanze e colmi i divari, attraverso lo sviluppo di progetti dedicati a temi tecnologici innovativi».
L’ambiente per attirare talenti e competenze
I nuovi Centri nazionali avranno con priorità il compito di essere terreno fertile per nuove start up e favorire creatività e competenze di giovani ricercatori, con particolare attenzione alla parità di genere.
Nel complesso saranno 55 le università italiane e le Scuole Superiori coinvolte, molte impegnate in più Centri con professori, ricercatori, dottorandi di diversi dipartimenti. Lo stesso vale per gli enti pubblici di ricerca e altri organismi di ricerca pubblici o privati, 24 in tutto, che mettono in rete i diversi istituti presenti in tutta Italia, e per alcune imprese (65 in tutto quelle partecipanti ai 5 Centri).
Inoltre gli investimenti serviranno per assumere ricercatori e personale da dedicare alla ricerca (di cui almeno il 40% donne), per creare e rinnovare le infrastrutture e i laboratori di ricerca, per realizzare e sviluppare programmi e attività di ricerca dedicati alle cinque tematiche, per favorire la nascita e la crescita di iniziative imprenditoriali a più elevato contenuto tecnologico come start up e spin off da ricerca, per valorizzarne i risultati.
Imprese innovative come motore di trasformazione
Un limite, invece, la mancanza del dato occupazionale, dove spesso le start up sono come leva di nuovi posti di lavoro, in particolare per giovani talenti. Spiccano invece i dati sul numero di soci che coinvolgono, ed è ipotizzabile che gli stessi soci siano anche coinvolti direttamente nell’attività d’impresa. E così all’inizio di aprile 2022, gli “azionisti” delle 14.362 startup innovative risultavano 71.109, quasi 3.200 in più rispetto al trimestre precedente (+4,7%). Con un dato significativo in più: le start up innovative hanno compagini molto più ampie rispetto alle altre nuove società di capitali: in media ciascuna start up ha 5 soci, contro i 2,1 riscontrati tra le altre nuove imprese.
Anche i dati finanziari e di bilancio non sono completi (coprono non più del 60% del totale delle start up: 8.618 su 14.362).
Ma il valore aggregato espresso dagli indici di bilancio di questa parte di start up restituisce un perimetro significativo entro cui si muovono e producono valore. A cominciare dalla produzione: il valore medio nel 2020 è stato poco più di 178,4 mila euro, in aumento sul trimestre precedente (di circa 2,2 mila euro). L’attivo medio si è fermato a poco più di 408,9 mila euro per startup innovativa, dato invariato. La produzione complessiva ha superato gli 1,6 miliardi di euro, valore superiore di 6,8 milioni sul trimestre precedente (1.530.340.642 euro).
Il valore mediano della produzione è di 32.461, più basso rispetto alla media (178.364 euro), ma «questo dato – segnalano gli analisti del report del Mise – è un’ulteriore conferma del fatto che la maggioranza delle start up innovative registrate si trovi ancora in una fase embrionale di sviluppo».
Bilanci con un reddito operativo complessivo che nel 2020 è stato negativo per -104 milioni di euro, con una differenza di 12,2 milioni rispetto a tre mesi precedenti (-116,2 milioni).
I conti pagano l’imbuto del mercato finanziario
Uno dei parametri che più contraddistinguono le start up innovative rispetto altre nuove società di capitali è l’alto grado di immobilizzazioni sull’attivo patrimoniale netto: in questo trimestre il rapporto è al 36,7%, cioè circa 7 volte superiore rispetto al rapporto medio registrato per le altre nuove società, pari invece al 4,3%.
Nel 2020 permane tra le start up, oltre una su due, il bilancio in perdita: oltre il 52,7% (dato quasi invariato), contro la restante parte (il 47,3%) che segnala un utile di esercizio. «Com’è fisiologico per imprese a elevato contenuto tecnologico – notano gli analisti di Unioncamere - che hanno tempi più lunghi di accesso al mercato, l’incidenza delle società in perdita tra le start up innovative è sensibilmente più elevata rispetto a quella rilevabile tra le nuove società di capitali non innovative».
Altro focus della fotografia è sugli indicatori di redditività: il valore Roi e Roe delle start up innovative sono negativi. Se si analizzano solo le società in utile, gli indici sono sensibilmente migliori di quelli fatti riportare dalle altre società di capitali (Roi: 0,10 contro 0,07; Roe: 0,17 e 0,17).
Ultimo dato l’indice di indipendenza finanziaria: per le start up innovative è risultato di 0,41 inferiore rispetto alle altre nuove imprese non innovative (o,46). Se andiamo a considerare soltanto le start up innovative e le società di capitali in utile, si registra un valore di 0,37 contro uno 0,47.
Un ultimo scatto guarda più nel dettaglio al fronte “giovanile” presentato dalle start up: gli under 35 prevalgono, sono 2.4232 il 16,9% del totale, tre punti superiore a quello delle nuove aziende non innovative (13,9%). Ma la differenza risulta ancora più alta se si considerano le imprese in cui almeno un giovane è presente nella compagine sociale. Il rapporto è del 40% delle start up (5.758 in tutto) contro il 30,46% delle altre imprese.