Il coraggio del futuro
Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, l’ha definito «il coraggio del futuro». Ormai non c’è analisi, rapporto o convegno che non invochi il bisogno di una missione collettiva per il rilancio dell’economia mondiale.
E perfino i più scettici oggi concordano, magari a denti stretti, che l’obiettivo di salvare il pianeta è sufficientemente ambizioso per rivitalizzare un mondo messo sotto scacco dal Covid e sempre più diviso dalle contese geopolitiche che si alimentano delle crisi e delle diseguaglianze di cui la pandemia è stata solo un detonatore.
L’Italia in questo senso ha sorpreso un po’ tutti perché, da cenerentola del G7 sta rivelando in questa fase difficile, in cui il virus è ancora attivo in tutto il mondo, risorse insospettate che ne determinano una crescita economica inaspettata.
Ma perché questo momento positivo del nostro paese sia duraturo è indispensabile che l’Europa corra. Non a caso lo stesso Bonomi ha firmato pochi giorni fa una dichiarazione congiunta con Siegfried Russwurm, il presidente della Confindustria tedesca, la Bdi. I due presidenti chiedono un’Europa forte, che sia leader delle «transizioni gemelle»: quella ecologica e quella digitale, che rappresentano oggi le due leve che possono permettere anche all’industria di giocare con coraggio la carta del futuro.
Non si può dire che a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione dell’Unione europea, manchi il coraggio. Da quando è stata eletta sta perseguendo con teutonica metodicità l’obiettivo di rendere il continente a emissioni zero entro il 2050. L’ormai famoso Green deal, il patto verde, varato all’inizio del mandato, sta diventando un programma di lavoro concreto e piano piano si sta rivelando come la vera strategia che può dare al mondo, non solo all’Europa, il gusto di una missione capace di unire le forze e di mobilitare lo sviluppo economico.
Una strada lunga 12.000 pagine
Appena prima della pausa agostana, la Commissione ha presentato un pacchetto di tredici proposte legislative da sottoporre al Parlamento e al Consiglio europeo per ridurre del 55 percento le emissioni di gas serra rispetto al 1990, entro il 2030. «Fit for 55», pronti per il 55, così sono state chiamate le 12.000 pagine che compongono il pacchetto e che disegnano una vera e propria rivoluzione per il sistema produttivo continentale.
È bene perciò conoscere più a fondo queste proposte, che dovrebbero entrare in vigore in un paio di anni, per comprendere la direzione che la politica industriale dell’Europa sta prendendo, per coglierne le opportunità, ma anche per essere consapevoli degli enormi sforzi che essa imporrà alle imprese e alle famiglie.
Innanzitutto bisogna inserire «Fit for 55» nel percorso tracciato nel 2019 dal Green deal. In quel testo c’è la strategia complessiva che la Commissione europea ha tracciato per raggiungere la «neutralità climatica» entro il 2050. Nel giugno di quest’anno il Parlamento europeo ha trasformato in legge quegli obiettivi. La Legge europea sul clima è entrata in vigore a luglio e in forza di questo obbligo giuridico la Commissione ha potuto predisporre le 13 norme attuative del «Fit for 55». In successivi articoli le esamineremo una per una. Ora ci limitiamo ad uno sguardo d’insieme.
Potenziare il mercato delle quote di carbonio
Gli ambiti in cui le proposte intervengono sono essenzialmente l’industria e la produzione di energia, la mobilità, gli immobili, l’agricoltura.
La principale leva di intervento sui primi due campi consiste nel rivedere il meccanismo dello scambio delle quote di emissione (Ets, Emission trading system) nell’Unione. Annualmente, l’Unione definisce il tetto di emissioni di gas serra (principalmente CO2, anidride carbonica) consentite e lo suddivide in quote che le industrie e gli impianti di produzione di energia acquistano o ricevono. Queste quote vanno restituite ogni anno pena multe salate e ciò ha creato un mercato di CO2 e ha consentito di ridurre del 42,8 percento in 16 anni le emissioni provenienti da fabbriche e impianti.
Ora la Commissione propone di abbassare ulteriormente il tetto di emissioni e di aumentarne il tasso annuo di riduzione, accompagnando questo limite con un prezzo più alto per Ets a vantaggio delle industrie che investiranno nella decarbonizzazione.
Per non creare scompensi tra industrie europee virtuose e quelle extra-Ue non soggette agli stessi vincoli ambientali, verrà introdotto un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam, Carbon border adjustment mechanism) che fisserà un prezzo della CO2 contenuta nei processi produttivi di determinati prodotti importati.
Rinnovabili raddoppiate e stop alle fonti fossili
Per la produzione di energia, inoltre, il pacchetto «Fit for 55» fissa al 40 percento la quota di energia da fonti rinnovabili prodotta entro il 2030 (in Italia ora è attorno al 20 percento).
Viene altresì introdotto un nuovo metodo di tassazione dell’energia: non più sulla quantità consumata, ma sulla percentuale di contenuto da fonti fossili presenti. In sostanza si tasseranno di più i combustibili derivati dal petrolio e meno l’elettricità prodotta da fonti pulite.
A questi obiettivi fa da pendant una direttiva che fisserà ogni anno una quota vincolante di riduzione del consumo di energia, raddoppiando in pratica l’obbligo di risparmio per i singoli stati. Questa proposta ci porta nell’ambito degli edifici, per il quale sarà creato un sistema diEts apposito per il combustibile da riscaldamento.
La mobilità è l’ambito di intervento che più ha fatto discutere. La Commissione Ue propone di eliminare gradualmente dal 2023 le quote di Ets gratuite per il trasporto aereo e di includere nel sistema di scambio anche le emissioni del trasporto marittimo. A ciò si aggiunge la proposta di creare un mercato di Ets anche per il trasporto su strada, come chiesto anche per gli edifici, a partire dal 2026.
Questi meccanismi saranno rafforzati da pensanti interventi sui combustibili. Per gli aereisarà aumentata la percentuale di carburanti sostenibili caricati negli aeroporti europei e per le navisarà incentivato l’uso di tecnologie a zero emissioni, fissando un limite massimo di gas a effetto serra utilizzati.
I veicoli su stradadovranno diminuire del 55 percento le emissioni a partire dal 2030 e del 100 percento dal 2035. Che tradotto significa stop alla vendita di auto a motore a combustione a partire da quella data. Per accompagnare questa trasformazione gli stati membri dovranno prevederepunti di ricarica elettrica ogni 60 chilometri e di rifornimento di idrogeno ogni 150.
2035 senza emissioni in agricoltura
Un capitolo rilevante è riservato alla cura del suolo. Un regolamento fisseràl’assorbimento di CO2 nei pozzi naturali (foreste, campi, mari, laghi, stagni) in 310 milioni di tonnellate entro il 2030 ed entro il 2035 si dovrà raggiungere la neutralità climatica (ossia zero emissioni di ogni tipo, comprese quelle derivanti dai fertilizzanti e dall’allevamento) nei settori dell’uso del suolo, della silvicoltura e dell’agricoltura. Verrà predisposto un programma per piantare tre miliardi di alberi in tutta Europa entro il 2030.
Un Fondo sociale per il clima di 144,4 miliardi
La Commissione sottolinea che tutte queste proposte sono collegate e complementari e si dichiara consapevole dei costi pesanti che esse comporteranno sugli stati, sulle aziende e sulle famiglie, in particolare le più fragili. Per questo introduce un nuovo Fondo sociale per il clima con il quale i cittadini «potranno investire nei nuovi sistemi di raffrescamento e riscaldamento delle abitazioni e in una mobilità più pulita».
Il fondo sarà alimentato utilizzando il 25 percento delle entrate previste dallo scambio di Ets su edilizia e trasporti, per un totale di 72,2 miliardi, chiedendo agli stati di raddoppiare la quota, portandola a 144,4 miliardi.
Oltre a queste cifre, la Commissione mette sul tappeto, per l’azione per il clima, 867,8 miliardi derivanti dal bilancio dell’Unione, dal NextGeneration Ue e dallo Strumento per la ripresa e la resilienza.
Un cammino difficile, Stati divisi
Fin qui la sintesi delle proposte. Resta ora il campo aperto al lungo e difficile cammino per farle approvare dagli stati membri e dal Parlamento europeo.
Come sempre nell’Unione europea l’appartenenza nazionale conte di più di quella partitica. Così le posizioni si stanno raggruppando attorno a quella della Francia e a quella della Germania, che sono favorevoli o contrarie in modo alternato alle singole misure.
Sull’innalzamento dei prezzi nel mercato delle quote di emissioni, gli Ets, la Francia chiede tempi rapidi, mentre la Germania li vuole molto lenti.
Sulla creazione di un mercato di Ets per auto ed edifici, con la conseguente costituzione del Fondo sociale per il clima, e più in generale sulle politiche che impattano sui singoli cittadini come quelle legate ai carburanti, le posizioni si invertono: la Francia, memore della rivolta contro l’aumento del diesel dei gilet gialli, è fortemente contraria (e con essa quasi tutti gli stati membri, Italia compresa), mentre la Germania è favorevole.
I pareri si ribaltano nuovamente in riferimento al meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam): la Francia è da sempre favorevole, la Germania e i paesi del nord, che temono contromisure protezionistiche in America e in Asia, sono contrari.
Difficile infine arrivare all’unanimità dei paesi membri che richiede la proposta del nuovo sistema di tassazione dell’energia.
Insomma il cammino da qui al 2023, anno in cui la Commissione conta di far approvare il pacchetto «Fit for 55» sarà il più difficile per la Von der Leyen, e nello stesso tempo saranno i due anni cruciali per capire se l’obiettivo di contenere il riscaldamento climatico sotto il grado e mezzo deciso a Parigi nel 2015 si potrà raggiungere.
Ma l’Europa è riuscita a stupire perché, nonostante i suoi bizantinismi e le sue accese divisioni, alla fine rimane il continente modello per il mondo.
Industriali in subbuglio
Per il mondo produttivo le misure proposte da «Fit for 55» sono una rivoluzione epocale. Non è esagerato dirlo, perché settori chiave per l’economia europea sono chiamati a rinnovare processi e prodotti in modo radicale. Si parla dei produttori di energia, dell’industria estrattiva, dei cementieri, di tutta l’industria siderurgica, di una parte consistente della chimica, per non parlare di tutta la filiera dell’automotive. Dovranno mettere in campo investimenti miliardari e riconvertirsi quasi completamente, con la certezza di perdere milioni di posti di lavoro.
Ben si capisce quindi perché le organizzazioni imprenditoriali e le aziende europee più importanti si stiano mobilitando per intervenire nel processo di approvazione delle 13 proposte di legge presentate dalla Commissione Von der Leyen.
La Confindustria italiana ha deciso di andare in tandem con la corrispettiva tedesca, la Bdi (Federazione delle industrie tedesche). La scorsa settimana Carlo Bonomi e il collega tedesco Siegfried Russwurm hanno firmato una dichiarazione congiunta rivolta ai leader europei, che hanno presentato al premier Mario Draghi. In essa si chiede che i governi italiano e tedesco si muovano insieme nel negoziato con Bruxelles, cosa che in questo momento appare un’esortazione difficilmente ricevibile da parte dell’Italia, il cui primo ministro è visto come figura di prestigio e di mediazione, mentre la Germania è alla vigilia di una difficile tornata elettorale che vedrà l’uscita di scena di Angela Merkel.
Nel merito delle politiche industriali, il documento si mostra molto vicino alla linea della Von der Leyen, anche se, riguardo all’attuazione del pacchetto «Fit for 55», chiede tempi più graduali. Il punto più critico è quello dei finanziamenti. Per i due presidenti degli industriali, «gli attuali livelli di bilancio per tali investimenti trasformativi sono inadeguati, in entrambi i budget nazionali ed Ue». La richiesta è quella di rivedere le regole sugli aiuti di stato, in modo da poter supportare con fondi pubblici le politiche verdi fino a quando le industrie non saranno pienamente rinnovate.
Checklist
Le 13 leggi verdi proposte dalla Commissione
Revisione del sistema Ets per abbassare il tetto di CO2per la produzione di energia e per le industrie energivore.
Revisione del sistema Ets per il trasporto aereo eliminandone la gratuità.
Allineamento al sistema “Corsia”internazionale per il trasporto aereo.
Regolamento che rafforza gli obiettivi di riduzionedelle emissioni dei singoli Stati.
Definizione a 310 milioni di tonnellate di CO2 della quota di assorbimento nei pozzi naturali (suolo, laghi, mari) e che intende portare alla neutralità climatica in tutti gli usi del suolo entro il 2035.
Direttiva che porta al 40%l’energia da fonti rinnovabili.
Direttiva che raddoppia l’obiettivo di risparmio energetico degli Stati.
Regolamento che impone lo stop alla vendita di veicoli a motore endotermico a partire dal 2035.
Regolamento che impone di installare ricariche elettriche ogni 60 km e distributori di idrogeno ogni 150 km.
Iniziativa ReFuelEu Aviation che impone carburanti più puliti negli aeroporti Ue.
Iniziativa FuelEu Maritime che limita le emissioni nel trasporto marittimo.
Direttiva che tassa i prodotti energetici in proporzione al contenuto di provenienza fossile.
Regolamento che tassa i prodotti importati a seconda del contenuto di CO2 nella loro produzione.
- «Fit for 55», conto alla rovescia per la rivoluzione dell’economia europea
- Il coraggio del futuro
- Una strada lunga 12.000 pagine
- Potenziare il mercato delle quote di carbonio
- Rinnovabili raddoppiate e stop alle fonti fossili
- 2035 senza emissioni in agricoltura
- Un Fondo sociale per il clima di 144,4 miliardi
- Un cammino difficile, Stati divisi
- Industriali in subbuglio