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Green deal, sì al «dazio ambientale»

bianca. Oltre duemila incontri a Bruxelles, almeno 150 in Svezia: il semestre svedese di presidenza europea si presenta all’insegna dell’attivismo. Sicurezza, unità, valori democratici, competitività, transizione verde ed energetica: le priorità enunciate dal primo ministro Ulf Kristersson promettono una spinta decisa al Patto verde prima dell’autunno, quando in Parlamento si inizierà a respirare aria di elezioni (sono previste per il maggio ’24).

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Il semestre svedese

Oltre duemila incontri a Bruxelles, almeno 150 in Svezia: il semestre svedese di presidenza europea si presenta all’insegna dell’attivismo. Sicurezza, unità, valori democratici, competitività, transizione verde ed energetica: le priorità enunciate dal primo ministro Ulf Kristersson promettono una spinta decisa al Patto verde prima dell’autunno, quando in Parlamento si inizierà a respirare aria di elezioni (sono previste per il maggio ’24).

Nonostante le difficoltà e i ritardi, la Repubblica Ceca era riuscita a incamerare a metà dicembre l’accordo di mediazione sui principali capitoli del pacchetto «Fit for 55», con cui l’Europa progredisce verso l’obiettivo delle emissioni nette zero entro il 2050: il sistema del mercato di carbonio Ets e il Meccanismo di adeguamento alle frontiere (Cbam).

Che cos’è il Cbam e come funziona

Dal 2005 il sistema Ets impone ai «grandi emettitori» di acquistare quote di permessi di emissione, di cui riduce ogni anno la quantità sul mercato, come incentivo a investire in tecnologie amiche del clima; la distribuzione di quote gratuite di permessi permette di contrastare la concorrenza extra Ue e la fuga delle imprese («carbon leakage», rilocalizzazione delle emissioni di carbonio) verso Paesi meno attenti al clima.

Le gratuità hanno finito con rallentare l’impulso incentivante del sistema Ets e saranno eliminate. La Commissione ha elaborato il Cbam, una sorta di «dazio ambientale» sulle merci importate del comparto Ets che, secondo il principio «chi inquina paga», impone un prezzo anche alle emissioni prodotte fuori dall’Europa e riequilibra i costi sostenuti dalle aziende.

A dicembre i colegislatori Ue hanno concordato la graduale eliminazione delle quote gratuite tra 2026 e 2034, in parallelo con l’introduzione del Cbam: nei primi tre anni, già a partire dall’1 ottobre 2023, le aziende importatrici dovranno registrarsi presso le autorità nazionali e analizzare, conteggiare e rendicontare le proprie emissioni.

Dall’1 gennaio 2026, sulla base dei dati raccolti, gli importatori dovranno acquistare «certificati di emissione» a un prezzo calcolato in base alla media settimanale del prezzo dei permessi Ets.

Se l’imprenditore potrà provare di avere già pagato un prezzo sul carbonio, eviterà la tassa o potrà limitarsi a un conguaglio.

Così, si augurano a Bruxelles, i paesi extra Ue meno impegnati nella protezione del clima saranno indotti a stabilire delle proprie tasse sul carbonio e a intraprendere un percorso virtuoso di riduzione delle emissioni .

Dopo i tre anni di transizione, nel 2026 la Commissione tornerà a valutare la misura per estenderla eventualmente ad altri settori a rischio di delocalizzazione, come la chimica organica e la plastica, ma entro il 2030 tutte le merci Ets saranno soggette al Cbam.

L’accordo raggiunto

Il testo presentato il 14 luglio 2021 dalla Commissione Europea prevedeva:

- l’eliminazione dei permessi gratuiti Ets in dieci anni dal 2026;

- un periodo di transizione iniziale di tre anni (2023-2025);

- il calcolo delle sole emissioni dirette;

- la copertura delle importazioni di cemento, ferro e acciaio, alluminio, fertilizzanti, elettricità.

Durante la fase dei triloghi del 13 dicembre, i colegislatori (Commissione europea, Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione Europea) hanno concordato:

- L’estensione del sistema a idrogeno, prodotti lavorati come dadi e bulloni e, in alcuni casi, alle emissioni indirette, con l’obiettivo di estenderlo entro il 2030 a tutti i settori del sistema Ets, a partire da chimica organica e plastica (dopo il 2026).

- Il meccanismo sarà avviato a partire dall’1 ottobre 2023, con un periodo di transizione di tre anni fino al 2026 per consentire il lavoro di raccolta dati e rendicontazione delle emissioni legate alle merci importate. Il pagamento dei certificati di emissione scatterà l’1 gennaio 2026.

- Le quote gratuite, che nel sistema Ets servivano a contrastare la ricollocazione delle aziende e la cosiddetta «fuga del carbonio» («carbon leakage») verranno ridotte gradualmente a partire dal 2026 fino a scomparire nel 2034, secondo modalità ancora da negoziare.

Compromesso o accordo storico? Il confronto

Il Consiglio europeo lo definisce con forza «un accordo di natura provvisoria e condizionale», ancora «da confermare e adottare a livello di Parlamento e Consiglio, prima che sia definitivo» Per il negoziatore del Parlamento europeo, l’olandese Mohammed Cahim, siamo davanti, invece, a «un evento storico, l’unico strumento che abbiamo per incentivare i nostri partner commerciali a decarbonizzare la propria industria manifatturiera», la prima misura al mondo ad estendere il concetto del prezzo delle emissioni alle importazioni.

Soddisfatto il governo italiano: per il ministro Adolfo Urso il Cbam «segna quella svolta che chiedevano da tempo all’Ue per sostenere la riconversione green della nostra siderurgia». 


«Siamo ancora in una fase di discussione. Ci potranno essere degli aggiustamenti. Ma la misura si farà sicuramente», conferma all’Eco di Bergamo il professor Edoardo Croci, docente di Carbon markets e Carbon management all’Università Bocconi di Milano. «Il Meccanismo di adeguamento alle frontiere serve essenzialmente ad evitare la concorrenza sleale della Cina e dei Paesi con una legislazione più lasca dal punto di vista ambientale, a creare una condizione di parità, a portare un equilibrio che oggi manca.È nella logica del dazio, ma si tratta di un dazio ambientale e, come tale, è ammesso dal Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, perché riduce la sperequazione di prezzi tra i Paesi con politiche virtuose rispetto ai competitori di Paesi che non hanno un prezzo del carbonio o ce l’hanno molto basso».

L’impatto sulle imprese

La «tassa» sulle emissioni delle merci importate comporterà maggiore trasparenza, perché obbliga gli importatori a calcolare e rendicontare le emissioni prodotte, già a partire dal 2023, ma comporterà anche maggiori introiti per le tasche europee: nel 2021 la Commissione calcolava in 9 miliardi l’anno gli introiti possibili, da utilizzare per la decarbonizzazione dell’industria locale e dei Paesi in via di sviluppo. La misura piace ai cittadini europei, che apprezzano l’idea di contrastare la concorrenza sleale senza ricorrere a misure protezionistiche ma attraverso un meccanismo etico e sociale, regalando all’Europa un ruolo da leader mondiale nella lotta ai cambiamenti climatici.

Dubbi e preoccupazioni, invece, da parte dei Paesi esportatori, Cina e Stati Uniti in testa. I Paesi in via di sviluppo parlano di pratica «discriminatoria». Turchia, Cina, Sudafrica si appellano al Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. «Preoccupata» l’Africa, che teme di perdere esportazioni e Pil per oltre 16 miliardi di dollari.

L’Europa, però, rassicura i propri partner commerciali e si impegna a destinare parte del ricavato del «dazio ambientale» proprio ai Paesi in via di sviluppo, a cui non mancheranno – assicura Bruxelles – assistenza tecnica e supporto economico.

Resta da comporre il contrasto con gli Stati Uniti, che alla «tassa di emissione» hanno preferito un sistema di incentivi (Atto per la riduzione dell’inflazione), che finanzia la decarbonizzazione attraverso crediti fiscali. Il sistema, affermano gli analisti, dovrebbe portare alla riduzione di 1.420 milioni di tonnellate di anidride carbonica entro il 2035.

I prossimi step

L’Europa teme una fuga delle proprie imprese verso gli Stati Uniti, gli Usa sostengono che l’Europa miri a presentarsi come leader della lotta per il clima perché può contare su un’opinione pubblica che, a differenza della loro, apprezza di più l’inserimento di clausole sociali e ambientali nelle politiche commerciali.

Per comporre la diatriba, al recente Forum economico di Davos, il cancelliere tedesco Olaf Sholz ha proposto di istituire un «Club del clima» per gli Stati «più coraggiosi e ambiziosi» in tema climatico intorno a sistemi comuni come la tassa sul carbonio.Da lanciare in tempo per la conferenza sul clima Cop28, a dicembre 2023 a Dubai, il club servirà a gestire la tensione tra Ue e Usa, nel tentativo di avvicinare due visioni ora in competizione. Intanto grandi agenzie di consulenza, come Deloitte, iniziano a consigliare alle imprese di import di attrezzarsi, assegnando al più presto «ruoli e responsabilità all’interno della propria organizzazione per la raccolta dei dati sulle emissioni e la gestione della conformità al Cbam». Ottobre, in fondo, è dietro l’angolo.

L’accordo raggiunto a dicembre dovrà essere ratificato dal Parlamento e dal Consiglio europeo, ma l’attivismo svedese fa sperare in una calendarizzazione puntuale. Ottobre, in fondo, è dietro l’angolo.

Dazio ambientale

Il meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere è stato definito una tassa ambientale perché impone un prezzo alle emissioni prodotte dalle merci importate, secondo il principio «chi inquina paga».

Atto per la riduzione del’inflazione

L’Atto per la riduzione del’inflazione, Inflation Reduction Act, è una misura di 369 miliardi dollari voluta dall’amministrazione Biden per sostenere la transizione ecologica con incentivi e crediti fiscali.

Club per il clima

Il Club per il clima è la proposta lanciata ai Paesi del G7 dal cancelliere Olaf Scholz per riunire gli Stati più coinvolti nella lotta climatica