«L’Italia è un Paese a doppia velocità sul tema dell’economia circolare», osserva Eleonora Rizzuto. «Non commento in modo ottimistico il rapporto del Circular Economy Network, perché l’informazione non è realistica se non è accompagnata da altre valutazioni, per esempio sulla mancanza di infrastrutture per il riciclo, per le quali l’Italia è fanalino di coda. È sempre stata all’avanguardia nella capacità di recupero in molti settori, come la plastica, l’acciaio, la carta, il vetro. Ora, però, subisce un abbassamento degli indici di produttività dovuto al Covid e, soprattutto, si imbatte nella grande carenza di infrastrutture. L’alto grande ostacolo è la burocrazia».
Eleonora Rizzuto gestisce la sostenibilità in aziende leader e ha fondato l’Aisec, l’Associazione italiana per lo sviluppo dell’economia circolare, la prima che se ne è occupata in Italia. L’Aisec fa parte dell’ASviS, l’Associazione italiana per lo sviluppo sostenibile. Un contributo di Eleonora Rizzuto si può leggere nel libro «Tutto ruota. Viaggio nel mondo dell’economia circolare», curato da Luciano Canova e Fabrizio Iaconetti (Guerini e Associati, dicembre 2020) e promosso da Greenthesis Group, azienda italiana specializzata nel trattamento, recupero, smaltimento, valorizzazione energetica dei rifiuti e nelle bonifiche ambientali. Rizzuto è nella commissione finanza del ministero delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili, nella commissione per la riconversione economica di Taranto del ministero dello Sviluppo Economico e nel gruppo tecnico Sostenibilità di Confindustria.
L’Italia, per il terzo anno consecutivo, è in testa nel confronto sulla circolarità tra le cinque principali economie dell’Unione Europea, grazie ai risultati raggiunti nelle cinque aree della produzione, del consumo, della gestione circolare dei rifiuti, degli investimenti, dell’occupazione nel recupero, nella riparazione e nel riuso. L’analisi si trova nel terzo Rapporto sull’economia circolare in Italia del Cen, Circular Economy Network, la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile in collaborazione con Enea. L’Italia è il Paese europeo con la più alta percentuale di avvio al riciclo sulla totalità dei rifiuti, pari al 79 per cento, più che doppia rispetto alla media Ue e, dal 2010 al 2018, ha migliorato le prestazioni (+8,7%) nel riciclo industriale di acciaio, alluminio, carta, vetro, plastica, legno, tessili, come documenta il dossier «L’economia circolare italiana per il Next Generation Eu» di Fondazione Symbola e Comieco.
Mancanza di impianti e burocrazia sono gli ostacoli
«L’Italia è un Paese a doppia velocità sul tema dell’economia circolare», osserva Eleonora Rizzuto. «Anche l’anno scorso non avevo commentato in modo così ottimistico il rapporto del Circular Economy Network, perché l’informazione non è realistica se non è accompagnata da altre valutazioni, per esempio sulla mancanza di infrastrutture per il riciclo, per le quali l’Italia è fanalino di coda. È sempre stata all’avanguardia nella capacità di recupero in molti settori, come la plastica, l’acciaio, la carta, il vetro. Ora, però, subisce un abbassamento degli indici di produttività dovuto al Covid e, soprattutto, si imbatte nella grande carenza di infrastrutture. L’alto grande ostacolo è la burocrazia, dovuta in particolare alla disciplina giuridica dell’”End of Waste”, riguardante la cessazione della qualifica di rifiuto. Senza questa uno scarto non può entrare in un nuovo processo industriale come “materia prima seconda”. La stesura dei decreti per i diversi settori procede a rilento, rallentando il progresso dell’economia circolare. Per esempio, esiste una definizione per il vetro, ma non per evitare che il legno finisca in discarica. In Italia i Raee, i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, ricchi di elementi preziosi recuperabili, poco disponibili in natura ma molto richiesti nei processi industriali, sono trattati con una percentuale bassissima ed esportati all’estero. La ricchezza dei materiali elettronici di risulta è acquisita dal Paese che possiede gli impianti adeguati a smaltirla».
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta un progresso nel senso dell’economia circolare?
«L’Aisec aveva osservato come, nella versione del precedente governo, l’economia circolare fosse legata solo all’agricoltura sostenibile e alla tutela del territorio e della risorsa idrica. La visione sull’economia circolare non deve essere limitata, ma trasversale. Nella nuova versione del Pnrr è stato compiuto uno sforzo maggiore per integrare l’economia circolare nei capitoli della transizione energetica e mobilità sostenibile e dell’efficienza energetica e riqualificazione degli edifici».
Enrico Giovannini, già presidente dell’ASviS e ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili, giudica la crisi climatica il maggior fallimento del libero mercato. Lo Stato, come sostiene Anthony Giddens in «La politica del cambiamento climatico», deve assumere un ruolo di pianificatore e di garante in sinergia con i privati. È d’accordo?
«Assolutamente sì. Il modello economico circolare si persegue con l’attivazione di partnership tra pubblico e privato. Si andrà sempre di più verso la compartecipazione duale tra l’amministrazione pubblica e la capacità di risparmio di banche, istituti finanziari e privati che intendono investire in questo settore. Anche negli Stati Uniti torna il modello keynesiano come intervento del denaro pubblico in partnership con i privati. Su questi temi si assiste sempre più all’abbandono della mentalità neoliberista, perché ne abbiamo visto il fallimento. Mi sono sempre occupata di sostenibilità per grandi gruppi industriali e ho constatato come fino ad ora sia sempre stata perseguita su basi volontaristiche. Aziende con profitti elevati hanno riconosciuto in questo approccio anche un’occasione di aumento di business. Ora serve uno sforzo di tutto il sistema, una concertazione unica verso il nuovo modello di sviluppo. Il Green Deal dell’Unione Europea indica la direzione. Gli Stati devono adeguare le proprie legislazioni alle norme europee. Si pensi allo sforzo enorme che deve compiere l’industria tessile, per la quale, dall’1 gennaio 2022, entra in vigore l’obbligo di riciclo. I fondi dell’Europa del Next Generation, se investiti secondo linee adeguate, permettono di perseguire la strada del nuovo modello di sviluppo circolare».
Le direttive europee del «Pacchetto economia circolare» del 2018 fissano gli obiettivi: entro il 2035 il riciclo urbano dei rifiuti al 65% e il ricorso alle discariche al di sotto del 10%. Se un mondo senza rifiuti è impossibile, uno senza discariche, invece, è del tutto realizzabile. Servono impianti e infrastrutture, tra questi i termovalorizzatori, sfatandone il luogo comune di nemici dell’ambiente, perché il recupero energetico può essere la soluzione quando quello di materia è impossibile o inefficiente. Il termovalorizzatore Rea di Dalmine di Greenthesis Group, con circa 150 mila tonnellate all’anno, produce l’energia elettrica equivalente al consumo della città di Bergamo in un anno.
«Anche la situazione dei termovalorizzatori non è ottimale in Italia. Innanzitutto sono anche bersagliati da una certa opinione pubblica e politica, che non li considera in sintonia con il concetto di economia circolare. A mio giudizio, sono fondamentali, soprattutto in questa fase di transizione. Quanto non è possibile inviare al riciclo deve avere una valorizzazione termica. Le nuove tecnologie, poi, permettono un impatto sul territorio il più basso possibile. In definitiva, si deve incrementare una visione puntuale infrastrutturale, con un giusto connubio tra impianti di riciclo e termovalorizzatori e compiendo un’analisi territoriale, perché l’economia circolare parte dalle norme nazionali e si declina nelle realtà locali».
L’Italia deve razionalizzare la presenza di insediamenti produttivi di riciclo e termovalorizzatori.
«L’Italia è divisa in due. Anche al Sud si trovano realtà comunali virtuose, in qualche Comune della Sicilia e della Campania. Manca, però, un quadro sistemico per tutto il Sud, in generale in materia di infrastrutture, che riguardi anche la rete ferroviaria. Un piano per lo sviluppo di un territorio deve comprendere gli impianti di riciclo e di termovalorizzazione, superando la logica di settore».
Nel libro «Tutto ruota» si parla molto dei lavori del futuro che verranno dalla transizione ecologica. Possiamo offrire speranze concrete ai giovani?
«La risposta è sicuramente positiva. Quanto è importante, e spero che sia uno dei primi obiettivi perseguiti, è legare il mondo dell’università e della ricerca alle nuove figure professionali richieste, perché esiste ancora un grande scollamento tra le future nuove occasioni di lavoro e la formazione ricevuta dagli studenti nelle università. Bisogna aggiornare i programmi, molto di più di quanto si sia compiuto fino ad ora».