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Leader in tecnologia per la transizione energetica: una filiera di 400 imprese champions

bianca. Fotovoltaico, eolico e ora l’idrogeno: a Bergamo il 4% di imprese fortemente competitive per innovazione e produzione di componentistica pronte a far crescere un settore che già pone l’Italia seconda in Europa e crea un fatturato di 23 miliardi e occupati 60mila addetti

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Una filiera che cresce più veloce del manifatturiero

Una filiera di almeno 400 imprese, un patrimonio di 1.200 brevetti industriali, un brevetto ogni quattro imprese (erano 346 a fine 2008, e oltre 834 a fine 2018), una capacità di crescita superiore a quella dell’intero comparto manifatturiero, un fatturato complessivo di 23 miliardi di euro (2019, ultimo dato) e quasi 60mila occupati. E un commercio delle tecnologie per fonti rinnovabili che rappresenta il 3% dell’export mondiale, il sesto paese esportatore (la Cina è il primo esportatore, con più di un quarto dell’export mondiale. Seguono, a grande distanza, Germania, 11% e Stati Uniti, 7%), e con un saldo commerciale sempre positivo dal 2013. Dall’analisi delle imprese emerge poi un altro vantaggio competitivo, la fortissima specializzazione nei componenti moltiplicatori di velocità e dei dispositivi fotosensibili di cui l’Italia è il quarto paese esportatore. I dati Istat al 2020 rivelano un’ottima resilienza della filiera di questi componenti cardine delle tecnologie per rinnovabili, il cui export è sceso solo del -2,3% (contro il -10% dal manifatturiero). I brevetti su queste tecnologie, altro driver di crescita, rappresentato quasi un quinto dei brevetti green depositati a livello mondiale tra il 2010 ed il 2016.

Sono una parte dei numeri della potenza dell’Italia nell’innovazione e nelle tecnologie per la produzione di energia da rinnovabili – dal fotovoltaico, al termico, dall’eolico fino agli ambiti tecnologici più diffusi per arrivare alla filiera dell’idrogeno – è pronta per la grande sfida del piano di transizione energetica, dove la capacità produttiva e tecnologica rappresentano un elemento chiave nella produzione di energia verde.

 

In Europa le imprese italiane sono seconde solo alle aziende tedesche in tutti i comparti (nell’eolico la regina è la Danimarca). Ma ha una potenzialità ben superiore da sviluppare. Ma tutta ancora da verificare.
La prima prova arriverà dalla spinta dei target europei sul taglio delle emissioni. Saranno tanto categorici quanto capaci di scatenare anche in Italia (in parte è già in corso) una pressione sul sistema produttivo come aumento della domanda di tecnologie per la produzione di energia green. Ma le imprese sono pronte? Riusciranno a cogliere questa opportunità creata dalla transizione energetica? E quanto sarà effettivamente forte questa pressione sulle aziende?

I target per il taglio delle emissioni e i ritardi

Molto è in funzione dei target europei fissati per l’Italia, appunto. E allora, sotto questo profilo, il paese sembrerebbe ben posizionato, avendo già raggiunto dal 2014 l’obiettivo del 17% fissato per il 2020. In più, secondo le stime Gse (il Gestore dei Servizi Energetici) a marzo 2021, sotto emergenza Covid, questo obiettivo è stato ulteriormente migliorato, portando la quota sui consumi da fonti rinnovabili al 20%. Un unico neo: nonostante i buoni risultati gli ultimi anni segano un forte rallentamento della potenza installata. A fine 2019 rispetto a cinque anni prima, è aumentata solo dell’8%, contro il 14% della Spagna, il 24% della Francia e il 26% della Germania.

 

Un ritmo debole, che forse ora fa traballare il vecchio target europeo di riduzione delle emissioni al 40%, entro il 2030, ma con un apporto di energia verde rinnovabile al 30%. Questo al momento richiederebbe il raggiungimento di 90 GW di capacità totale. Il Pnrr, in più, già fissa l’aggiornamento dei nuovi target di riduzione al 55% e dovrebbe aumentare, secondo le stime di Elettricità Futura, il contributo di energia verde di altri 10 punti percentuali, al 40%, e un’ulteriore capacità da installare di circa 30 GW. Ecco allora da dove ha origine la spinta attesa sull’industria e la filiera del fotovoltaico in Italia: se al 2019 la capacità installata ha raggiunto i 55 GW e che la media annua attuale di installazioni non supera 1 GW (800 MW la stima del Gse per il 2020), gli obiettivi al 2030 impongono che la produzione totale da energia rinnovabile venga quasi triplicata in meno di 10 anni.

L’Italia però non è spiazzata. I fondi stanziati nel Pnrr aiuteranno in questa svolta: il monito che arriva da Letizia Borgomeo, analista della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo nel primo Rapporto sulla filiera delle tecnologie delle rinnovabili in Italia, è molto diretto. «È necessario che si acceleri il passo e che si sfrutti al massimo questo buon posizionamento a livello europeo, per cogliere le grandi opportunità di crescita che la transizione green può offrire a questa filiera».

 

Sul tavolo c’è «l’opportunità imperdibile» sia del Recovery Fund, sia gli incentivi all’utilizzo e all’installazione delle rinnovabili del Pnrr (il Piano di ripresa e resilienza nazionale). Si tratta di una partita di due miliardi «per sviluppare una leadership internazionale industriale e di ricerca e sviluppo nelle principali filiere della transizione, di cui oltre la metà sarà destinata a rinnovabili (soprattutto fotovoltaico ed eolico) e batterie» dettaglia ancora Borgomeo.
Ma c’è un altro capitolo importante in cui la filiera tecnologica e il livello di innovazione già raggiunto dalle nostre imprese può giocare una grande partita. È quella dell’idrogeno, protagonista indiscusso dei progetti legati alla transizione energetica. Anche questa occasione non si può mancare, sempre offerta dal Pnrr, circa 3,5 miliardi di euro, tra incentivi alla ricerca e sviluppo, alla produzione e all’utilizzo. Del resto, le tecnologie rinnovabili e le tecnologie per l’idrogeno sono due risvolti della stessa medaglia perché fortemente legati proprio sul piano tecnologico: per produrre idrogeno verde serve energia da fonti rinnovabili (le cosiddette Fer), e l’idrogeno stesso rappresenta soluzione decisiva e di supplenza alla produzione discontinua delle rinnovabili.

 

Un ecosistema industriale poco conosciuto

La sfida quindi parte da qui. E per l’Italia, vale veramente moltissimo. Per questo la Direzione Ricerche e Studi di Intesa Sanpaolo ha deciso di approfondire questo ecosistema industriale di cui si conosceva veramente poco e “colmare, almeno in parte, questa lacuna, utilizzando diverse fonti di dati e metodologie – spiega Borgomeo - per quantificare la rilevanza della filiera delle fonti di energia rinnovabile in Italia e valutarne il posizionamento a livello europeo e mondiale. In particolare, abbiamo cercato di stimare la filiera manifatturiera delle tecnologie delle rinnovabili nel settore elettrico attraverso i dati sul commercio internazionale, i dati sui brevetti ed i dati sulla produzione industriale”.

Un lavoro quindi di analisi, raccolta dati, selezione e verifica della tipologia produttiva. È emerso un sistema industriale di 400 imprese attive nella filiera delle rinnovabili. Messe a confronto con il totale della manifattura, la filiera delle rinnovabili rappresenta lo 0,4% del totale delle imprese, rappresentano però oltre il 2,6% del fatturato e il 2,2% degli addetti del manifatturiero italiano con un totale, rispettivamente, di oltre 23 miliardi di euro e di 60mila addetti nel 2019.

 

Ma è ancora più rilevante il peso della filiera delle rinnovabili se messa a confronto con i principali settori ad alto contenuto ingegneristico (meccanica, elettronica ed elettrotecnica). Le imprese della filiera delle rinnovabili rappresentano il 2,2 % del totale, ma contribuiscono a più del 12% del fatturato. Viste dai territori è la Lombardia la regione dove ha sede la maggioranza delle imprese del campione (34%), seguita dal Veneto. È proprio in Veneto però, dove si trova un’azienda su quattro del campione, che si nota anche una forte incidenza delle rinnovabili. Ne consegue che le province ai primi cinque posti per presenza di imprese della filiera delle rinnovabili sono tutte venete, con la sola eccezione del primo posto che spetta a Milano. A Milano, dove ha sede circa il 12% delle aziende ad alto contenuto ingegneristico, si trova il 21% delle imprese individuate nella filiera delle rinnovabili.


Seguono, anche se a grande distanza, Vicenza con il 7,5%, Padova con il 6,5% e infine Verona e Treviso. Subito sotto Bergamo, sesta posizione nazionale, con un ragguardevole 4% di presenze di imprese della filiera delle rinnovabili. Meno di un quarto delle imprese del campione sono micro imprese (contro il 61% dei settori ad alto contenuto ingegneristico e il 62% del totale manifatturiero), 33% sono piccole e il 26,5% sono di dimensioni medie (solo 9% nel manifatturiero e 8% nei settori ad alto contenuto ingegneristico).Le grandi imprese, oltre il 16%, sono pertanto sovra rappresentate. «È probabile comunque che questa distribuzione dimensionale rappresenti bene il mercato delle rinnovabili che – spiega la ricercatrice Borgomeo -, essendo relativamente recente e con forte competizione a livello internazionale, può avere dei costi di ingresso elevati che aziende grandi e consolidate sono più in grado di sostenere».

 

I dati sulla produzione industriale confermano che la manifattura e l’ingegneristica italiana sono in grado di competere a livello europeo “in un mercato che sarà cruciale negli anni a venire”. L’Italia risulta tra i principali produttori di tecnologie Fer al 100%, insieme a Germania e Danimarca, con un valore medio di 2,8 miliardi di euro di produzione nel biennio 2018-19, pari al 12% del totale prodotto dai paesi europei.

Il driver dei brevetti: 1.200 per 400 aziende

Ma l’analisi dei bilanci dice anche che si tratta di aziende con un’alta propensione all’innovazione, un’azienda su quattro ha almeno un brevetto e una capacità di crescita superiori alla media del manifatturiero e anche alla media dei settori di appartenenza (principalmente meccanica, elettronica ed elettrotecnica).

I brevetti, appunto, sono il driver forse più competitivo che l’Italia può giocare sulla scena internazionale. E da cui emerge l’alta specializzazione e la leadership delle imprese italiane. È il fotovoltaico, l’ambito tecnologico con più brevetti (41%), segue l’eolico (21%), il solare termico (12%) e i biocarburanti (8%). A inizio 2019 erano circa 1.200 i brevetti italiani relativi a tecnologie per fonti rinnovabili depositati all’European Patent Office: solare (55% tra fotovoltaico e termico) ed eolico (16%) gli ambiti tecnologici più diffusi. Quasi il 40% dei brevetti depositati appartiene a imprese di micro o piccole dimensioni (meno di 10 milioni di fatturato). I settori manifatturieri con più brevetti sono la meccanica, l’elettrotecnica e i prodotti in metallo.

 

E poi c’è l’idrogeno. Che rappresenta una nuova opportunità per l’industria italiana. Lo studio di Intesa mette subito in evidenza un dato: questo settore ha le potenzialità per generare una nuova filiera competitiva, così come è avvenuto per le tecnologie rinnovabili. Oltre ai grandi player che già hanno dichiarato la loro intenzione di investire su larga scala in questo nuovo ambito tecnologico, il report di Intesa Sanpaolo segnala la presenza di numerose imprese piccole e medie «con forti capacità innovative e già molto avanti nella ricerca e prototipazione delle tecnologie per l’idrogeno».
Tolti i big player, sono almeno 120 le imprese della filiera dell’idrogeno per un totale di 7 miliardi di euro di fatturato e oltre 19 mila occupati al 2019. Si tratta di aziende di piccole o medie dimensioni (il 40% ha meno di 10 milioni di fatturato), che operano soprattutto nel manifatturiero (circa il 50%) ma anche nella ricerca e consulenza scientifica (29%). Sono aziende con una forte capacità di innovazione e attive nella transizione verde: hanno depositato in totale circa 2.600 brevetti, di cui quasi la metà sono brevetti green.

Appartengono a settori differenti, il 2,2% a comparti ad alto contenuto ingegneristico come meccanica, elettronica ed elettrotecnica, e hanno generato oltre il 12% del fatturato del 2019. Anche qui, forse più delle altre, queste aziende hanno una fortissima propensione all’innovazione: hanno depositato almeno un brevetto green (quasi una impresa su 5) sia in termini di immobilizzazioni immateriali come percentuale dell’attivo nello stato patrimoniale. I brevetti di queste imprese sono afferenti alle tecnologie Fer (28% dei brevetti) ma anche alle tecnologie per l’efficientamento energetico (oltre il 30%). E, infatti, scorrendo la specializzazione tecnologica dei brevetti depositati per le principali tecnologie, si scopre che la maggior parte è nel solare e sono relativi all’incremento del rendimento degli impianti, attraverso l’introduzione di sensori che permettano ai pannelli di seguire l’irradiazione o l’utilizzo di materiali diversi dal silicio e più facilmente adattabili a supporti flessibili o infine sistemi avanzati di diagnostica e mantenimento dei pannelli che possano assicurarne una maggiore durata operativa. Per l’eolico, i brevetti sono relativi a turbine ad alto rendimento e metodi di trasmissione e collegamento al sistema elettrico, anche sottomarini per l’eolico off-shore. Tra i brevetti relativi ai biocarburanti, si trovano invece tecnologie per la conversione in energia di diversi elementi: da microalghe, a materiale lignocellulosico ai chicchi di caffè.

 

Altro dato curioso, il 40% dei brevetti Fer risulta assegnato anche a categorie di brevetti green non collegati direttamente alla generazione di energia da fonti rinnovabili. «Questo significa che molte delle tecnologie in questione apportano benefici diretti ed indiretti anche in altri settori legati alla riduzione delle emissioni. Ad esempio – spiega Borgomeo -, più di 200 brevetti, relativi soprattutto al solare, sia fotovoltaico sia termico, sono legati all’integrazione di impianti da fonte rinnovabile nelle costruzioni. Inoltre, più di un brevetto su cinque tra quelli dedicati all’utilizzo di rifiuti per la generazione di energia ricade anche nella categoria ambientale di gestione dei rifiuti».
Alcuni brevetti rientrano poi nella categoria delle tecnologie abilitanti legate allo storage di energia e agli accumuli, una frontiera tecnologica fondamentale per l’aumento dell’efficienza nell’utilizzo delle fonti rinnovabili.

Per quanto riguarda la tipologia di brevettatori, emerge che il 30% dei brevetti FER è assegnato a persone fisiche (o società di persone) e centri di ricerca ed università. La parte rimanente, paria 827 brevetti, è invece assegnata a 435 imprese. Ultimo dato, in termini di dimensioni di imprese, quasi un brevetto su due appartiene ad una grande impresa ma rimane comunque importante il contributo delle imprese di piccole dimensioni, soprattutto nell’eolico e nel solare termico, dove micro e piccole imprese possiedono insieme rispettivamente circa il 40% e il 50% di tutti i brevetti.