Una nuova chance per innovare il lavoro e l’impresa
Un vero e proprio stress-test aziendale. Ma il risultato ha dimostrato che «si può fare». Il progetto può essere applicato ed esteso a una platea di lavoratori più numerosa. Tanto che il governo, seppure i questa situazione di forte emergenza, ha ampliato il ricorso allo smart working e ha reso possibile il ricorso a questo forma di lavoro agile anche con una procedura semplificata per almeno i prossimi sei mesi. E infatti, lo smart working, il lavoro agile, flessibile negli orari di lavoro, che dà autonomia nella scelta del luogo dove lavorare e che dispone di strumenti digitali e tecnologici per garantire la propria prestazione professionale (oggi in Italia coinvolge circa 570mila lavoratori, +20% sul 2018) può essere una modalità strutturata a livelli ben superiori dell’attuale diffusione nelle aziende anche del territorio. In più, produttività e tempo sono ormai valori indipendenti, il tempo non è più l’unico strumento efficace per stabilire i livelli di produttività.
Chi lo stava già sperimentando, oggi annuncia di voler accelerare questo percorso: archiviata l’emergenza imposta dalla crisi Coronavirus, il progetto di lavorare da remoto sarà ulteriormente esteso alla maggior parte della platea potenziale di smartworker. «Per un gruppo industriale come il nostro è sicuramente un grande sforzo, sia di cambiamento culturale e organizzativo per chi lo gestisce, sia di formazione verso i dipendenti coinvolti, a cominciare dalle regole sull’accesso da remoto in totale sicurezza. Ma questo periodo di emergenza, pur sotto l’effetto straordinario di un evento negativo come il Covid-19 si è rivelato un’opportunità che vogliamo capitalizzare».
HR Director di Italcementi
Sul proprio tavolo, Giuseppe Agate, HR Director di Italcementi, quartier generale al Kilometro Rosso di Stezzano, sono arrivati gli ultimi numeri che fotografo il livello di applicazione del lavoro agile dopo i primi 5 giorni della crisi. «In Italcementi lo smarworking è stato introdotto ormai da cinque anni, da due anni è supportato da uno specifico accordo sindacale e finora ha coinvolto il 10-15% delle persone della sede centrale, tutte prevalentemente a livello impiegatizio e di staff. Con la crisi Coronavirus abbiamo fatto un salto della sperimentazione, decisamente più spinta: in due giorni abbiamo esteso questa modalità di lavoro e dopo una settimana siamo oltre l’85% dei 300 dipendenti coinvolti. Una dimensione eccezionale e raggiunta in grande velocità, come imponeva l’emergenza. Le figure coinvolte – spiega Agate – ricoprono funzioni dirigenziali, impiegatizie, lavorano in staff, hanno ruoli legati alle vendite o sono addetti agli acquisti o alla logistica, hanno mansioni operative come coordinatori della manutenzione o della produzione».
Si temevano tensioni dal punto di vista tecnico: per i sistemi informatici un conto è lavorare con il 15-20% di lavoratori connessi, un altro è con il 85% di persone che lavora da remoto o quasi. «Invece i nostri tecnici IT sono stati perfetti per velocità e predisposizione di tutti gli strumenti tecnologici e delle connessioni necessarie da remoto: nessuna funzione aziendale si è fermata, la macchina organizzativa ha continuato a lavorare come in gestione ordinaria, nessuno sportello o ufficio ha bloccato i rapporti con clienti e fornitori. Abbiamo chiuso senza problemi anche la contabilità del mese, le buste paga e i pagamenti. L’obiettivo della salvaguardia organizzativa e della continuità operativa non sono mai stati messi in crisi».
Ora, l’esperienza dello stress-test proprio perché superato in un contesto estremo, ha portato Italcementi a guardare a un nuovo possibile livello di estensione. Lo smart working, in letteratura e in Italia, viene definita una «rivoluzione incompleta». Italcementi, per la sua quota parte, vorrebbe alzare il livello di attuazione. «Le motivazioni sono diverse, fra cui anche il benessere organizzativo, una più alta soddisfazione fra i lavoratori coinvolti. La best practice che abbiamo potuto implementare in questi giorni – spiega Agate – ci fa dire che lo smart working è una vera occasione di crescita. La vorremmo capitalizzare, magari raddoppiando l’applicazione ordinaria. Significa offrire l’accesso a questa modalità di lavoro a una nuova platea di persone e passare dal 15% di oggi al 30% delle 300 persone potenziali del Gruppo Italcementi. Il progetto poi, andando incontro anche a un sentimento dei dipendenti, può essere esteso in regime strutturato fino all’80-85% di personale e in periodi specifici dell’anno, per esempio durante i periodi estivi, o durante le feste di Natale».
Ma si tratta anche di un salto anche per la cultura aziendale. Agate lo ribadisce sottolineando che l’averlo introdotto seppur a un limitato 15% del personale «ha comportato un lavoro importante per superare la diffidenza iniziale, anche del management, verso questo strumento e le sue modalità organizzative innovative di applicazione, dove al centro del modello gestionale vengono messe una visione e una cultura del risultato nettamente separate da un modello basato invece sul lavoro in presenza».
In questa crisi la flessibilità ha dimostrato di essere anche valida opportunità per rispondere in fretta alle situazioni di emergenza e occasione di innovazione
Anche altre le ricadute. «I vantaggi delle nuove tecnologie possono innescare anche nuovi layout dentro l’azienda – spiega Agate -. Sarà possibile, ad esempio, organizzare nuove postazioni di lavoro non assegnate e ampi spazi dedicati al lavoro in team, dove chiunque possa appoggiarsi nel bisogno di un supporto operativo e logistico. Il tutto consentirà inoltre di ridurre gli spostamenti casa-lavoro (ed i relativi costi e stress), incidendo anche sul traffico: meno emissioni di CO2 e meno rischi di incidenti».. È anche questo un buon motivo che, alla fine, cambia il modo di competere delle aziende sul territorio sotto il profilo dell’attrattività.
La tecnologia abilita il lavoro agile. Occasione di innovazione
di Astrid Serughetti
Prove generali di smart working. Le aziende bergamasche iniziano a impostare le loro modalità di tele-lavoro e di lavoro agile, provando a definire soluzioni collaborative nuove per il futuro.
La differenza, pur sottile, esiste. Se da una parte il tele-lavoro è la pratica che permette ai dipendenti di svolgere da casa la propria attività, uniformandosi all’orario e ai ritmi aziendali pur restando fisicamente in un luogo diverso, lo smart working, o lavoro agile, è quello che abbatte qualsiasi barriera fisica e permette a dipendenti e collaboratori di gestire il proprio tempo e le proprie necessità lavorative concentrandosi sugli obiettivi finali. L’una non esclude l’altra, anzi, in un certo qual modo si completano, ma quasi sempre il tele-lavoro è il primo passo necessario per arrivare a una vera e propria rivoluzione smart working.
Le aziende bergamasche sono attente al tema, in tutti i settori, perché nel futuro, oltre a software e tecnologia, queste due forme di collaborazione entreranno necessariamente e sempre più prepotentemente nella vita delle persone.
TenarisDalmine, che ha introdotto una modalità di progetto di lavoro agile ed efficace già da qualche tempo ammette: «Avendo cura delle nostre persone, lo smart working rappresentava un’opzione che abbiamo colto, perché favorisce una migliore integrazione tra vita privata e lavorativa e valorizza le opportunità di flessibilità, autonomia, responsabilità e fiducia; migliora la cultura aziendale, diffondendo e rafforzando quella per obiettivi e rappresenta un’innovazione, di tipo organizzativo, che guarda al futuro e alle nuove generazioni».
Nell’azienda alle porte di Bergamo sono il 75% gli addetti attrezzati a lavorare da casa, praticamente tutti, a esclusione dei dirigenti e del personale operativo legato alle attività degli impianti. Una percentuale ottenuta dopo un periodo pilota durate il quale si sono via via messe a punto tutte le modalità tecnico operative. Attualmente in Tenaris il tele-lavoro è possibile fino a 30 giorni l’anno su tutto il territorio nazionale semplicemente comunicandolo al proprio responsabile con una settimana di anticipo rispetto alla giornata richiesta, al fine di consentire una adeguato presidio e gestione delle attività dell’ufficio. Normalmente è utilizzato quotidianamente dal 10-15% dipendenti, ma in questa fase emergenziale causata dall’epidemia di coronavirus la percentuale è salita, senza problemi di gestione, al 50%. Una delle caratteristiche fondamentali di questa impostazione, infatti, è la capacità di ottimizzare situazioni critiche come quella in corso, senza immobilizzare l’attività aziendale.
Ne è consapevole anche Giorgio Donadoni, socio fondatore di Comac che nella sua azienda ha attivato la possibilità del tele-lavoro per il 15-20% dei dipendenti. «Per il settore meccatronico è una possibilità, in realtà sono tantissimi i reparti che possono adottare questa tipologia di lavoro» spiega Donadoni che, entrando nel dettaglio, descrive la propria esperienza: «Se penso al gruppo, a Parma tutta la parte commerciale, compresi gli uffici, può tranquillamente operare da casa o da un altro luogo connesso. La situazione è un po’ più difficile per l’ufficio tecnico che richiede uno scambio e un confronto diretto con chi è in fase di produzione, ma questo non significa che la presenza in azienda non possa essere gestita su determinate giornate. A Bergamo riusciamo a gestire da remoto tutta la parte di progettazione elettronica, l’ufficio acquisti e l’amministrazione, perché la tecnologia permette di gestire a distanza ordini e richieste dei nostri clienti».
A partire da inizio anno anche un’importante realtà del tessile come Santini sta sperimentando soluzioni di tele-lavoro. La Marketing manager Paola Santini spiega che la necessità è stata sollevata, come in molti altri casi, dalla richiesta specifica dei dipendenti: «Al momento sono poche le persone che utilizzano questa modalità un paio di giorni alla settimana, ma prevediamo che una volta avviato al meglio possa essere sfruttato da molti altri».
presidente del Gruppo Meccatronici di Confindustria Bergamo