Difficile fare previsioni, ma gli aiuti sono inadeguati
Dire che si tratta di una crisi da economia di guerra non è sbagliato, sono i numeri a certificarlo: calcoliamo che ci siano tra i 5 e i 6 milioni di italiani esposti al rischio di perdere il lavoro».
Valerio De Molli, managing partner e amministratore delegato di The European House - Ambrosetti, parte da questa riflessione per descrivere la situazione economica italiana nel giorno di avvio della “Fase 2”.
E ora, che cosa ci dobbiamo attendere per le prossime settimane?
Managing partner e amministratore delegato di The European House - Ambrosetti
In questo momento è ancora difficilissimo fare previsioni, perché è incerto l’andamento dell’epidemia. The European House Ambrosetti, primo think tank italiano, ha adottato un modello che prova a valutare le filiere industriali per regione e per provincia, cercando di studiare le implicazioni economiche e sociali di quanto sta accadendo. Le analisi dicono che 5 o 6 milioni di lavoratori italiani rischiano di perdere il posto: non significa che lo perderanno necessariamente, ma appartengono a filiere che sono in ginocchio, come il turismo, la ristorazione, il commercio, i servizi alla persona, le industrie costrette ad un lungo lockdown, oppure sono a tempo determinato, part time o senza tutele. Inoltre, abbiamo sviluppato un’ipotesi di caduta del Pil nazionale compresa tra il 4 e il 12%.
Si è mai verificato in Italia uno scenario economico così grave?
Facciamo una media rispetto alle nostre previsioni: se il Pil diminuirà dell’8%, sarà la quinta caduta annuale più grave nei 150 anni di storia nazionale; peggio del 2020 rischiano di essere solo i tre anni della prima guerra mondiale e l’anno della guerra di indipendenza. In più prevediamo il raggiungimento di un livello di debito pari a quello della prima guerra mondiale e per questo dico che siamo in una crisi da economia bellica. Il paese rischia di scaricare sulle future generazioni un fardello di debito enorme, più grave di quello già presente.
Il mondo economico chiedeva da tempo di ripartire. Secondo lei è stato corretto attendere fino ad oggi?
Capisco la fretta di riaprire, ma temo che sia una corsa alla ripartenza per poi scoprire che non c’è mercato. Le esportazioni sono ferme e il mercato interno risente già di questa situazione e ne risentirà ancora di più nei prossimi mesi: il vero problema è che questa è una crisi di domanda e di offerta. I commercianti riapriranno, ma per servire quale domanda?
Con questa ripartenza si attende una seconda ondata dell’epidemia?
Già nel periodo di pieno lockdown ci sono stati circa 2mila nuovi casi e 400 morti al giorno: questo vuol dire che la situazione non è superata, anche se certamente è circoscritta perché a Milano e Torino si concentra il 30% di tutti i casi degli ultimi giorni e in Lombardia, Piemonte ed Emilia il 70% dei contagi delle ultime due settimane. È probabile che ci sarà una seconda ondata, anche perché si è già realizzata in altri paesi del mondo, ma non mi preoccupa perché gli italiani stanno imparando a convivere con questo virus. Temo invece per le conseguenze sul piano dei consumi e quindi dell’economia.
In questi mesi l’Unione europea è stata messa sotto accusa in Italia. Che cosa ne pensa?
Penso che abbiamo salvato la pelle solo grazie all’Europa. Due settimane dopo l’esplosione della pandemia, la Bce ha messo sul tavolo risorse che hanno tenuto a bada lo spread e il costo del debito e questo ci ha tenuto in piedi. Certo, fa comodo avere un capro espiatorio che è lontano, silente e non piace perché si presenta come austero e rigoroso, due qualità non molto popolari in Italia. Ma la realtà è che gli interventi di Francoforte e della Commissione Ue ci hanno permesso di restare in equilibrio.
Il Governo e la Regione si sono mossi bene?
All’interno della cornice europea abbiamo fatto quello che si doveva fare ma, per quanto riguarda quello che derivava direttamente da noi, c’è stata una grandissima confusione. In Italia abbiamo avuto una lentezza burocratica ed amministrativa che altrove non si è verificata, tanto che la maggior parte degli imprenditori non ha ancora visto la liquidità. Poi il conflitto perenne tra Stato e Regioni, che non ha riguardato solo la Lombardia, ha messo a nudo una complessità tutta italiana. In Italia ci sono stati 250 decreti, la signora Merkel ne ha fatto uno. Abbiamo nominato un numero spropositato di task force con 850 esperti, in Germania sono stati pochi e i nomi coperti da segreto. Il dottor Arcuri è stato nominato commissario straordinario, ma di cosa? L’unica azione è stata quella di fissare un prezzo politico per le mascherine mandando all’aria una filiera nazionale che si stava creando.
A questa crisi siamo arrivati impreparati?
Certamente, perché avremmo dovuto ridurre il debito prima ed affrontare sacrifici che ci sarebbero tornati comodi ora. Quota 100 ed il reddito di cittadinanza costano 20 miliardi all’anno che dovrebbero invece essere usati per sostenere gli imprenditori, le aziende, le pmi che non hanno fondi per pagare i mutui o i dipendenti o i fornitori.
È appena inizia la “Fase 2”. È ottimista sull’uscita da questa emergenza?
I lombardi sono forti, ci credono, non si fermano di fronte a niente e sono personalmente convinto che, grazie agli imprenditori dei nostri territori, riusciremo ad essere molto resilienti, attingendo a risorse famigliari e personali. Tuttavia, anche lo scenario peggiore che ho descritto resta un’ipotesi possibile perché tutto dipende dall’andamento dell’epidemia. Mentre usciamo dal lockdown, dobbiamo potenziare subito il nostro sistema sanitario perché evidentemente la lacuna lombarda è stata la debolezza della rete territoriale più che di quella ospedaliera. La famosa app deve essere supportata da una rete: questo significa che, in caso di sospetto contagio, bisogna precipitarsi a fare i tamponi. Siamo pronti per tutto questo? O si lavora in questo modo oppure scaricare la app non servirà a nulla. Spero poi che il comportamento degli italiani permetta di tenere il contagio sotto controllo. Se così fosse, ci saranno le basi per costruire una ripresa dalla seconda metà del 2021, altrimenti anche l’anno prossimo la situazione sarà grave, con effetti socio-economici pesantissimi.