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La sostenibilità richiede competenze e formazione : ecco la sfida delle piccole imprese

Articolo. Le Pmi sono chiamate a un nuovo salto: dal bilancio ambientale al vero e proprio rapporto di sostenibilità. Ma occorrono profili specializzati e formazione continua per introdurre certificazioni, sistemi di monitoraggio e metodi per misurare l’efficacia delle proprie azioni: l’indagine Inapp sui Fondi interprofessionali per finanziare un piano di transizione ecologica.

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Il valore strategico d un piano di sostenibilità

La sostenibilità e la responsabilità sociale d’impresa irrompono nella governance anche delle aziende più piccole. E con questa entrata in gioco, sono le prime a scoprirsi deboli sul fronte delle competenze necessarie, sul versante della formazione mancante, sul lato delle conoscenze specifiche che questo passaggio richiede ad ampie dosi.

Sono temi sensibili, anche perché rivestono un forte valore strategico e una leva di competitività di cui ormai tutti si sono resi conto, e che si sviluppano e si impongono nella cultura industriale insieme alla revisione dei processi lungo la prospettiva chiave della tutela ambientale e transizione ecologica. Sempre più imprese hanno integrato la propria politica industriale con una strategia di trasformazione, i cui piccoli timidi passi del processo – in realtà - sono stati fatti anche nel corso degli ultimi anni, adottando volontariamente un sistema spesso anche complesso di gestione ambientale (Sga) proprio per tenere sotto controllo e migliorare le proprie prestazioni industriali. Certificazioni, registri, sistemi di audit energetico aziendale, sistemi di ecogestione hanno certamente aumentato la propensione e la volontà di affrontare la transizione ecologica in modo consapevole e netto. Ma allo stesso tempo hanno reso consapevoli le piccole e medie imprese che questo passaggio si può fare veramente (non è un caso se si discute sempre più di introdurre regole ferree per contrastare il cosiddetto greenwashing anche nelle attività di produzione e industriali, oltre che per i prodotti finanziari), solo se ogni variabile in gioco viene misurata.

 

Significa che la sostenibilità, proprio in relazione alla sua evoluzione dei sistemi che la certificano, ha bisogno e richiede che l’impresa arrivi a definire un proprio set di obiettivi misurabili, di valutare periodicamente i progressi compiuti e di comunicare le proprie attività, per esempio, attraverso un vero report o un bilancio di sostenibilità. Due strumenti, quest’ultimi, che vanno oltre, superandoli, i “vecchi” strumenti di comunicazione strettamente ambientale, come ad esempio lo stesso (e semplice) “bilancio ambientale”, che rende conto e riguarda solo l’impatto specifico dell’attività aziendali, incorporandoli ed integrandoli insieme a quelli sociali, e che, per altro verso, nella tendenza recente delle grandi imprese è già stato a sua volta superato dal «bilancio integrato», relativo alla complessiva governance della sostenibilità di un’impresa, e con cui le aziende possono fornire una rendicontazione delle proprie prestazioni sotto i profili economico, sociale ed ambientale. Ed è qui occorre rilevare un ulteriore passo in avanti, quando per esempio, si rileva che nei piani di Csr si è coniugato la solidità delle strategie di approccio ambientale, temi costitutivi della responsabilità sociale d’impresa, anche i temi come il welfare aziendale, la sostenibilità ambientale, la qualificazione di risorse umane dedicate e la comunicazione.

Il valore delle competenze per ogni cambiamento

Ma sono le competenze al centro del vero piano Csr, occorrono i profili esperti, le professionalità giusti, le competenze adatte a questo tipo di valutazione per affrontare e suggerire i cambiamenti e i necessari processi di trasformazione. Nuove competenze anche per progettare uno sviluppo delle politiche di sostenibilità, un piano che passa e richiama necessariamente un massiccio investimento soprattutto nella formazione continua. Il ruolo dei Fondi interprofessionali – si legge nel report a cura dei ricercatori di Inapp, Paola Nocelli e Domenico Nobili - è «fondamentale per garantire un impegno equilibrato, che tenga conto delle specificità delle grandi come delle piccole e medie imprese e che consenta di coinvolgere tutti i livelli aziendali, a partire dalle figure apicali».

 

Ma se il quadro di consapevolezza iniziale ha questo perimetro, dentro emerge un dato altrettanto chiaro. I lavori della prima rilevazione sperimentale delle iniziative formative promosse dai Fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua proprio in tema di Responsabilità sociale d’impresa, ha evidenziato un dato importante con cui le imprese sono state chiamate a fare i conti: l’adozione del sistema Sga di misurazione e monitoraggio richiede profili professionali e risorse umane «adeguatamente formate e oggetto di aggiornamento costante che possano definire, realizzare e monitorare una pianificazione a lungo termine».
È la condizione indispensabile per consentire di tenere conto delle aspettative dei diversi portatori di interesse interni ed esterni all’impresa e che siano in grado di gestire procedure di gestione e rendicontazione specifiche. Senza percorsi di formazione adeguati, costanti e aggiornati tutto questo percorso è impossibile da realizzare. L’indagine a cui hanno partecipato 13 organismi sui 19 operativi (Fon.Ar.Com, Fon.Coop., Fondo Artigianato Formazione, Fond.E.R., Fondimpresa, Fondir, Fondirigenti, Fondo Dirigenti Pmi, Fondo Lavoro, Fondoprofessioni, Fondo Servizi Pubblici Industriali, For.Agri, Forte, rappresentando circa il 73% del totale delle imprese aderenti ai 19 Fondi) per la prima volta ha messo in evidenza la consapevolezza di come sempre più la responsabilità sociale d’impresa, oltre che avvertita come un tema essenziale nei modelli di governance della Csr, abbia alla sua base una «formazione di risorse umane dedicate e specializzate – si legge nell’indagine -, che rappresentano l’asset strategico indispensabile per lo sviluppo di una responsabilità sociale orientata alla sostenibilità».

 

Dei 13 Fondi coinvolti nell’indagine, già undici hanno finanziato attività formative sulla Csr. Nel dettaglio: sono stati finanziati oltre 1.900 piani formativi dedicati ai temi della responsabilità sociale d’impresa, sono stati coinvolti più di 11.700 imprese di tutte le dimensioni, in gran parte micro e piccole imprese. Oltre 86mila lavoratori hanno partecipato all’iniziativa, con una durata formativa superiore alla media rispetto alla media degli interventi programmati dai Fondi, «ulteriore testimonianza dell’impegno progettuale e finanziario e dell’importanza che la bilateralità annette al tema».

Crescono i piani aziendali per la formazione interna

Il risultato è ancora più chiaro nei numeri, un impegno, quello relativo alla formazione ai temi dalla responsabilità sociale, cresciuto negli ultimi due anni di ben nove punti percentuali rispetto al 2017 e che è destinato a crescere ulteriormente grazie alla progettualità sollecitata dai fondi del Pnrr. Nell’indagine Inapp, prevalgono così i Piani aziendali e pluriaziendali, che assumono comunque un peso relativo minore rispetto al complesso dei Piani formativi finanziati e dove queste tipologie arrivano a una quota compresa tra il 75% e l’80%.
Hanno invece una rilevanza maggiore i Piani settoriali e territoriali: 18,8% a fronte di una media totale del 7%. Considerando che, mediamente, i Fondi hanno coinvolto nelle iniziative formative 65mila imprese all’anno e stimando in 162mila circa le aziende che il sistema nel suo complesso solitamente potrebbe coinvolgere in un periodo di tempo analogo a quello qui considerato, le imprese interessate ai Piani formativi in materia di Csr rappresentano una quota di circa il 7,2%.
Significativa anche l’analisi per appartenenza delle Pmi al settore industriale e coinvolte nei percorsi formativi: primo dato, quasi nove imprese su dieci (l’87%, escluse il settore delle costruzioni) appartiene al manifatturiero nel suo complesso, ma anche gli altri due settori del commercio e dei servizi sono in sostanziale equilibrio (rispettivamente il 42,2% e il 42%) rispetto a questo impegno di formazione, interesse quindi indipendente dal settore e con un carattere realmente trasversale a tutti i comparti.

 

Resta un dato su tutto il quadro, sostanzialmente positivo quanto meno per le iniziative di formazione messe in campo, e che i due ricercatori evidenziano nel report: «La pandemia ha ulteriormente messo in luce la necessità di investire con urgenza nell’analisi dei fabbisogni formativi e nella qualificazione e riqualificazione del capitale umano – sottolineano nel report Nicoletti e Nobili -. Nell’urgente processo di innovazione, che richiede un rapido utilizzo delle risorse del Recovery Fund, la formazione continua dei lavoratori sui temi della responsabilità sociale d’impresa svolgerà un ruolo strategico come mai in precedenza, in particolare per quanto riguarda la domanda, ancora largamente insoddisfatta, delle competenze legate allo sviluppo sostenibile».

 

Un ultimo passaggio l’indagine Inapp, è dedicato all’analisi del piano operativo, alla promozione e alla realizzazione degli interventi formativi, anche con un occhio di osservazione sulle diverse modalità utilizzate per sia per raccogliere e organizzare la domanda di formazione delle imprese, sia sulle modalità di finanziamento. Ed è quest’ultimo aspetto, il più ricco di elementi: la domanda di formazione è stata “coperta” dai Fondi sotto il profilo finanziario attraverso le forme del “Conto aziendale”, attraverso il quale le aziende hanno finanziato le specifiche iniziative formative, scegliendo i temi in piena autonomia e secondo le proprie necessità, soprattutto in relazione al bisognoso di formazione delle figure ai vertici o manageriali dell’azienda. «Tra le iniziative finanziate con queste modalità – spiegano Nicoletti e Nobili nelle conclusioni del report - si sono evidenziate esperienze di assoluto rilievo nelle quali le parti sociali hanno indirizzato gli sforzi su esigenze e fabbisogni del tutto peculiari che diversamente non sarebbe stato possibile soddisfare».

 

Emerge poi un secondo livello di innovazione, se si vuole, rispetto alle modalità operative e in riferimento alle Reti d’imprese: la sperimentazione di percorsi formativi per manager di rete ha consentito anche alle piccole e piccolissime imprese di dotarsi di figure adeguate alla governance comune di processi tipici della Csr, come i percorsi di certificazione, l’adozione di strumenti contabili e di rendicontazione o il controllo standardizzato dei processi. «L’impossibilità di finanziare attività formative rivolte ai datori di lavoro rappresenta al momento un limite all’azione dei Fondi – spiegano i due ricercatori - e in questo senso appaiono particolarmente opportune le iniziative condotte in sinergia con le amministrazioni regionali, in considerazione delle possibilità che queste hanno, attraverso l’utilizzo delle linee di finanziamento del Fse, di coinvolgere nelle iniziative formative anche gli stessi imprenditori».