La sfida per attirare le migliori competenze
La reputazione di un’azienda è quasi sempre il primo elemento che un giovane talento valuta quando decide di candidarsi per un’assunzione. I valori aziendali, ciò che la distingue da qualsiasi altra impresa, la sua mission e le strategie su come le realizza sono fattori decisivi della comunicazione d’impresa, sono elementi portanti della capacità di valorizzare il proprio brand. E un giovane su due, come primo passo, ricerca queste informazioni sul web e sui social dell’azienda per cui intende candidarsi. È uno dei dati che emerge dall’ultimo rapporto Randstad, indagine che misura quanto e per quali fattori le aziende sono capaci di attirare chi cerca lavoro o chi vuole cambiarlo.
«Lavorare sul proprio employer branding, – spiega Annalisa Bonifacio, Head of Talent Acquisition & Sales in randstad HR Solutions - ossia tutte quelle strategie e attività finalizzate a comunicare in maniera efficace le caratteristiche distintive che rendono unica la propria organizzazione, diventa cruciale per le aziende che vogliono attrarre candidati motivati, ma anche per rafforzare l’ingaggio nei confronti dei talenti già presenti in azienda». ma come si costruisce un’efficace strategia di emplloyer branding? Quali sono i passaggi portanti di un piano efficace. In questa intervista, Annalisa Bonifacio, esperta di strategie di employer branding, spiega quali sono i passaggi più importanti.
Head of Talent Acquisition & Sales in randstad HR Solutions
Dal Country Report di Randstad emerge come il 52% delle persone cerca sul web e sui social media l’azienda per cui intende candidarsi per saperne di più. A cosa sono interessati in particolare i più giovani? Cosa si cela dietro questo approccio?
Questo approccio è determinante per le strategie di employer branding delle aziende. Con il termine employer branding si intendono tutte quelle strategie e attività finalizzate a comunicare in maniera efficace le caratteristiche distintive che rendono unica la propria azienda, con lo scopo di attrarre e trattenere i talenti giusti per l’organizzazione. Dato che una persona su due cerca sul web o sui social informazioni sull’azienda per cui intende candidarsi, possiamo affermare che lavorare sul proprio employer branding diventa cruciale per le aziende che vogliono attrarre candidati motivati, ma anche per rafforzare l’ingaggio nei confronti dei talenti già presenti in azienda. E se fare employer branding ha sempre significato saper raccontare la propria identità di datore di lavoro in modo che le risorse di oggi e di domani possano sentirsi rappresentate dalla mission e dai valori della azienda nel rispetto del cosiddetto “cultural fit”, oggi questo è amplificato dagli ultimi trend come quello della Yolo Economy (you only lives ones) e della Big Resignation (o meglio il tema delle grandi dimissioni). Significa concretamente creare progetti che tengano conto del fatto che qualunque azione si faccia su un target che si vuole coinvolgere, per essere credibile deve avere un corrispettivo su tutta la workforce e non solo sul target giovane, ad esempio, da attirare.
Come cambia il rapporto imprese-potenziali candidati in questo contesto? Possiamo parlare di un nuovo motto “il candidato/dipendente ha sempre ragione”?
Quando abbiamo comunicato i dati della ricerca nel mese di maggio avevamo lanciato un messaggio molto chiaro: ben il 21% dei dipendenti aveva in previsione di cambiare lavoro entro i prossimi 6 mesi. Oggi, quasi 10 mesi dopo, sentiamo parlare di quei due fenomeni che sopra citavo e le aziende iniziano a porsi domande. Questo ci fa capire che ci stiamo affacciando verso un momento storico dove sarà necessario attuare una vera e propria people strategy come progetto integrato e coerente di cultura aziendale. Per attrarre le migliori risorse le aziende devono investire sull’intero percorso di talent acquisition, prestando molta attenzione ad una chiara comunicazione dai valori aziendali, alla reputazione, alla responsabilità sociale e alla coerenza tra la mission dichiarata e i comportamenti organizzativi (modi di fare e lavorare pratici). Ricordiamoci che avremo a che fare con nuove generazioni di candidati che hanno a disposizione un flusso continuo di informazioni, candidati che conoscono molto bene le aziende e che possono mettersi nell’ottica di scegliere il proprio datore di lavoro. Quindi risponderei “no” alla domanda, ma con un distinguo: candidati/dipendenti non sono due mondi separati, ma sono 2 magneti che si possono attirare vicendevolmente. Un po’ il detto “chi si somiglia, si piglia”.
Le imprese italiane hanno colto il cambio di paradigma?
Osserviamo una sempre maggiore consapevolezza sulla necessità di fare un lavoro a 360°. Tante aziende italiane stanno comprendendo l’importanza di investire sul proprio brand non solo per attrarre candidati e posizionarsi sul mercato come employer of choice ma anche come engagement e retention per i propri dipendenti (in poche parole fare in modo che le persone stiano bene in azienda e trovino un senso, uno scopo, in quello che fanno).
Quali sono le cinque regole fondamentali che bisogna seguire per mettere in pratica una strategia di employer branding efficace?
Possiamo dire che le cinque regole fondamentali sono:
- 1 - Analizzare in modo qualitativo e quantitativo le caratteristiche distintive che ogni azienda possiede per esistere sul mercato (spesso questo passaggio viene dato per scontato e non aggiornato, ad esempio)
- 2 - Analizzare come si sta comunicando e i ritorni che si hanno
- 3 - Declinare quell’analisi in una employee value proposition (un impianto di messaggi coerenti)
- 4 - Creare un action plan che veicoli quei messaggi sia sull’interno sia sull’esterno (con particolare cura sulla parte dell’immagine on line (contenuti testuali, foto, video, podcast, ecc che siano chiari e appealing)
- 5 - Ingaggiare i dipendenti che sono i primi “ambassador” verso l’esterno (ci sono mille azioni possibili)
E vorrei anche aggiungere una premessa a questi 5 punti: le aziende hanno bisogno del partner giusto su tutto questo tema, esperto in people strategy che abbia un punto di vista globale capace di sapere leggere le trasformazioni del mercato e della società. Sul tema digital ad esempio, noi stessi collaboriamo con Monster, realtà digitale affermata (è suo il primo portale on line nel mondo, 1994), che oggi ha una focalizzazione molto forte su soluzioni e metodologie per fidelizzare i candidati.
Aldilà del settore di appartenenza dell’azienda, quali sono i contenuti e i valori trasversali che tutte le organizzazioni devono comunicare per essere considerati come attrattive?
Gli italiani cercano nel datore di lavoro ideale prima di tutto conciliazione tra vita privata e professionale, atmosfera di lavoro piacevole, insieme a un buon stipendio. Ci sono però profonde differenze per età. I più giovani, appartenenti alla fascia d’età (18-24 anni), ricercano aziende con un’atmosfera di lavoro piacevole che offrono possibilità di carriera e ottima formazione; il segmento 25-34 anni guarda prioritariamente alla retribuzione ed ai benefits; gli adulti della fascia 35-54 anni cercano prima di tutto work-life balance, che risulta al primo posto anche per i 55-64 enni. Simile interesse anche per sicurezza del posto e solidità finanziaria dell’azienda.Mi preme anche sottolineare un aspetto di estremo interesse per le aziende a cui restituiamo questi risultati. C’è la voglia di chiedersi come si possono portare dentro le organizzazioni certi valori, ad esempio, la diversity & inclusion non solo come valore culturale dell’azienda da diffondere con una formazione specifica ma anche come portarla sui processi, ad esempio nella Talent Acquisition. Per essere semplice, si fanno la domanda: “ma come faccio a fare job posting inclusivi?”. Ecco che questo ci porta ad un lavoro sui processi molto interessante, pratico, concreto.
In base al nuovo country report sull’employer branding che verrà pubblicato, è emersa qualche novità rispetto a quello precedente? Si è rafforzata qualche tendenza in particolare?
I risultati della ricerca (giunta ormai alla dodicesima edizione) usciranno nei prossimi mesi. Ricordiamo che si tratta di un’indagine internazionale commissionata in 35 nazioni da Randstad Holding all’Istituto Kantar. Ogni anno, nel mondo, oltre 185.000 persone vengono intervistate e oltre 6.000 aziende prese in esame. La ricerca è l’unico studio che fotografa l’opinione del general public.
L’employee value proposition sta diventando sempre più una leva dell’employer branding. Cosa non può mancare in quella di un giovane per convincerlo a considerare un’azienda come un datore di lavoro appetibile?
Un must su tutti: trovare nuove modalità per attrarre e mantenere ingaggiata la generazione z, composta da ragazze e ragazzi che hanno mediamente tra i 18 e i 24. Infatti, oltre ai temi legati all’atmosfera di lavoro piacevole, al work-life balance e alle opportunità di avanzamento di carriera, che, stando alla Randstad Employer Brand Research 2021, sono i 3 driver più importanti per questo target di popolazione, questa generazione è sempre più attenta a tematiche legate alla diversity and inclusion, tutela dell’ambiente o in senso più ampio, Corporate Social Responsibility. E qui mi preme sottolineare un aspetto: questa generazione è alla ricerca di autenticità. Sa capire la differenza tra un’azienda che lancia un messaggio come operazione pubblicitaria per arrivare più facilmente ad un target specifico, facendo leva su sensibilità e schemi valoriali di una certa generazione (come diritti civili, ambientali, uguaglianza sociale) ma che non sono coerenti con la realtà aziendale. Questo è detto fenomeno del woke washing, e va da sè che non porta grandi risultati.Vediamo che le aziende che creano scuole interne per i giovani sono, per entrambe le parti, un canale di conoscenza privilegiato. Un ultimo esempio lo abbiamo appena condiviso con una fonderia, nostro cliente, che ha costruito una scuola per donne. Sono le azioni, non i proclami, che vengano apprezzati dai giovani.
Professore alla School of Management del Politecnico di Milano
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In che modo le employer branding può rappresentare una leva di successo per l’impresa?
L’employer branding è ormai un prerequisito per ogni strategia di recruiting. La stragrande maggioranza dei candidati effettua ricerche sulla reputazione dell’azienda online.Difficilmente qualcuno vorrebbe andare in una azienda con una cattiva reputazione. L’elemento fondamentale sia per le piccole che per le grandi imprese è quello di garantire coerenza tra la strategia di comunicazione e l’effettiva pratica in azienda. Vanno quindi distinte le aziende che fanno solo marketing rispetto a quelle che fanno davvero quello che promuovono.
Quali sono i canali e i contenuti da promuovere per attrarre i giovani?
I social media sono un importante punto di aggancio con giovani e talenti. Sono diventati uno strumento importante anche per le Pmi perché permettono di avere uno spazio di visibilità gratuito.Possiamo dire che hanno permesso di democratizzare la comunicazione. Anche le aziende più piccole possono trarre vantaggio da questi strumenti perché in molti casi sono più flessibili ed in grado di intercettare i trend per farli propri e trasferirli più rapidamente all’interno dell’organizzazione.
Tra i contenuti, bisogna fare leva sul divulgare il senso di appartenenza dei dipendenti. Il parere dei lavoratori è molto molto efficace tra le forme di comunicazioni. Fra pari ci si intende.