L’industria del turismo e degli alberghi senza personale
«Cercasi personale». Sono tornati i cartelli davanti alle fabbriche in cerca di competenze tecniche e specialistiche sempre più numerose e sempre più introvabili. Ma gli stessi annunci sono apparsi ancora di più in questi giorni pre-estivi davanti ad alberghi e strutture ricettive del nostro turismo. Suono come un vero e proprio allarme, fatto riecheggiare dagli imprenditori del settore, un pezzo di economia che pesa per il 13% del Pil italiano (Prodotto interno lordo) e a oggi occupa circa due milioni di persone. Un numero che però sembra non bastare dato che secondo i dati di Assoturismo la mancanza di personale mette a rischio circa 6,5 miliardi di euro di consumi, a danno non solo di hotel, ristoranti e bar ma anche dei negozi. Inoltre, secondo Marina Lalli, presidente di Federturismo Confindustria mancano all’appello quasi 4 figure su 10. Tra le richieste più impellenti: personale di sala, aiuto cuochi e barman. Un problema di certo non dell’ultimo minuto, ma che torna a farsi sentire nelle stagioni più calde per il settore e soprattutto nel periodo che precede il tanto atteso 2023 che vedrà Bergamo, insieme a Brescia, essere capitale della cultura. Farsi trovare pronti, non sarà di certo un optional.
La beffa è che, nonostante due anni duri, secondo l’Osservatorio turismo della Provincia di Bergamo, le ultime rilevazioni sui flussi di ingresso sono confortanti anche grazie all’alleggerimento delle restrizioni. Guardando indietro alla Pasqua, nei tre giorni a cavallo della festività, «si è registrato un tasso di occupazione nettamente superiore rispetto al 2021 (+68,2% di camere occupate) ma anche rispetto al 2019 (+18,6%)». In particolare, spiegano dall’ente Provincia, «si continua a guardare al futuro con ottimismo. I dati delle prenotazioni per il periodo estivo fanno ben sperare: ad oggi il 18,9% delle camere disponibili risulta già prenotato per il periodo estivo dal mese di aprile. Era il 4,9% nel 2021 e il 18,6% nel 2019. Le prenotazioni last minute, esplose nel 2021, tornano ad assestarsi sui lavori prepandemici (36% nel 2019 e 36,9% nel 2022)».
La ripresa cerca 24mila addetti
Come ripreso anche dalla stampa specializzata «adesso che si allentano le restrizioni, e il maxi comparto vede una ripresa, si assiste al paradosso che cresce la domanda di lavoro, ma si fatica a trovare personale stagionale». Il fabbisogno occupazionale ammonta a circa 300-350mila profili a livello nazionale, una larga fetta dei quali introvabili. Unioncamere e Anpal certificano un fabbisogno tra maggio e luglio di 387.720 lavoratori per i servizi di alloggio, ristorazione e turistici.
Guardando al territorio di Bergamo, i dati Excelsior parlano di oltre 24mila entrate occupazionali tra maggio e luglio, concentrate soprattutto nei servizi di alloggio e ristorazione e servizi turistici. Secondo le parole di Paola Mele di Fisascat Cisl, «il tema della stagionalità andrebbe affrontato con una logica di prospettiva, non più emergenziale. Tra le cause della carenza di manodopera ci sono senz’altro il Covid, ma anche strumenti come il reddito di cittadinanza» che in molti casi ha fatto da deterrente al rientro al lavoro di diverse persone. «Non ci si può inventare camerieri o receptionist - continua Mele - occorre investire anche sulla qualità che ha da sempre contraddistinto i servizi dei nostri paesi».
Si è fatta sentire anche Federalberghi, per tramite del suo presidente durante la 72esima assemblea nazionale, il quale ha evidenziato come alcune distorsioni del reddito di cittadinanza non siano l’unica ragione della difficoltà di reperimento. Tra le concause va considerato anche l’effetto causato dallo stop pandemico che ha portato molte persone a mettersi in gioco in altri settori più sicuri dal punto di vista della suscettibilità alle restrizioni.
Un vero e proprio deflusso di professionalità, come lo ha descritto il presidente Bernabò Bocca. Il tema è però strutturale. I confronti di questi giorni sull’emergenza competenze lo hanno messo bene in evidenza: «Con il tasso di disoccupazione all’8,3% che per i giovani tocca il 24,5%, e che pone l’Italia alle ultime posizioni tra i 27 Paesi della Ue, la mancanza di personale nell’industria del turismo evidenzia tutti i limiti del nostro mercato del lavoro, le carenze del sistema formativo e un insufficiente collegamento con il mondo scolastico». La vera sfida si gioca quindi nel riportare in auge le diverse professioni del settore del turismo e dell’accoglienza per poter far ripartire un settore che necessita come l’aria di tornare a pieno regime.
La distanza fra scuola e settore turistico
Ancora una volta il nodo formativo sembra essere il nocciolo della questione. Se non si decide di intervenire creando ponti tra le imprese e le scuole di formazione professionale, sarà difficile sedare il panico che prende tutti gli operatori del turismo (ma non solo) quando devono apprestarsi a cogliere il flusso di turisti, che significano indotto non solo per le comunità alberghiere, come riconosciuto anche da Bocca, ma per l’intero territorio in cui sono ospitati. Istituti Its e Ifts e istruzione e formazione professionale regionale dovrebbero essere le parole d’ordine per chiunque scegliesse di fare impresa.
Qualcosina si sta muovendo, come affermato recentemente da Antonella Zuccaro di Indire (ente per il monitoraggi degli Its) in una sua analisi: «Attualmente le Fondazioni Its sono 120, con oltre 21mila alunni frequentanti (sono numeri ancora bassi se confrontati con i paesi del Nord Europa), e sono in attesa dell’arrivo degli 1,5 miliardi aggiuntivi in cinque anni (una tantum) previsti dal Pnrr - che dovranno almeno raddoppiare il numero di iscritti - e della riforma che, dopo l’unanimità alla Camera, sta viaggiando, piuttosto lentamente, in Senato.
Un provvedimento considerato centrale per puntellare l’intero sistema, aprendolo, ancora di più, a privati, mondo del lavoro, territori”. Si parla di abbandono della logica dei bandi annuali e dello stanziamento di un fondo ordinario (con 68 milioni quest’anno e 48 a decorrere dal 2023), oltre che dell’inserimento dell’obbligo di docenza da parte di persone provenienti direttamente dalle aziende per almeno il 60% del monte ore. Le occasioni, insomma, non mancano. Resta da vedere se le imprese saranno pronte (e disposte) a cambiare mentalità, per farsi loro stesse artigiane delle competenze di cui necessitano.