La reputazione come punto di partenza
Raccogliere, valutare dati e informazioni. Misurare. È il nuovo imperativo dentro a un sistema complesso che ha bisogno costantemente di verificare il valore, l’efficacia e la bontà di ogni azione. Dalla sostenibilità, alla finanza etica, dall’economia circolare fino ai principi di Esg è dimostrato come risulta facile affermare che si è impegnati e protagonisti green di uno sviluppo a impatto zero. A parole almeno. Ogni giorno però compaiono casi di greenwashing che invece smentiscono quelle dichiarazioni. A danno dell’immagine e del business aziendale.
Correre ai ripari ha significato definire con criteri e rigore scientifici parametri di misurazione per valutare, controllare e sostenere il reale impegno in sostenibilità di un’impresa. Criteri e logiche oggettivi per governare strategie aziendali e investimenti capaci di stimolare correttamente l’azione aziendale verso un impatto positivo su ambiente e società. È su queste misure che oggi si costruisce e viene trasmessa una buona o una cattiva reputazione aziendale. Che fa stare o no sul mercato in termini di competitività.
Passare dai processi industriali e prodotti aziendali a una valutazione del capitale umano il passo è brevissimo. E dovuto. La reputazione percepita di un’impresa, come l’insieme di valori positivi che la ispirano, oggi misura sempre più anche una nuova dimensione, il grado e la capacità di attrattività dell’impresa, e dell’imprenditore stesso, come persona, verso i giovani e i talenti.
La reputazione come valore attrattivo
L’immagine percepita all’esterno dell’azienda “pesa” la sua capacità di attirare le risorse migliori e di portarle a bordo. Per chi è già dentro , invece, diventa il metro di valutazione per decidere se continuare a restare un suo collaboratore: l’86% delle persone non lavorerebbe, e non farebbe nemmeno domanda per lavorare in un’azienda con un cattiva reputazione. E il 70% prima di candidarsi a un’assunzione fa ricerche sulla storia e sull’immagine aziendale.
Fenomeni come le Grandi dimissioni (solo in Italia oltre 1,5 milioni di persone si sono dimesse dal loro posto) e ora il nuovo fenomeno della Quiet quitting (la tendenza della Generazione Z a un impegno non smodato nel lavoro in attesa di trovarne uno più soddisfacente e dove si lavora meglio, visto che un’indagine Gallup evidenzia che il 39% dei lavoratori è sotto stress quotidiani e malessere diffusi) se da un lato stanno allargando la distanza fra i due termini del mismatching (offerta e domanda), dall’altra impongono di riscrivere profondamente anche le strategie di employer branding, quelle azioni per aumentare la consapevolezza e la sponsorizzazione di un’impresa per attrarre risorse e nuove competenze.
Parametri scientifici per valutare le azioni
Che cosa c’è di nuovo? I numeri dicono che è in atto un importante cambiamento di potere. Le persone, a partire dai giovani, hanno riconsiderato le loro priorità, la loro scala di valori rispetto al lavoro. Oggi il potere di scegliere l’azienda dove lavorare è nelle loro mani. E le imprese? Devono rivedere il loro approccio alla capacità di attirare e di trattenere le persone in un mercato che si fa sempre più concorrenziale. Il coltello dalla parte del manico, verrebbe da dire, ce l’hanno i giovani migliori. Scelgono loro dove investire le proprie competenze e il loro futuro professionale e personale. E lo fanno dove meglio riescono a conciliare il lavoro con i loro valori. Il loro approccio è cambiato.
A partire dalla Generazione Z, giovani fra i 18 e i 25 anni. Ma il contagio declinato su variabili solo leggermente differenti, attraversa prima la Gen Millenial (26-41 anni), poi la Generazione X (42-57 anni) fino a coinvolgere il giudizio dei lavoratori più maturi, i baby boomers (58-64 anni). Priorità come atmosfera di lavoro, una visibilità del percorso di carriera, temi come inclusione e diversità, equilibrio fra vita lavorativa e privata (work-life balance), la possibilità di lavoro da remoto (smart working), l’utilizzo di tecnologie avanzate, ma anche contenuto del lavoro, retribuzione e benefit sono tutte dimensioni che i potenziali dipendenti oggi cercano in un’azienda. L’impresa, proprio per intercettarli con maggiori efficacia deve avere presente queste domande, conoscerlee tenere sotto controllo.
E monitorare in modo scientifico, dall’inizio, l’impatto degli interventi in campo per capire se gli effetti sono legati al merito delle misure o ad altri fattori esterni.
Una strategia di employer branding resta la via maestra per essere attrattivi. Ma ogni singola azione dovrebbe essere affiancata anche da indicatori, da parametri, standard e da criteri di misurazione delle capacità di essere efficaci con le azioni di attrattività.
Conoscere la propria posizione
Le variabili in gioco sono diverse e scegliere su quale investire di più – recruitement, welfare, work life balance, clima aziendale, retention, carriera - significa dare priorità e coerenza a un obiettivo aziendale piuttosto che a un altro. La scelta, per essere corretta, deve poggiare sulla consapevolezza di dove si è posizionati in partenza lungo una scala di performance offerte. Perché, sottolineano gli esperti, «l’employer brand di un’azienda esiste comunque, e viene sperimentato ogni giorno da chi è all’interno e all’esterno dell’impresa». Essere in grado di misurare in modo preciso con parametri standardizzati e oggettivi le proprie azioni è una verifica di quanto si è capaci di percepire correttamente le domande che arrivano da fuori, dai giovani talenti.
Non è un passaggio indifferente: ogni strategia di attrattività è un pezzo del modello di business dell’impresa e, come ogni parametro di bilancio, deve poter essere misurata scientificamente, avere un rating e un benchmark. E in mezzo un metro che misuri la relazione fra azioni e obiettivi.
Misurare le strategie per costruire una reputazione
La reputazione aziendale diventa attrattività
Il primo passo per essere attrattivi è verificare e misurare la propria capacità di comunicare quanto i propri valori sono in linea con quelli espressi e ricercati dai migliori giovani e talenti sul mercato.
Misurare lo stato attuale come situazione di partenza
Conoscere dove si è collocati anche rispetto alla concorrenza in termini di attrattività significa metter a punto parametri di valutazione oggettivi su cui misurare posizione e progressi in termini di employer branding.
La misurazione per capire dove si vuole arrivare
Raccogliere tutte le informazioni e i dati rispetto alle variabili sulla propria attrattività aiuta a mettere in risalto quali sono gli aspetti ancora da ottimizzare in vista degli obiettivi che si vogliono raggiungere.
Attrattività per un giovane non è solo stipendio
È anche la retribuzione, sia chiaro. Ma per proporsi a un giovane l’azienda deve essere in grado di capire in quale punto della scala si colloca nel offrire un contesto di lavoro che renda soddisfatti i talenti.
Analizzare i bisogni e verificare le proprie risposte
Il primo passo è saper cogliere i bisogni , le aspettative e i desideri dei giovani che si vogliono portare in azienda. Ma poi occorre saper valutare con parametri oggettivi quanto l’offerta aziendale è coerente.
Misurare la capacità di anticipare le risposte
Saper leggere i bisogni e le aspettative e rispondere in anticipo ai desideri dei dipendenti è il risultato di una capacità di analizzare costantemente i risultati dei monitoraggi o dei feedback ricevuti.
Professore alla School of Management del Politecnico di Milano