Tutti gli elementi del solito problema
Dimissioni in bianco (+770 mila nel 2021), mancanza di mano d’opera qualificata (difficoltà di reperimento al 32% nell’ultimo anno), crollo della natalità (oltre 12 mila nascite in meno). È questo lo scenario in cui si sta consumando la “guerra per i talenti”, che ormai da più di un ventennio esplode colpi rendendo sempre più complesso per le aziende rimpolpare la forza lavoro. Una crisi di match tra domanda e offerta che ha il volto della difficoltà del sistema formativo di munire le persone delle competenze che servono, ma non solo.
C’è anche il problema di tanti giovani talenti che le imprese non riescono ad acciuffare perché non si sanno comunicare nel modo giusto. È il momento di un cambio di marcia. Per diventare aziende attrattive ed ingaggiare nuovi giovani collaboratori non basta più essere bravi a fare business nel modo tradizionale: produci, vendi, repeat.Serve ampliare lo sguardo alla cura del proprio personale e del proprio ambiente di lavoro, ma soprattutto essere bravi a comunicarlo.
Esperta di Great Place to Work
Per vincere la “guerra” sono però fondamentali due azioni: ascoltare e comunicare. Secondo Lara Bonelli, esperta di Great Place to Work, «la prima permette di giungere a decisioni e modalità di lavoro condivise, partendo dal basso e da un allineamento sulla mission e la vision dell’azienda, aumentando l’apprezzamento per l’ambiente di lavoro.La seconda – continua l’esperta – rappresenta un elemento altrettanto importante per agganciare chi ancora non fa parte dell’organizzazione, sfruttando a pieno i canali digitali disponibili».
In soldoni, fare bene e fare tanto non basta. Senza qualcuno che faccia da portavoce dell’azienda, tramite un social o di persona, la sfida dell’attrattività è persa in partenza.
Le strategie di visibilità
«È in questo modo – sottolinea l’esperta – che l’employer branding, quell’insieme di azioni (social e non) volte ad incrementare la reputazione di un’organizzazione, permette di dare visibilità sia all’interno sia all’esterno, alle caratteristiche e alle unicità della propria azienda, nonché a ciò che può essere offerto alle persone in termini di esperienza lavorativa a 360 gradi, la cosiddetta employee value proposition . I giovani d’oggi – continua Bonelli – non cercano solo una soddisfazione economica. Per quanto il salario sia importante, nella scelta di un’azienda stanno iniziando a contare sempre più la possibilità di crescita professionale, l’impatto sostenibile dell’organizzazione, il welfare, la work-life balance, nonché l’attenzione alle esigenze personali del lavoratore».
Se questi aspetti vengono spesso dati per assodati in tutte quelle aziende che fanno dei servizi e della comunicazione il loro business principale, si tende invece a sottovalutare l’impatto positivo che l’employer branding permette di avere anche in quei settori più “duri” come l’edilizia, la meccanica piuttosto che l’elettronica. Non è tanto una questione di chi produce bulloni o di chi fa post su Facebook di mestiere. La partita si gioca invece sulla capacità di ogni azienda, metalmeccanica o di consulenza marketing che sia, di mettere a fuoco le proprie unicità e di comunicarle al meglio con coerenza e fedeltà rispetto a quello che è il reale ambiente di lavoro.
Co-fondatore del Forno
Lo sanno bene quelli del Forno Brisa, una realtà locale dove l’età media non arriva ai trent’anni che produce e vende pane in quel di Bologna. «Il segreto è puntare sul benessere – afferma Pasquale Polito, cofondatore del Forno –. Anche in un settore tradizionale come il nostro, abbiamo dimostrato che la cura per le persone, siano essi clienti, fornitori o nostri dipendenti, è la vera chiave per rendere un luogo attrattivo e familiare anche per i giovani. Le persone cercano nel lavoro una possibilità di realizzazione. Il nostro compito come imprenditori è quello di poter garantire questa possibilità». Chi pensa che servano chissà che mezzi o guru della comunicazione sbaglia di grosso. «Non abbiamo un vero e proprio “ufficio comunicazione” ma ognuno si impegna per comunicare al meglio – continua Polito -. Il segreto sta nello scommettere sul fatto che un dipendente, un cliente o un collaboratore felice possa avere un effetto moltiplicatore sulle persone che incontra».
Per trovare il giusto match tra lavoratore e azienda, bisogna quindi essere bravi a far leva sulle proprie unicità, ma soprattutto a garantire coerenza tra quello che si comunica e quello che poi si offre. «Occorre fare delle scelte – dice ancora Bonelli -. Soltanto così si possono attrarre talenti per cui le caratteristiche dell’azienda sono reputate importanti».
È sull’eccezione che si costruisce una reputazione, non sull’imitazione di qualcosa che non si è.